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Utopia ed estinzione: il «paradiso dei topi» e noi

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Ciclicamente torna alla mente l’esperimento del paradiso dei topi del dottor John Calhoun. Si tratta di una storia scientifica sconvolgente che, a 60 anni di distanza, ancora non cessa di parlare all’uomo e alla sua società.

 

John Bumpass Calhoun (1917-1995) era un etologo americano che voleva studiare gli effetti della densità della popolazione sul comportamento animale. Utilizzando alcune colonie di ratti (dal 1958 al 1962) e di topi (dal 1968 al 1972), lo scienziato decise di creare quello che poteva chiamarsi un «paradiso dei topi», una situazione in cui la popolazione delle bestiole avrebbe goduto, senza sforzo alcuno, di tutto ciò di cui avevano bisogno: cibo, acqua, spazio, assenza di predatori.

 

Iniziò con quattro topolini, che nell’utopia murina creata da Calhoun si riprodussero velocemente. Tuttavia, nonostante l’abbondanza delle risorse, la popolazione del paradiso muride si estinse in quattro anni. Tale risultato lasciò perplesso lo scienziato: i topi disponevano di ogni risorsa per la sopravvivenza, tuttavia la loro società era collassata.

 

Calhoun quindi ripeté l’esperimento usando topi e ratti. Tuttavia il risultato era praticamente lo stesso: l’estinzione totale della popolazione subentrava in 1588 giorni. La società dei topi, tuttavia, sembrava iniziare a crollare già a partire dal 560° giorno.

 

Per descrivere il fenomeno del collasso della società animale, Calhoun inventò il termine di «behavioural sink» («fogna del comportamento»), termine che doveva rendere conto delle aberrazioni comportamentali a cui aveva assistito durante i suoi esperimenti. In un articolo intitolato Densità di popolazione e patologia sociale, pubblicato nel 1962 dal settimanale Scientific American, lo scienziato tentò di descrivere quanto accadeva ai topi del suo paradiso.

 

«Molti (esemplari femmine) non erano in grado di portare avanti una gravidanza sino al termine, o di sopravvivere al parto se fossero giunte alla fine. Un numero anche maggiore, dopo essere riuscite a partorire, vennero meno alle proprie funzioni materne».

 

«Tra i soggetti maschi, le distorsioni comportamentali variarono dal cannibalismo all’iperattività frenetica, all’emergere di un isolamento patologico, a causa del quale gli individui isolati uscivano per mangiare, dormire e muoversi solo quando tutti gli altri membri della comunità stavano dormendo. Anche l’organizzazione sociale degli animali ha mostrato uguale disgregazione»

 

«L’origine comune di questi disturbi divenne notevolmente manifesta nelle popolazioni della nostra prima serie di tre esperimenti, nei quali abbiamo osservato lo sviluppo di quello che abbiamo chiamato fogna del comportamento. Gli animali si affollavano insieme in grande numero in uno dei quattro nidi di interconnessione sui quali era mantenuta la colonia».

 

«Dai 60 agli 80 ratti si assembravano in un solo nido durante il periodo di alimentazione. I ratti singoli raramente avrebbero mangiato se non in compagnia di altri ratti. Come risultato, il nido scelto per mangiare aveva una densità di popolazione estrema, lasciando gli altri tre quasi vuoti. Negli esperimenti in cui si era sviluppata una fogna del comportamento, la mortalità infantile raggiunge quote del 96% tra i gruppi più disturbati della popolazione»

 

Nel suo esperimento più famoso della serie, chiamato «Universo 25», la popolazione raggiunse il picco di 2.200 topi e da allora in poi ha mostrato una varietà di comportamenti anormali, spesso distruttivi, tra cui il rifiuto di impegnarsi nel corteggiamento, le femmine che abbandonano i loro piccoli e l’omosessualità. Entro il 600° giorno, la popolazione era sulla via dell’estinzione.

 

Sebbene fisicamente in grado di riprodursi, i topi avevano perso le abilità sociali necessarie per accoppiarsi.

 

In pratica, l’Universo 25 era un mondo in cui vi erano più individui che ruoli sociali. La gerarchia dei topi era quindi instabile, poiché i ruoli erano sempre in discussione. I maschi alfa vivevano in preda allo stress di difendere il proprio territorio e le proprie femmine, fino al punto di rinunziare completamente al loro ruolo, divenuto psicologicamente e fisicamente insostenibile.

 

Con la conseguenza scomparsa dell’ordine sociale, i normali rapporti sociali divennero rapporti antisociali completamente distruttivi. I topi avevano perso ogni capacità di produrre legami fra loro.

 

Alcuni maschi divennero aggressivi al punto di formare bande che attaccavano le donne e i cuccioli. Altri divennero famelici pansessuali, cercavano di consumare rapporti sessuali con chiunque, maschio o femmina, giovane o vecchio.

 

Le femmine, esaurite dagli attacchi, si erano ritirate nelle parti più alte della colonia, formando gruppi di sole femmine. Tali esemplari «femministi», interessati più che mai a difendere il territorio e il loro gruppo, dimenticavano il ruolo di madri: non solo abbandonavano i piccoli, ma talvolta li attaccavano – di qui l’immane mortalità infantile che sfiorava il 100%.

