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Se non ti vaccini ti toglieranno il lavoro

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Avevamo appena finito di dirlo solo ieri, e già il totalitarismo vaccinista porta concretamente l’attenzione sugli adulti.

 

Tutto parte, come sempre, dall’Emilia Romagna: nota apripista sulle campagne di vaccinazioni massive e obblighi di legge.

 

Non bisogna dimenticare, infatti, che l’ex regione rossa dove il PD è inesorabilmente caduto, è stata la prima ad introdurre l’obbligatorietà delle vaccinazioni per i bimbi frequentanti i nidi.

 

Amareggiata da una storica sconfitta, ma rincuorata – probabilmente – dal passaggio all’uninominale di Modena del Ministro Lorenzin Beatrice, la regione capitanata dal Presidente Stefano Bonacini rialza la testa stilando regole ferree a proposito degli operatori sanitari.

 

Se lo spauracchio pareva essere scampato per mancanza fondi – seppur la proposta fosse già stata lanciata a ridosso del PNPV 2017\2018 -, ora la cosa si fa seria e i fondi, come d’incanto, sono intanto comparsi per l’Emilia. Gli insegnanti, che erano parte integrante del primo progetto, per ora paiono averla scampata.

 

Tutto proverrebbe dalla giunta regionale, che basandosi su un documento redatto dai medici competenti delle Asl, stabilisce con una delibera che nei reparti di ematologia, neonatologia, oncologia, pediatria ostetricia e malattie infettive, oltre che nei Pronto soccorso e nei Centri trapianti dell’Emilia-Romagna, potranno lavorare solo gli operatori sanitari – quindi medici, infermieri, ostetriche – che risultano immuni nei confronti di morbillo, parotite, rosolia e varicella.

 

L’MPR+V, il vaccino delle scoperte di Andrew Wakefield – nome, questo, che ha l’effetto di terrore sull’apparato transnazionale delle farmaceutiche mandando in tilt un sistema di giochi di potere che presumeva di essere inattaccabile, o quantomeno difficile da scalfire – ora viene rilanciato non sono obbligatoriamente sui bambini, ma anche sugli adulti: partendo dai soggetti su cui più potrebbe vigere la scusante del rischio infettivo o biologico.

 

La strategia è sempre la stessa: la finta preoccupazione per gli operatori attivi in questi ambienti sanitari, e i sensi di colpa con cui si cerca di far leva sui medesimi: «potreste contagiare soggetti più deboli di voi, poveri ammalati senza difese immunitarie».

 

E si badi bene che non è una scelta.

 

Nel caso in cui venga accertata l’assenza di immunità nell’operatore e il rifiuto o l’impossibilità a sottoporsi alla vaccinazione specifica, il medico del Lavoro (ovvero il medico competente) rilascerà un giudizio di idoneità parziale temporanea, con limitazioni a non svolgere attività sanitaria nelle aree ad alto rischio e a non prestare assistenza diretta a pazienti affetti dalle quattro patologie, perché potrebbero contagiare l’operatore stesso ed i propri pazienti.

 

Una sorta di pressione sulla carriera professionale da cui nessuno più, se tiene al proprio lavoro e se non vuol essere prossimo all’emarginazione sociale e lavorativa, potrà sfuggire.

 

Nella nota proveniente dalla Regione si legge che il documento emanato «è pienamente coerente con le normative in materia di tutela dei lavoratori e dei pazienti. L’obiettivo è tutelare l’operatore sanitario e i pazienti assistiti».

 

«È una questione di civiltà. È nostro dovere – dicono il Presidente Bonacini e l’assessore alle politiche per la salute Sergio Venturi – proteggere l’operatore sanitario che, per motivi professionali, è maggiormente esposto al contagio, e gli utenti del servizio sanitario, dunque i pazienti, spesso in condizione di fragilità e quindi esposti a un grave pericolo per la salute».

 

Cosa faranno ora i sindacati?
Qualcuno si è occupato di un’eventuale contrattazione?
Cosa prevede, ora, il CCNL che fino a prima non vedeva nessun obbligo di questo tipo e in questo specifico campo?

 

Ma, soprattutto, chi saranno i prossimi ad essere infilati dentro al tritacarne farmaceutico della popolazione adulta?

 

Cristiano Lugli

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