Pensiero

Vaccino «costituzionale», avevamo predetto l’assist del governo Meloni alla Corte

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Lo avrete visto, in settimana è stato depositato il testo della sentenza 14/2023 della Corte Costituzionale sulla legittimità delle misure volte all’allontanamento dal lavoro del personale sanitario che ha rifiutato la vaccinazione contro SARS-CoV-2.

 

Come noto, il responso era già stato anticipato, ma non le motivazioni.

 

Si è trattato di fatto, come tutti si aspettavano, di un giudizio finale (forse) sul green pass, ossia l’apartheid biotica inflitta a milioni e milioni di cittadini italiani, che hanno percepito i diritti espressi dalla Carta costituzionale calpestati uno per uno – a partire dal primo.

 

Anche se conoscevamo l’esito, non possiamo evitarci il senso di smarrimento di fronte alle parole del massimo collegio giuridico della Repubblica.

 

«Il rischio di insorgenza di un evento avverso, anche grave, non rende di per sé costituzionalmente illegittima la previsione di un obbligo vaccinale, costituendo una tale evenienza titolo per l’indennizzabilità» scrive la Corte. Cioè, se vi è sfuggita la logica: se ti risarcisco il danno, allora posso usare coercizione – se qualcosa va storto poi ti godi dei danari (magari dopo lunghissimi procedimenti, che per legge non riguardano le farmaceutiche produttrici), una situazione che, pare di capire, dovrebbe valere anche per chi muore.

 

In pratica, se lo Stato potenzialmente è disposto a pagarti, può farti del male – o anche ammazzarti. Il significato di questo passaggio ci fa venire le vertigini: è possibile esporre il cittadino ad un rischio di fronte alla prospettiva di una compensazione economica. Filosoficamente, questo è il trionfo più estremo dell’utilitarismo, la riprova che esso è oramai il sistema operativo dello Stato moderno. Ma non ne discuteremo qui.

 

Tranquilli, se si muore per il vaccino siam qui. Bisogna dire che non è la prima volta che provo questa sensazione. Ricordo bene, in era prepandemica, i discorsi dei dottori che vogliono vaccinarti con botte di polivalente il bambino: non si preoccupi, se il bimbo va in shock anafilattico, qui abbiamo il defibrillatore. Il genitore del piccolo vaccinando ha di che fidarsi: si dipinga nella mente l’immagine del corpicino di un piccolo di tre anni – il suo piccolo – mentre viene attraversato da immani scosse elettriche, sballonzolato violentemente, forse vivo, forse morto, sul tavolo di un ambulatorio.

 

Non fa una grinza: c’è il defibrillatore, allora vaccino il bambino. C’è l’indennizzo, se vengo danneggiato – magari ne muoio – quindi mi sottopongo immantinente alla sierizzazione genica sperimentale mRNA. La logica, come vedete, è la stessa. Rimedi e compensazioni, post-danno, e anche post-mortem.

 

La Corte va oltre, e ci parla di scienza: «in coerenza con il dato medico-scientifico che attesta la piena efficacia del vaccino e l’idoneità dell’obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus, la non irragionevolezza del ricorso ad esso, a fronte di un virus respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, e che può venire contratto da chiunque, caratterizzato da rapidità e imprevedibilità del contagio».

 

C’è un subordine del diritto alla Scienza, pare di capire. Già questo è un argomento enorme. Tuttavia ci colpisce come i supremi giudici parlino di riduzione della circolazione del virus. Ritenevamo che non fosse più un argomento che fosse possibile usare, dopo la confessione dinanzi al Parlamento Europeo della dirigente Pfizer, che ha ammesso che il siero mai era stato testato per ridurre il contagio – e così inficiando l’intera architettura internazionale delle restrizioni pandemiche.

 

La Corte, invece, rimane lì: bisogna vaccinarsi per salvare gli altri, e pazienza se il vaccino è dichiarato inefficace per questo scopo dalla stessa farmaceutica produttrice, pazienza se persino Bill Gates, che all’OMS «dona» molta più denari della Repubblica Italiana e sui vaccini ha investito forse ancora più soldini, sia arrivato anche lui a questa conclusione.