 

Fu notato, inoltre, che vi erano casi di cannibalismo, un qualcosa che era del tutto immotivato, almeno dal punto di vista alimentare: il cibo, nel paradiso dei topi, era fornito in costanza ed abbondanza.

 

John Calhoun in uno spazio dell’esperimento, 1979

 

L’Universo 25 vedeva quindi crearsi tre categorie di topi.

 

I più deboli, psicologicamente instabili ma ancora sani nel corpo, si piazzavano al centro della colonia lasciando scorrere la vita nella noia, con sparuti e improvvisi atti autodistruttivi.

 

Le femmine, come abbiamo detto, formavano i loro gruppi monosessuali nelle parti alte della colonia.

 

Il gruppo interessante era quello che Calhoun chiamò dei «belli»: topi che erano sempre stati lontani da lotte violente e che non avevano mai mostrato interesse per la riproduzione, che sembravano assorbito solo dal piacere individuale dalla cura di sé. I «belli» passavano la vita a mangiare, dormire e lisciarsi scrupolosamente il pelo. Era pienamente distinguibili perché sul corpo, a differenza degli altri, non si vedevano ferite, ma solo un pelo bianco e lucido.

 

Altri gruppi intanto affogavano nel cannibalismo insensato, nell’omosessualità vorace e nei comportamenti violenti. A neanche 600 giorni dalla sua creazione, l’Universo 25 collassava. L’estinzione definitiva era segnata.

 

Il bioeticista polacco

Jan Kuba ha tracciato uno schema analitico dell’esperimento nelle fasi di sviluppo e distruzione della società dei topi.

 

Fase A. Giorno 1. Periodo di lotta. Stabilire territori e fare nidi. Primi figli nati.

 

Fase B. Giorno 105. Periodo di sfruttamento. Rapida crescita della popolazione. Gerarchia sociale stabilita. Prole più alta in quelli con dominio sociale.

 

Fase C. Giorno 315. Fase di stagnazione. La crescita della popolazione rallenta. I maschi diventano femminizzati. Le femmine diventano aggressive, assumendo ruoli di maschi. La violenza diventa comune. Il disordine sociale sale alle stelle. I topi maschi iniziano ad assumere ruoli femminili (transgenderismo del topo). L’omosessualità del topo inizia a emergere. La pedofilia dilaga: «iniziano a montare i giovani». La fertilità diminuisce nelle femmine. Le madri rifiutano i loro piccoli.

 

Fase D. Giorno 560. Fase della morte. La popolazione crolla. «Nessun giovane sopravvissuto». Le femmine non riproduttrici ricorrono a mangiare, pulirsi e dormire. Nessun interesse per la socializzazione. Nessuna abilità sociale appresa dai sopravvissuti rimanenti. Nessuna capacità di essere aggressivi, il che significa nessuna capacità di difendere i loro piccoli oi loro nidi. Evitamento di tutte le attività stressanti, incluso qualsiasi cosa che assomigli alla competizione. Preoccupazione per la cura e l’attrattiva fisica. Incapacità di affrontare le sfide del mondo reale. Solo l’apparenza esteriore di essere superiore, ma privo di capacità cognitive e sociali. Totalmente incapace di riprodursi, allevare cuccioli o competere per qualsiasi cosa.

 

In un articolo scientifico in cui cercava di tirare le somme dei suoi esperimenti, Calhoun arrivò a parlare di «morte al quadrato», cercando di scrivere l’equazione del declino della società.

 

«Mortalità, morte del corpo = la seconda morte

Drastica riduzione della mortalità = morte della seconda morte = morte al quadrato = (morte)²

(Morte)² porta al disfacimento dell’organizzazione sociale = morte delle classi dominanti

Morte delle classi dominanti porta alla morte spirituale = perdita della capacità di impegnarsi in comportamenti essenziali per la sopravvivenza della specie = la prima morte

Quindi: (Morte)² = la prima morte»

 

L’esperimento di Calhoun si inseriva nel giro di quelli che tentavano di dare dimostrazione pratica dell’allarme per la sovrappopolazione  – poi rivelatosi, come sappiamo, una bufala mandata in giro, per decenni, dai signori della Necrocultura, una balla che, Greta docet, ancora va avanti.

 

Tuttavia, il paradiso dei topi negava il fondamento stesso del pensiero depopolazionista (vedi Paul Ehrlich, ora ovviamente invitato in Vaticano), ossia il malthusianesimo: le società crollavano non per mancanza di risorse, ma al contrario, per l’abbondanza di esse. Alle bestiole dell’utopia muride non mancò mai nulla. Cibo. Acqua. Protezione dai predatori e dalle intemperie: erano schermati dalla morte e dal rischio, dallo sforzo e dal dolore. E, a quanto pare proprio per questo, il loro mondo implodeva nell’orrore e nell’aberrazione.

 

È impossibile a chiunque non vedere oggi dei paralleli inquietanti con la società umana dell’ora presente.

