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Un esercito di trombati: bestiario semidefinitivo del voto mancato

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La nuova legge elettorale ha fatto un massacro. È evidente. Si tratta purtuttavia, per certuni invasati della Schadenfreude (l’intraducibile parola tedesca che significa la gioia per la disgrazia altrui) di uno spettacolo bellissimo.

 

I trombati famosi sono un esercito. E ciascuno dei casi riveste un significato talvolta enorme, oltre che, appunto, spettacoloso.

 

La nuova legge elettorale, che sia chiaro noi abbiamo combattuto e che vorremo vedere ritirata, ha trasformato ogni circoscrizione in un ring, un’ottagono da MMA, dove alla fine si finisce in uno scontro all’ultimo sangue tra due celebrità.

 

I risultati non cessano di impressionare. Perché dietro ogni trombato VIP c’è un segno importante, talvolta anche assai spudorato.

 

Come nel caso di Di Maio: battuto in casa da Costa, il ministro da lui stesso lanciato in ben due governi, un politico che non possiamo dire che ha brillato sui giornali come la stella di Giggino nell’ultima decade. Il dato fondamentale qui è capire cosa ha fatto l’elettorato: scegliere l’homeboy Di Maio, che pure può aver fatto felice chissà quale indotto di famiglie sul territorio, oppure stare con la certezza del partito che ha distribuito il reddito di cittadinanza? In Campania come in Puglia non hanno esitato un secondo: valanghe di voti ai grillini rimasti tali.

 

Casini ha battuto Sgarbi a Bologna, e a breve festeggerà 40 anni in Parlamento. Anche qui, impressiona più che altro l’elettorato: ancora una volta, il PD telecomanda il voto verso uno straniero, uno che addirittura è stato lungamente al governo con Berlusconi. Il popolo obbedisce. Sgarbi è amareggiato. Renovatio 21, tuttavia, continuerà a considerarlo un «tesoro nazionale vivente».

 

Non ce l’ha fatta Bossi, che ora non le sta mandando a dire a Salvini.

 

Non ce l’ha fatta Tremonti, passato da Forza Italia alle simpatie leghiste alla candidatura a Milano con FdI: è stato sconfitto dall’ex pannelliano Benedetto della Vedova.

 

È passata la sorella di Stefano Cucchi, che si è imposta su una meloniana distributrice di film talvolta protestanti.

 

La Santanché ha distrutto l’ex dirigente del Fondo Monetario Internazionale Carlo Cottarelli, opinionista mediatico già ipotesi di Mattarella per la presidenza del Consiglio dopo le elezioni 2018, il sorriso che gli tira perennemente i lineamenti, forse anche ora, chissà.

 

A Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia, si è consumato forse lo scenario simbolico più atroce: Isabella Rauti, figlia del volontario RSI e fondatore di Ordine Nuovo Pino Rauti batte Emanuele Fiano, figlio di un deportato ad Auschwitz (e membro del PD che inneggia apertamente al partito del Nuovo Ordine Mondiale).

 

A Roma, una giornalista non notissima candidata FdI ha stracciato Calenda e pure la Bonino, che ora chiede il riconteggio stile Al Gore nel 2000.

 

La Cirinnà è stata più che doppiata in Lazio dalla concorrente candidata del centrodestra.

 

Specularmente, non ce l’ha fatta Pillon, il catto-pro-family in quota Lega. Era stato chiesto, anni fa, di far scendere Salvini dal Pillon: desiderio esaudito, e oltre – Pillon è sceso anche lui.

 

Pierluigi Lopalco, che conosciamo da illis temporibus come arconte del vaccinismo duro e puro dai tempi della Lorenzin, ha ottenuto quasi la metà dei voti dello sfidante leghista – in Salento. Lopalco è consigliere regionale pugliese, ha servito come assessore alla sanità prima di lasciare in polemica col governatore Emiliano.

 

Al contrario, parrebbe che Crisanti ce l’abbia fatta. Il dorato mondo della virologia, insomma, gliela. Virus e vaccini hanno ora la loro proiezioni politica parlamentare.

 

La ex ragazza calendario neocalendiana Mara Carfagna era arrivata quarta in circoscrizione Napoli Fuorigrotta ma pare sia stata ripescata in Puglia.

 

Pippo Civati dovrebbe essere fuori dal Parlamento. Se non sapete chi è non è un problema.

 

Claudio Lotito, il discusso patron della Lazio, eletto in Molise. Rita Dalla Chiesa acclamata a Molfetta. Pure Tabacci, vero highlander DC distributore di simboli elettorali, gliel’ha fatta in Lombardia, a differenza del «socio» Di Maio.

 

Il ministro renziano Teresa Bellanova sarebbe fuori, e forse, a meno di ribaltoni di conteggi, Stefania Prestigiacomo, già ministro berlusconiano che era in Parlamento da 28 anni.

 

Andrea Romano, già montinano di Scelta Civica poi passato tranquillamente al Partito Democratico nonché persistente volto TV con neo importante, è fuori. Lo è anche l’ex governatore della Toscana PD Enrico Rossi. La Boldrini pare invece si sia salvata, forse.

 

La Gelmini, passata con Calenda, è stata battuta dall’ex ambasciatore negli USA Giulio Terzi di Sant’Agata nella circoscrizione di Treviglio.

 

L’ex ministro dell’Istruzione Azzolina, nota per i banchi rotanti che non sappiamo bene che fine abbiano fatto, non gliela ha fatta. Stesso destino di Vincenzo Spadafora, già presidente di UNICEF Italia ed ex ministro per le politiche giovanili e lo Sport nonché partecipante al gay pride di Pompei: non rieletto.

 

La Lega perde Giulio Centemero, già deputato e tesoriere del partito e pure il viceministro delle Infrastrutture Alessandro Morelli, assai popolare sul web.

 

Ci fermiamo qui ma temiamo che la lista potrebbe andare avanti moltissimo – stiamo infatti evitando di nominare i personaggi, alcuni già parlamentari, del domofugismo antisistema (avete presente: gli scappati di casa).

 

Ci preme ribadire come questo spettacoloso massacro, cagionato da una legge elettorale stupida e diciamo pure iniqua, nasconde una quantità di significati che, come dicevamo in un precedente articolo, è multidimensionale.

 

Il panorama parrebbe molto cambiato, con segni davvero impressionanti.

 

Ciononostante, non siamo sicuri che cambierà il Paese. Proprio per niente.

 

 

 

 

 

 

 

 

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