Epidemie

Perché è ora di riaprire scuole ed asili

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Sono passati più di due mesi da quando le Regioni più colpite dall’emergenza COVID-19 hanno deciso di chiudere senza pietà tutti i servizi educativi: asili nido, scuole materne, scuole più in generale. 

 

Dopo poco ha fatto seguito il Governo, chiudendo tutto, incluse le università. 

 

Lo Stato e le Regioni, sostanzialmente, hanno scaricato la palla tutta addosso alla famiglie, che da un giorno all’altro, senza alcun preavviso, si sono trovate con i figli a casa, abbandonate da tutti i servizi per i quali hanno sempre pagato le tasse che il nostro Paese affibbia al cittadino.

Lo Stato e le Regioni, sostanzialmente, hanno scaricato la palla tutta addosso alla famiglie, che da un giorno all’altro, senza alcun preavviso, si sono trovate con i figli a casa, abbandonate da tutti i servizi per i quali hanno sempre pagato le tasse che il nostro Paese affibbia al cittadino

 

Non siamo certo dei fan della scuola pubblica, e nemmeno di quel modello di famiglia che la società moderna ha voluto creare, dove i genitori fanno figli (pochi) per piazzarli all’asilo quando ancora nemmeno camminano. Madri costrette a lavorare per pagare le rette dell’asilo: un discreto paradosso, insomma.

 

Allo stesso tempo non possiamo non vedere nelle decisioni prese a fine febbraio qualcosa di veramente ingiusto, perché non si è lasciato nemmeno il tempo alle famiglie lavoratrici di organizzarsi, né tanto meno si è offerto loro un aiuto, un supporto, qualcosa di alternativo per far fronte all’emergenza organizzativa.

 

In quel frangente certamente i dati disponibili erano pochi, e nello tsunami che stava travolgendo l’Italia nessuno, fra virologi e politici, ci aveva veramente capito qualcosa — e a dire il vero nemmeno adesso a quanto pare.

 

Non si è lasciato nemmeno il tempo alle famiglie lavoratrici di organizzarsi, né tanto meno si è offerto loro un aiuto

È però indubbio che il danno venutosi a creare non riguarda solo i genitori, ma anche e soprattutto i bambini, scaraventati in una dimensione piuttosto confusa e provandoli, fra chiusura di asili e quarantena forzata, di ogni spazio sociale. I bambini sono stati senza dubbio i veri dimenticati. 

 

Nelle città ci sono creature rimaste chiuse in appartamento per più di due mesi. Se pensiamo poi ad un dato inconfutabile, ovvero alla mancanza di famiglie numerose e, quindi, di bambini sempre più soli, privi di fratellini o sorelline con cui giocare, o magari con divari di età che rendono difficile l’aggregazione nelle varie forme di gioco, la faccenda si fa ancora più drammatica.

 

Come recentemente ricordato, gli asili e le scuole chiudevano ex abrupto per evitare ogni spazio di pubblica aggregazione, mentre le RSA rimanevano indisturbatamente aperte senza alcun tipo di interesse o intervento pratico per evitare il peggio. Per quanto riguarda le seconde, sapevamo come sarebbe andata perché i dati mondiali parlavano già chiaro, fissando le percentuali di mortalità sopra gli ottant’anni oltre il 20% (dato al ribasso); per quanto riguarda i primi si sapeva ancora poco, ma ora si sa molto di più. 

 

Gli asili e le scuole chiudevano ex abrupto per evitare ogni spazio di pubblica aggregazione, mentre le RSA rimanevano indisturbatamente aperte senza alcun tipo di interesse o intervento pratico per evitare il peggio

Per quanto si siano verificate nel mondo alcune morti di bambini infettati da SARS-CovV2, e per quanto i contagi non siano mancati, i dati complessivi sono certamente ottimistici. In Italia i neonati infettati sono stati poco più di 20, ad esempio, e tutti sono guariti senza grossi problemi. Lo stesso è valso per bambini più grandi.

 

Pensiamo agli studi condotti dal Dott. Andrea Crisanti presso Vo’ Euganeo, provincia di Padova, dal 21 febbraio scorso diventato il primo cluster di coronavirus in Veneto, dove tutta la popolazione è stata sottoposta al tampone naso-faringeo riuscendo così ad individuare anche i soggetti asintomatici, isolandoli ed arginando il contagio: il risultato di questi studi fatti sul campo hanno dimostrato che i bambini dagli 0 ai 10 anni non hanno contratto il virus:

 

«I bambini sotto i 10 anni, seppure conviventi con infettati in grado di infettare, non si infettano. E se sono negativi non infettano», afferma Crisanti.

 

«I bambini sotto i 10 anni, seppure conviventi con infettati in grado di infettare, non si infettano. E se sono negativi non infettano» afferma il dottor Crisanti.

