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Perché le grandi imprese vogliono l’aborto?

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Il caos scaturito dal ribaltamento della sentenza Roe v. Wade da parte della Corte Suprema americana – ossia, la fine dell’era dell’aborto considerato diritto con copertura costituzionale implementabile a livello federale – sta portando a galla moltissime cose.

 

È stato notato come siano cambiato i linguaggi, e le immagini, usati dal fronte abortista: prima si tendeva a cancellare del tutto il fatto biologico, l’aborto nella sua essenza materiale, per eliminare ogni riferimento all’omicidio del bambino. Oggi invece, come vediamo da innumerevoli video finiti in rete, gli abortisti rivendicano apertamente – e con ghigno sprezzante – l’uccisione dei bambini.

 

Gli abortisti stanno attaccando centri di aiuto alla maternità e pure chiese cattoliche durante la Santa Messa – emerge quindi che, a differenza dei genitori di bambini contrari al gender a scuola considerati domestic terrorists dall’FBI, se è per il feticidio, il terrorismo (con tanto di bandiere bruciate) è tollerato dagli USA e dagli arbitri morali della Nazione.

 

Sono saltati fuori idoli conservatori che ora si dicono talmente sconvolti dalla fine dell’aborto che dicono che ora sono disposti a votare democratico: è il caso del fondatore del popolare sito Barstool sports David Portnoy, divenuto per qualche ragione importante per una certa area giovane di Partito Repubblicano e dintorni. (Il ragazzo è già finito in qualche controversia sessuale, forse pure fatta per incastrarlo)

 

Molti nodo stanno venendo al pettine.

 

Ad esempio – tema su cui in tanti anni non abbiamo sentito nulla – il ruolo che le aziende private hanno nella questione dell’aborto.

 

Il giornalista americano Tucker Carlson lo ha spiegato mirabilmente in un monologo visto la settimana scorsa alla TV americana.

 

«Non è semplicemente un attacco esplicito alla legittimità del terzo ramo del governo, la Corte Suprema. Non è solo un attacco al diritto delle persone di autogovernarsi. È qualcosa di più grande di questo. Quello che vedete è un attacco coordinato alla famiglia e ai bambini».

 

«Le persone a queste proteste sono arrabbiate all’idea che i bambini stiano nascendo. Guarda cosa sta succedendo. Non è certo un’esagerazione. Ecco una fotografia s(…)  di questo fine settimana. È stata fatta fuori dalla Corte Suprema. Mostra una madre che umilia i suoi figli in pubblico, il che implica che sono un peso per lei perché sono ancora in vita. Abbiamo visto cose del genere ovunque e proteste a favore dell’aborto spesso sotto gli occhi dei bambini».

 

Carlson ha quindi mostrato un’immagine che anche Renovatio 21 ha pubblicato, quella di una madre abortista con dei bambini e il cartello «non forzate questo su nessuno».

 


 

«Allora, di cosa si tratta, esattamente? Che dire che il pensiero di avere figli rende queste persone così arrabbiate? Da dove viene un atteggiamento del genere?» si chiede il giornalista statunitense.

 

«Ebbene, a quanto pare, quell’atteggiamento viene dallo stesso punto in cui il Partito Democratico ora ottiene tutti i suoi atteggiamenti, direttamente dall’America delle multinazionali».

 

«Corporate America [cioè, l’America della grandi aziende, ndr] ti vuole senza figli e questo è un grande cambiamento. Cento anni fa le grandi aziende costruivano alloggi per le famiglie dei propri dipendenti e poi scuole e biblioteche per educarli. Era una cosa umana da fare, ma all’epoca sembrava anche una cosa di buon senso per gli affari».

 

È vero. Quanti esempi, anche in Italia, di questo tipo: intere industrie, costruite lungo quasi due secoli, dove i «padroni» e, fino a un certo punto, le generazioni di discendenti, conoscevano tutti gli operai e le loro famiglie, dava loro una casetta (una casetta, attenzione: non un appartamento in un alveare) e magari pure un pezzettino di giardino su cui fare l’orto.