 

Pazienza perché, ripetiamo, c’è una «coerenza con il dato medico-scientifico che attesta la piena efficacia del vaccino e l’idoneità dell’obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus», una frase che oggi non comprendiamo come si possa giustificare.

 

Vi sarebbe molto altro da scrivere, tuttavia quest’articolo serve ad altro. Non riguarda la Corte Costituzionale, che, a differenza degli USA, mai si è resa vera protagonista della politica nazionale, ma, appunto, la politica stessa – cioè la politica del governo.

 

Vogliamo ricordare al lettore uno degli articoli di Renovatio 21 più letti negli scorsi mesi. Si intitolava «La trappola del decreto di reintegro dei medici non vaccinati». È stato pubblicato il 4 novembre 2022.

 

Lì mettevamo in guardia rispetto agli entusiasmi delle moltitudini rispetto al varo del decreto legge 162/2002, il primo atto del governo Meloni,  l’atto con cui la romana avrebbe – scrisse il quotidiano La Verità – «smontato la gabbia del COVID».

 

Il decreto – quanti non lo capirono! – non prendeva nessuna posizione rispetto alla siringa mRNA di Stato, si limitava ad accorciare (di pochissimo) i tempi: l’obbligo vaccinale per i sanitari decadeva quindi subito invece che a fine dicembre.

 

La manovra, quindi, ci era sembrata subito altamente sospetta.

 

«Non prendendo alcuna posizione sulla siringa di Stato, il decreto crea un vuoto che non può essere lasciato esistere, un vuoto che, immancabilmente, chiamerà qualcuno che lo riempirà. E noi pensiamo alla Corte Costituzionale» avevamo preconizzato.

 

«È inevitabile: quello che è considerato il più alto organo di garanzia di rispetto della Carta sarà chiamato, una volta per tutte, a dirimere la questioni dei vaccini, che si trascina dall’anno lorenziniano 2017, e che ora non è più rinviabile, specie quando la Costituzione è chiamata in causa da coloro che erano, e in larga parte ancora sono, giudicati dall’esprit du temps come nemici pubblici, i no-vax. Quindi, il decreto Meloni è un cross fatto in area per la Corte Costituzionale? Parrebbe: e aggiungete che il portiere è a farfalle i giocatori della difesa sono già negli spogliatoi. Basterà appoggiarla in rete».

 

Che possiamo dire? Il cross è arrivato in area, e l’attaccante – la Corte – l’ha schiacciata in rete: «l’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio trova giustificazione in quel principio di solidarietà che rappresenta la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» sono le parole della sentenza di cui stiamo parlando. In breve, il vaccino non solo è lecito, è coperto dalla Carta. Parole che resteranno per sempre; parole che a loro modo ora sono legge suprema.

 

È accaduto quello che temevamo: l’assist del governo ha prodotto il vaccino costituzionale.

 

Non è che lo diciamo noi piccoli sciagurati. Lo abbiamo sentito pochi giorni fa anche dalle labbra di un insigne costituzionalista, il professor Carlo Iannello, dell’Università Vanvitelli della Campania. In un’intervista a La Verità, il professor Iannello sostiene che «l’anticipazione del reintegro dei sanitari diventa così parte della motivazione che giustifica la ragionevolezza della norma. Cosa sarebbe successo se il governo non avesse anticipato la fine dell’obbligo vaccinale?»

 

Già, cosa sarebbe successo senza questa strana mossa di novembre? Glielo chiede anche il giornalista Alessandro Rico, che gli pone una bella domanda: «sta dicendo che, paradossalmente, il governo Meloni e il Ministro Orazio Schillaci hanno servito un assist alla Consulta per salvare il decreto di Mario Draghi?». Quel «paradossalmente» ci perplime, ma la domanda è più che buona, e pure la risposta.

 

«Ero qui che volevo arrivare» replica il costituzionalista. «Il giudice costituzionale ha potuto fare una valutazione ex ante, cioè mettendosi nella prospettiva del legislatore ad aprile 2021, proprio perché l’obbligo, a fine novembre 2022, non era più attuale. Altrimenti, la valutazione ex ante sarebbe stata impossibile: la Consulta non avrebbe potuto glissare sullo scenario Omicron».

