Pensiero

Ernst Jünger e l’era distopica delle mascherine

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Ernst Jünger (1895-1998) fu letterato e filosofo tedesco che partecipò come militare ad ambo le guerre mondiali.

 

Al primo conflitto mondiale dedicò il libro Nelle tempeste d’acciaio, una sorta di diario della guerra dove venne ferito quattordici volte.

 

Ancora oggi è molto pubblicato e diffuso, vuoi perché lo dicono parte di una fronda contro Hitler, vuoi perché, ufficiale della Wehrmacht, stazionò nella Parigi occupata intrattenendosi con la crème degli intellò dell’epoca: Jean Cocteau, Pablo Picasso, Henri de Montherlant, Sacha Guitry, Gaston Gallimard, Colette, Louis-Ferdinand Céline – tutto un demi-monde lasciato intravedere dal libro La decade dell’illusione del prostituto omosessuale collaborazionista della Gestapo Maurice Sachs.

 

Tra i tanti libri di Jünger molti sono veri e propri romanzi utopici-distopici, come Eumeswil, Heliopolis, Sulle scogliere di marmo, oggi tutti introvabili o costosissimi.

 

Tuttavia è con il saggio L’operaio (1932) che lo scrittore si fa ricordare. Vi tratta di una società oramai strangolata dalla tecnica, dove l’individualismo borghese e il romanticismo non possono che morire. Vi si creerà, spiega, una nuova figura, quella dell’«operaio»: egli perderà i vincoli della classe sociale e sarà in grado di dominare in modo costruttivi la tecnica invece che subirla. L’operaio è visto quindi come forza elementare che distruggerà la società borghese, la liberaldemocrazia, il contratto sociale.

 

Der Arbeiter, come si chiama originariamente il libro, eserciterà un’influenza costante e duratura sull’intellighenzia europea, soprattutto sulla destra: il guru postfascista Julius Evola dedicò all’operaio jungeriano un intero volume,  (1960). Armin Mohler , uno degli architetti della Nuova Destra , parla di «Bibbia del realismo eroico».

 

«Non è casuale la funzione che da qualche tempo la maschera ricomincia ad avere nella vita quotidiana. Essa appare in molteplici sembianze»

Ebbene, è a pagina 36 del libro di Jünger (edizione italiana) che si può trovare un’affermazione profetica rispetto al nostro tempo.

 

Jünger infatti tratta dell’uso della maschera.

 

«Non è casuale la funzione che da qualche tempo la maschera ricomincia ad avere nella vita quotidiana. Essa appare in molteplici sembianze, nei luoghi in cui fa irruzione lo specifico carattere di lavoro: può essere la maschera antigas, con la quale si tenta di equipaggiare intere popolazioni, o la maschera a casco per gli sport e le alte velocità, come quella dei motociclisti e degli automobilisti, oppure la maschera protettiva per il lavoro in ambienti minacciati da radiazioni, esplosioni o diffusione di narcotici».

 

«È da supporre che alla maschera saranno assegnati ancora altri e diversi compiti, oggi intuibili – per esempio, nell’ambito di un’evoluzione in cui la fotografia acquisti il ruolo di un’arma offensiva applicata in politica»

«È da supporre che alla maschera saranno assegnati ancora altri e diversi compiti, oggi intuibili – per esempio, nell’ambito di un’evoluzione in cui la fotografia acquisti il ruolo di un’arma offensiva applicata in politica».

 

È andata così. La maschera ha assunto un nuovo compito: quello di significare la sottomissione dell’individuo al nuovo ordine biotico.

 

Quanto all’ambito di evoluzione della fotografia come arma ipotizzato dallo scrittore tedesco, il problema della maschera verrà risolto: gli algoritmisti della face recognition lavorano alacramente per rendere identificabili le persone anche quando indossano la mascherina.

 

«Data l’improvvisa ubiquità della maschera facciale nel 2020, in tutto il mondo e in un numero crescente di contesti sociali, è impossibile evitare la conclusione che questo sia proprio il tipo di sviluppo che Jünger aveva in mente» scrive Thomas Crew in  articolo dell’anno scorso intitolato The Dystopian Age of the Mask («l’era distopica delle mascherine»).

 

«La nostra disponibilità a oscurare il volto riflette le tendenze disumanizzanti che, per Jünger, sono alla base dell’era moderna. Rappresenta un’altra tappa del degrado dell’individuo che si è esplicitata nella Prima Guerra Mondiale»

«La nostra disponibilità a oscurare il volto riflette le tendenze disumanizzanti che, per Jünger, sono alla base dell’era moderna. Rappresenta un’altra tappa del degrado dell’individuo che si è esplicitata nella Prima Guerra Mondiale».

 

«Che sia un pezzo di materiale sul campo di battaglia o un ingranaggio nella macchina dell’economia di guerra, l’età moderna ha l’abitudine di ridurre l’essere umano a un oggetto funzionale. Tutto ciò che è “non essenziale” – tutto ciò che ci rende umani – viene allegramente scartato».

 

Tutto vero, tutto giusto.

 

Per il mondo moderno, se non indossi la mascherina, sei un «no vax», uno scarto della società, passibile di multe, arresti, denunce.

 

Come ripetiamo da mesi, i non-mascherati (e non-vaccinati, cioè non-sottomessi) sono oggi un segmento della popolazione che i poteri costituiti hanno accettato di poter sacrificare. Non servono i loro soldi, le loro opinioni, i loro voti. Vanno repressi, zittiti, disintegrati, e basta. Sacrificati.

 

Questa è la funzione totalitaria della mascherina che Jünger poteva appena intuire. Perché il totalitarismo in corso è diverso da quello del XX secolo: se la prende con un segmento della popolazione a doppia cifra percentuale, e dal popolo pretende atti di fedeltà a livello biomolecolare, pena una schiavitù da lager moderno.

 

 

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Immagine di Combine-17 via Deviantart pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-NC-SA 3.0)

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