 

Tuttavia, quel paradigma è finito.

 

«Se volevi lavoratori su cui poter contare, dovevi prenderti cura di loro e della loro prole, ma nel tempo quell’accordo è diventato costoso».

 

«I dipendenti con famiglie chiedevano salari più alti per mantenere i propri figli e, in molti casi, formavano sindacati per ottenere quegli aumenti. Quindi, il costo del lavoro è aumentato vertiginosamente».

 

«Quindi l’America delle grandi aziende, in risposta a ciò, ha sviluppato un nuovo modello: assumere donne single. In molte grandi aziende, compreso il settore bancario tradizionalmente maschile, le giovani donne ora costituiscono la maggioranza dei nuovi dipendenti e puoi capire perché lo fanno. Lavorano sodo, sono affidabili. Tendono ad essere fedeli alle aziende per cui lavorano».

 

Con una controindicazione: «l’unico aspetto negativo dell’assunzione di giovani donne è che possono rimanere incinte».

 

Esempio concreto:

«Se gestisci il dipartimento delle risorse umane di Citibank, questa è l’ultima cosa che desideri. I figli rendono il tuo piano sanitario più costoso. Peggio ancora, tendono a competere con l’attenzione del dipendente. Rispondere alle e-mail dopo il lavoro sembra meno urgente per la maggior parte delle neomamme che mettere a letto i propri figli».

 

Per cui, logicamente, «questo è un grosso problema per le grandi aziende, quindi hanno tutti gli incentivi per impedire ai loro lavoratori di avere figli».

 

Il baratto esistenziale a cui sono costrette le donne, se visto nella sua essenza, è orrendo, spaventoso.

 

«Non puoi dirlo ad alta voce, ovviamente. Sarebbe troppo ovvio. Dacci gli anni migliori della tua vita e in cambio ti pagheremo quello che è effettivamente un salario di sussistenza in qualunque inferno urbano troppo costoso in cui risiediamo e poi ti prenderemo l’unica cosa che potrebbe dare alla tua esistenza un significato e gioia nella mezza età , che è avere figli».

 

«Questo è l’affare che stiamo offrendo. Questo è l’accordo che stanno offrendo, ma non possono dirlo. Sembrerebbe proprio che questo sia sfruttamento. Uno sfruttamento non peggiore di quello delle ragazze di 14 anni che lavoravano nei campi di cotone».

 

Proprio così: il lavoro femminile diviene l’esatto contrario di ciò che crede di essere – non emancipazione, ma sottomissione. La parità dei sessi ha prodotto nella donna qualcosa di terrificante, una schiavitù biologica che mai la storia umana aveva visto prima.

 

«Quindi, invece di dire questo, che è la verità, l’America delle grandi aziende usa il linguaggio del movimento sociale che ha creato, il femminismo, per trasformare l’intero accordo come una sorta di movimento di liberazione progressista. “Combatti il ​​patriarcato. Abortisci. Non ha nulla a che fare con l’abbassamento del nostro costo del lavoro, lo promettiamo”. Ma ovviamente, ha tutto a che fare con l’abbassamento dei loro costi di manodopera».

 

Carlson ha qui il coraggio non solo di denunciare l’infelice falsità del femminismo, ma pure le sue origini: il femminismo è stato creato dal grande Capitale.

 

Ecco spiegata anche l’ora presente, con le multinazionali che asseriscono non solo il loro favore al figlicidio, ma anche la disponibilità a pagarlo col danaro aziendale.

 

«In tutto il Paese stanno usando questo argomento: l’aborto come liberazione. Molte delle più grandi aziende americane stanno ora pagando dipendenti donne per abortire, per porre fine alle loro gravidanze. Ciò includerebbe Microsoft e Apple, Facebook, Yelp, Netflix, Comcast, Goldman Sachs, Citibank, JP Morgan, Nike, Starbucks, etc.».

 

C’è quindi l’esempio della catena di articoli sportivi Dick’s Sporting Goods, che «offre alle dipendenti  fino a 4.000 dollari se abortiscono. L’azienda offre lo stesso importo alle dipendenti donne che desiderano avere figli?»