 

«È impossibile pensare che sia stato fatto apposta?» chiede cautamente il giornalista.

 

«Non lo posso affermare», risponde con altrettanta cautela il professore.

 

Qui invece la palla l’abbiamo vista partire a novembre, quando tanti stappavano lo spumante.

 

Del resto, non è chiaro cosa vi aspettavate.

 

Il ministro della Sanità scelto dalla Meloni è un membro del CTS (davvero: pensateci un attimo). E non è che non si veda.

 

Scopriamo che la commissione sul COVID indetta dal deputato Galeazzo Bignami (che conosciamo perché aveva partecipato ad un evento di Renovatio 21 sul caso Bibbiano, tema per cui l’onorevole si era speso con generosità) riguarderà, a quanto capiamo, mascherine, respiratori, forse di Bergamo, e poco altro – non le morti improvvise (che, memento Camilla, erano partite da subito), non i decessi in eccesso (che stanno martoriando il pianeta), nemmeno i patti e gli SMS tra il CEO di Pfizer e la Von der Leyen. A capo della Commissione ci hanno messo l’onorevole Faraone renziano, quello che andava alla TV nazionale per dire: «spero che potremo approvare una legge che obblighi al vaccino tutti gli operatori sanitari, così come spero nell’approvazione di uno scudo penale per i medici… Trovo paradossale e incredibile che la nostra legislazione preveda che un medico vada sotto processo perché vaccina e al tempo stesso metta al riparo i medici che contagiano in corsia».

 

Il problema del biennio COVID, insomma, sono gli appalti per le mascherine. Un po’ come il problema di Palermo, «cioppo ciaffico».

 

La Meloni, ricordatelo, ha firmato al G20 di Bali per il passaporto vaccinale globale: non è che l’hanno obbligata, dicendole «firma qua o ti togliamo la tessera di sovranista». Il lettore capisce che è la stessa che ha dichiarato in ogni modo – facendolo dire perfino ai famigliari – che non avrebbe toccato l’aborto, cosa che poi ha rivendicato perfino nel suo discorso di insediamento, e piazzando come ministro della Famiglia Eugenia Roccella – un fenomeno che abbiamo chiamato, lo sapete, «inchino a Moloch», a cui la premier si è prestata con brio.

 

Noi dubbi non ne avevamo, almeno dal 25 settembre 2021 – abbiamo scritto 2021, non 2022. Ricordate? Piazza Duomo, sabato, qualcuno ha l’idea di far fare un comizio della Meloni – con megapalco e tesserati ammaestrati con le loro bandierine a favore di telecamera – proprio nel giorno e nelle ore in cui si ritrovavano spontaneamente in Piazza Fontana (cioè, a 100 metri…) i no green pass, numericamente molto, molto superiori ai sostenitori della Meloni.

 

Giorgia, rammentiamolo, in quel momento era all’opposizione. E il lavoro dell’opposizione, uno pensa, è saldare attorno a sé, per quanto possibile, ogni altra forza si opponga al governo. Un ammiccamento al popolo no-green pass le avrebbe fatto guadagnare chissà quanti voti. E invece niente. La Meloni praticamente fugge dalla scena. In piazza vi sono addirittura cenni di scontro tra i no-green pass e i sostenitori di FdI, con in mezzo i celerini.

 

Abbiamo spesso mostrato questi video. Dicono davvero tutto.

 

 

 

Quindi, davvero, cosa vi aspettavate?

 

Quanto a noi, che possiamo dire: Renovatio 21 ha avuto ancora una volta ragione. E con largo anticipo. A inizio novembre, tra i coriandoli per il decreto, avevamo visto partire il cross malefico. Avevamo fiutato la trappola.

 

Ora, se non l’avete ancora fatto, realizzatelo: di queste tagliole maledette ne vedremo ancora moltissime, alcune già ci hanno morso a sangue le gambe. Pensate all’Ucraina. Sono piazzate lì per immobilizzarvi, per ferirvi, per prendervi di sorpresa. Perché oramai siamo animali nel bosco, con i cacciatori che credono di disporre della nostra vita come credono.

 

Capitela una volta per tutte: le elezioni non hanno cambiato nulla. La battaglia per la vostra sopravvivenza è tutto meno che finita.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

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