 

– La nostra società celebra le donne che uccidono i loro figli, per aborto o per infanticidio. Il femminismo, l’idea di una società anche solo composta da femmine dove il maschio è assente, è fonte di ispirazione.

 

– Omosessualità e transgenderismo sono apparsi nella nostra società in modo impellente. Non solo il loro fenomeno è evidente, ma è oramai inevitabile la loro nobilitazione.

 

– Stessa cosa dicasi per la pedofilia e il cannibalismo, che, come riconosce il lettore di Renovatio 21, stanno facendo il loro viaggio attraverso la Finestra di Overton. I giovani e i vecchi sono abusati e sfruttati: uccisi, eutanatizzati, usati come parti di ricambio dalla scienza farmaceutica o come concime dalle nuove leggi di inumazione dei cadaveri.

 

– La nostra società è aperta a elementi si violenza improvvisa e gratuita, talvolta anche diretta contro se stessi.

 

– Le capacità di legame sociale sono terminate: la quantità di stronzi che vi hanno urlato di mettervi la mascherina nel biennio COVID e quella di coloro vi suonano col clacson mentre vi speronano con l’automobile ne sono la dimostrazione lampante.

 

– Il narcisismo domina ampi settori della società: i selfie, i vestiti della moda costosa sino al parossismo lo stanno dimostrando. Così come la celebrazione dell’edonismo di chi, come il gruppo dei topi «belli», passa il tempo a godere dei piaceri della vita, il cibo degli chef, il relax alla spa, e poi tante ore a truccarsi ed agghindarsi, come le serque di influencer, di Instagram model che arrivano dritte al vostro telefonino. (Che la moda poi possa riflettere sempre più il collasso sociale rappresentato dai suoi stessi clienti, è significativo)

 

– Il crollo della fertilità maschile e femminile è un dato su cui poniamo sempre attenzione: ora, con il vaccino COVID, possiamo dire che la cosa è stata perfino accelerata dal programma.

 

– Tribalizzazione della società, con polarizzazione estrema tra gruppi sociali.

 

– Disinteresse totale per la riproduzione umana, vista anzi come problema per il godimento edonista dell’individuo e per l’esistenza stessa del pianeta, disinteresse che si riflette pienamente nell’ascesa delle perversioni sessuali che divengono sempre più mainstream.

 

– Il tutto accade in un modo sempre più intriso della mistica del welfare state, uno «stato sociale» onnipervadente che rende ogni lavoro inutile, in quanto il «reddito di cittadinanza» è, come per i topi, garantito fino alla fine del mondo.

 

Diteci, per favore, quale di queste voci non vi sentiate di spuntare.

 

«In sintesi, la popolazione in sé non è il problema. Il collettivismo e lo stato sociale sono ciò che porterà all’auto-annientamento dell’umanità» scrive Mike Adams di Natural News, che ha ritirato fuori con saggezza l’esperimento del paradiso topolino. Come afferma l’economista afroamericano Thomas Sowell, «lo stato sociale protegge le persone dalle conseguenze dei propri errori, consentendo all’irresponsabilità di continuare e di prosperare tra circoli sempre più ampi di persone».

 

«La mancanza di sfide rovina gradualmente il comportamento delle generazioni successive di una popolazione. Questa degenerazione è inevitabile e porta all’eventuale autoestinzione. A causa della mancanza di sfide, l’estinzione di una popolazione è inevitabile. Dura diverse generazioni, ma è inesorabile» concludeva il bioetico Kuban.

 

Dove cibo e altre risorse sono prontamente disponibili, i bambini non imparano a conoscere la competizione, la scarsità, le abilità, la socializzazione o il merito. Per quanto possa sembrare controintuitivo, è la scarsità che si traduce in apprendimento e leadership, e senza scarsità c’è solo ingordigia, apatia e collasso.

 

Nota bene, quindi: il crollo della società passa anche soprattutto per il crollo dell’educazione, con i bambini che, quando non sono cannibalizzati o stuprati, non trovano più alcun modello di comportamento offerto dagli adulti, divenuti accidiosi, pazzi e orrendi. Senza un’immagine superiore da seguire – un’immagine spirituale, verrebbe da dire – la prole è destinata a morire o diventare parte dell’orgia di sangue in cui si trasforma la società.

 

Insomma: il paradiso dei topi è una bella fotografia di quello che sta succedendo. A noi. Ora.

 

Non è improbabile che coloro che controllano il gioco conoscano questo esperimento, e non stiano facendo altro che accelerarlo, osservando la nostra disintegrazione con sadica soddisfazione.

 

Del resto, da più di due anni a questa parte, il nostro status di cavie – cioè di topi da laboratorio – è conclamato.

 

Fino a quando accetteremo di essere i topolini dei loro esperimenti, non c’è speranza che possiamo evitare il declino rivoltante della nostra società, e la probabile estinzione.

 

Credo che questo possa avvenire già entro 80 anni – a meno che non ci impegniamo nella rigenerazione dell’umanità del XXI secolo.

 

Non è una cosa da poco. Ma non c’è scritto da nessuna parte che dobbiamo fare la fine del topo. No.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

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