 

In pratica, aziende senz’anima hanno deciso che privare i dipendenti di una vita personale – cioè, ad un certo punto, di una famiglia – li rende più produttivi, e più economici.

 

Questo è ciò che è successo in tutto il mondo, ma piuttosto che metterlo in discussione o resistergli, il pubblico progressista, magari dotato pure di un’istruzione universitaria, «annuisce in un vigoroso accordo bovino e poi diventa completamente isterico quando qualcuno suggerisce che forse c’è un altro modo di vivere,» dovere «avere figli potrebbe essere più gratificante come scelta di vita rispetto a fare il pendolare in una baraccopoli con i mezzi pubblici per farsi strada fino ai quadri intermedi della Deutsche Bank».

 

Conosciamo i tanti benefit che lo stile di vita creato dal capitale offre: weekend Ryanair in giro per il mondo, migliaia di ore di Netflix con cui narcotizzarsi, sesso occasionale potenzialmente con chiunque e qualsiasi cosa, il consumo di cultura (concerti, libri che ti fanno sentire intelligente), il miraggio del benessere tra l’Ikea e l’auto a rate, magari qualche droga illegale, o pure qualche droga legale (una bella dose di barbiturici, di benzodiazepime, di SSRI, a chi vogliamo negarla?).

 

Oramai chiunque sa che tutte queste cose nemmeno lontanamente coprono quel vuoto invincibile che entra nelle vite di chi è senza figli.

 

Strumenti di distrazione esistenziale di massa – in realtà, strumenti massivi di sterilizzazione.

 

Questo ci porta alla scelta esistenziale di milioni di persone ipnotizzate dallo Stato delle Multinazionali e dalla sua «etica» artificiale, da cui non è possibile dissentire.

 

Come nota Tucker: «scegliere una famiglia al posto di servire capitalismo globale? È disgustoso, stai zitto».

 

Diciamo che, a questo punto dell’articolo, molte cose dovrebbero essere più chiare – anche qui in Italia.

 

Forse ricorderete le prime pagine dei quotidiani italiani dopo la sentenza della Corte Suprema americana.

 

Il Corriere: «Obama è un attacco alla libertà» «Biden: tragico errore, siamo gli unici al mondo».

 

Il Messaggero (di proprietà del gruppo Caltagirone): «Aborto USA, diritto negato».

 

La Stampa di Torino (cioè, degli Agnelli): «L’America che odia le donne».

 

La Repubblica (sempre degli Agnelli): «Shock in America, l’aborto non è più un diritto».

 

Domani (di Carlo de Bendetti): «Cancellato il diritto all’aborto. Gli USA tornano indietro di 50 anni».

 

La pubblicazione dell’ebreo ora svizzero riassumeva bene, con più coraggio, quello che tutti i giornali stavano cercando di scrivere: la protezione dei non nati come  «regressione» della società moderna. La fine dell’aborto, per le gazzette oramai prive di lettori materiali, è un flagello mai visto.

 

E adesso, chiedetevi: a chi appartengono i grandi giornali italiani? A grandi gruppi industriali, a gruppi finanziari, qualcuno appartiene a Confindustria, in alcuni casi ci sono state dietro direttamente le banche.

 

Ecco perché diciamo, una volta per tutte, che l’unica vera battaglia proletaria è quella per la vita. La battaglia proletaria è naturaliter contro l’aborto.

 

Perché, etimologicamente, i proletari sono coloro che hanno i figli, forse hanno solo quelli: eccoci, siamo noi, ci riconosciamo pienamente nella definizione.

 

Noi amiamo i nostri figli, noi ci commuoviamo alla nascita dei bambini, consideriamo sia la più sacra necessità dell’universo.

 

Non permetteremo mai – mai! – che il capitalismo terminale, le sue filosofie funebri e i suoi eserciti atlantici, ce li portino via.

 

Donne, uomini, svegliatevi: siate pronti alla guerra proletaria contro il Capitale globale della Necrocultura.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

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