Epidemie

4.486 anziani morti solo nelle RSA milanesi. Numeri al ribasso?

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Sono numeri e dati agghiaccianti quelli che emergono dal dossier finale sulle residenze per anziani dell’Ats di Milano pubblicato anche dal Corriere della Sera.

 

Le 162 strutture per anziani del milanese e della provincia di Lodi ospitano — o sarebbe meglio dire ospitavano — ben 17.000 pazienti, trovatisi a far fronte con la peggiore delle sfide: l’epidemia di Covid-19.

 

 L’Azienda territoriale sanitaria ha raccolto i numeri forniti dalle RSA da inizio emergenza ad oggi, stilando un documento che riporta il tragico risultato finale. 

Sono numeri e dati agghiaccianti quelli che emergono dal dossier finale sulle residenze per anziani dell’Ats di Milano

 

Tra i dati più drammatici vi è certamente quello legato ai decessi: al 20 maggio, il 26% dei morti ha avuto certamente il Covid-19, il 34% ha manifestato sintomi sospetti.

 

Queste informazioni «ci devono far riflettere» — dichiara Vittorio Demicheli, direttore sanitario dell’Ats.

 

Il dossier dimostrerebbe che nel momento peggiore del picco, ad inizio maggio, fra i 13.000 ospiti rimasti nelle RSA di Milano e Lodi, oltre 5.000 erano in isolamento, in stanze o reparti con altri malati, nel tentativo di preservare chi non era stato ancora infettato. 

 

Al 20 maggio, il 26% dei morti ha avuto certamente il Covid-19, il 34% ha manifestato sintomi sospetti

Il primo aprile gli anziani isolati erano circa la metà. Ma non è solo quel numero a dare evidenza del dilagare del virus. Una statistica più precisa racconta anche dei ritardi con i quali i malati sono stati individuati, certificati e quindi allontanati per provare a contenere il contagio. Il 1º aprile, infatti, in tutte le RSA della provincia risultavano già 539 casi accertati di Covid e 1.451 casi sospetti: numeri impressionanti e fin troppo taciuti.

 

La realtà è che per tutto il mese di marzo, in quasi tutte le zone d’Italia ma in particolare in Lombardia ed Emilia-Romagna, si è optato per non fare i tamponi agli anziani nelle case di cura, dedicando tutte le energie di diagnosi e le risorse agli ospedali. 

 

Da quando nel milanese e nel lodigiano, ad aprile inoltrato, si è iniziato il tamponamento tardivo anche nelle case di riposo, le proporzioni dell’epidemia sono emerse in tutta la loro tremenda portata: il 20 maggio (quando i morti nel frattempo erano già migliaia) i casi sospetti erano 175, e gli anziani ammalati con certezza di Covid 3.354.

 

Stesse proporzioni se si guarda solo il dato della città di Milano: sempre al 20 maggio, nelle strutture per anziani milanesi erano rimasti circa 5.600 ospiti (dai 7.210 che erano). Un mese prima, al 29 aprile, quasi 2 su 5 avevano contratto il nCoV — ovvero il 36%.

 

La realtà è che per tutto il mese di marzo, in quasi tutte le zone d’Italia ma in particolare in Lombardia ed Emilia-Romagna, si è optato per non fare i tamponi agli anziani nelle case di cura, dedicando tutte le energie di diagnosi e le risorse agli ospedali

Dal 20 febbraio al 20 maggio, in soli tre mesi, le strutture dichiaravano 4.486 ospiti morti. Il 59,6% dei decessi — più della metà — è attribuito al virus. Nelle strutture di Milano città si registra il valore più alto: 61,65%, 1.273 persone. 

 

Lo tsunami del contagio non ha risparmiato nemmeno gli operatori sanitari: nella fase acuta dell’emergenza, a fine aprile, il 40% dei lavoratori era assente sul totale di quelli in servizio, 3.500 per motivi legati al Covid.

 

I grafici e le tabelle disponibili servono a ripensare l’organizzazione di queste strutture: «I requisiti di accreditamento per le RSA — afferma il direttore dell’Ats milanese — valorizzano la loro capacità di favorire la socializzazione, anche con spazi adeguati. E proprio queste strutture ora fanno più fatica a contenere il contagio. Bisogna fare una riflessione per il futuro su questo segmento di assistenza». 

 

Lo tsunami del contagio non ha risparmiato nemmeno gli operatori sanitari: nella fase acuta dell’emergenza, a fine aprile, il 40% dei lavoratori era assente sul totale di quelli in servizio, 3.500 per motivi legati al Covid

Davanti ad un numero così esorbitante di anziani deceduti e infetti, sappiamo che soltanto una percentuale minima di loro è stata portata in pronto soccorso per le cure: mai più di 30 o 40 a settimana in città, perché proprio nei mesi dell’emergenza più pesante i pazienti più fragili non erano granché benvenuti in ospedale.

 

L’ormai famosa delibera di marzo della Regione Lombardia invitava le RSA ad assistere gli anziani sopra i 75 anni con sintomi sospetti e situazioni di fragilità all’interno delle strutture, perché si riteneva che il trasporto e l’attesa in pronto soccorso potessero peggiorare le loro condizioni.

 

Lo stesso avveniva in Emilia-Romagna, pur senza una certa ufficialità come è stato per la Lombardia. È evidente che alle residenze per anziani fosse chiesto di inviare il meno possibile gli ospiti in pronto soccorso, per non far collassare i reparti di terapia intensiva. L’ordine era chiaro: cercate di gestirveli all’interno delle vostre strutture, e inviateli solo in casi di estrema necessità. 

Purtroppo, molto spesso, quando si arrivava ai casi di «estrema necessità» era già troppo tardi: molti degenti sono morti soli, schiacciati dentro ad una scatoletta di tonno senza via d’uscita e senza poter accedere alle cure necessarie

 

Purtroppo, molto spesso, quando si arrivava ai casi di «estrema necessità» era già troppo tardi: molti degenti sono morti soli, schiacciati dentro ad una scatoletta di tonno senza via d’uscita e senza poter accedere alle cure necessarie.

 

Nondimeno il ritardo nei tamponi non ha solo reso difficile una sorta di diagnosi, ma ha generato errori sulle cure: se venissero consultate le cartelle cliniche dei pazienti deceduti nelle RSA di mezza Italia, forse si scoprirebbe che tanti di loro non sono stati curati con i farmaci sperimentali indicati dai protocolli sanitari per far fronte a Sars-Cov-2. Nel mese di marzo gli ospiti residenti in struttura morivano già, alcuni di loro anche ad aprile, ma non avendo eseguiti i tamponi nessuno saprà mai di cosa sono realmente morti, e le strutture si guarderanno bene dal prendersi la responsabilità anche di quei morti. 

Individuare i responsabili di questa tremenda ecatombe, dove ignoranza, superficialità e ritardo nelle azioni concrete sono state le armi che hanno permesso l’anzianicidio massivo al quale abbiamo dovuto assistere

 

I numeri «ufficiali», quindi, come già più volte ribadito, non corrisponderanno mai ai numeri reali. Resta il fatto che anche solo le morti di anziani certificate gridano vendetta al Cielo e obbligano ad una presa di coscienza che porti ad individuare i responsabili di questa tremenda ecatombe, dove ignoranza, superficialità e ritardo nelle azioni concrete sono state le armi che hanno permesso l’anzianicidio massivo al quale abbiamo dovuto assistere.

 

 

Cristiano Lugli

 

 

 

 

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