Un altro studio a supporto della tesi di Crisanti è stato condotto in Francia, dove un bambino di nove anni, nonostante avesse contratto il COVID-19, non ha contagiato nessuno. 

 

Il primo caso di coronavirus in Francia si verificò infatti a fine gennaio, nel comune di Contamines-Montjoie, un paese di un migliaia di abitanti a ridosso del Monte Bianco, in Alta Savoia. Steve Walsh, uomo d’affari di Hove, divenne il primo britannico a essere positivo al coronavirus dopo aver partecipato a una conferenza a Singapore nel gennaio scorso.

 

Walsh raggiunse gli amici in montagna, nello chalet di Contamines abitato da due famiglie: una residente nel paese, e un’altra venuta in vacanza dall’Inghilterra. In tre giorni, dal 25 al 28 gennaio, l’uomo contaminò 12 persone, tra le quali il bambino di nove anni che frequenta la scuola a Contamines e partecipa a corsi anche in altri istituti delle vicine Saint-Gervais e Thonon-Les-Bains. 

 

In Francia, dove un bambino di nove anni, nonostante avesse contratto il COVID-19, non ha contagiato nessuno

Le autorità, attraverso un’indagine condotta da Public Health France, rivelarono che il bambino non trasmise a nessuno dei suoi fratelli né a chiunque altro sia entrato in contatto con lui il virus. Risalendo a tutti i contatti che il bambino aveva avuto in quel periodo, furono 172 le persone individuate e messe in quarantena a scopo preventivo e cautelativo. Nessuna di esse, però, risultò poi contagiata.

 

Il rapporto sull’indagine fu pubblicato su Clinical Infectious Diseases, dimostrando, attraverso vari test, come il bambino fosse stato infettato da Sars-Cov-2, il virus che causa Covid-19, e anche dall’influenza e da un comune virus del raffreddore. Mentre entrambi i suoi fratelli hanno preso le ultime due infezioni, ovvero influenza e rino-faringite, nessuno di loro contrasse il nCoV.

 

«Un bambino, co-infettato da altri virus respiratori, ha frequentato tre scuole mentre era sintomatico, ma non ha trasmesso il virus, suggerendo potenziali diverse dinamiche di trasmissione nei bambini», afferma Kostas Danis, un epidemiologo di Public Health France all’agenzia di stampa francese AFP.

 

«I bambini potrebbero non essere una fonte importante di trasmissione di questo nuovo virus»

I ricercatori francesi furono concordi nell’affermare che, poiché in genere i bambini presentano solo lievi sintomi, possono trasmettere il virus molto meno degli adulti infetti: «I bambini potrebbero non essere una fonte importante di trasmissione di questo nuovo virus».

 

La risposta immunitaria dei bambini è infatti nettamente diversa rispetto a quella di adulti e anziani, visto che i primi sono capaci di eliminare molto più rapidamente le infezioni, in particolare quelle nuove, e di presentare solo sintomi molto lievi, come si è potuto constatare nell’arco del picco epidemico anche qui in Italia. 

 

Gli studi condotti sul caso dell’Alta Savoia sono gli stessi che hanno in qualche modo convinto Macron a riapparire dall’11 maggio le scuole dell’infanzia e le scuole primarie, seppur su base volontaria e a discrezione delle autorità locali.

 

Dietro a questa scelta c’è stata la spinta del professor Jean-François Delfraissy, presidente del Consiglio scientifico COVID-19 e stretto collaboratore di Macron per far fronte all’emergenza sanitaria. L’immunologo francese ribadiva già in tempi non sospetti che nessuna scuola in Francia sembrava essere stata fonte di focolaio circa l’infezione. Già quando chiuse le scuole in via precauzionale, Macron spiegò che sulla base delle conoscenze scientifiche presenti in quel periodo, i bambini non parevano essere soggetti in grado di ammalarsi gravemente, pur potendo essere potenziali untori.

 

Con il passare del tempo, e soprattutto dopo il caso Alta Savoia, anche questa convinzione venne accantonata, quantomeno in Francia. 

 

La pneumo-pediatra Isabelle Sermet-Gaudelus dell’ospedale Necker di Parigi, rilasciando un’intervista al Figaro, dichiara che i bambini positivi al COVID erano pochissimi:

«Sappiamo che ci sono meno test positivi rispetto agli adulti nei bambini che vengono in ospedale».

 

«Sappiamo che ci sono meno test positivi rispetto agli adulti nei bambini che vengono in ospedale».

 

Attualmente ci sono altri 15 studi portati avanti in Francia ed effettuati sulla popolazione più giovane per capire come reagisce realmente al COVID-19, e per confermare o meno la nuova ipotesi sulla scarsa contagiosità dei bambini.

 

Probabilmente non solo i bambini presentano sintomi meno gravi, ma a quanto pare contraggono – e quindi trasmettono – il virus meno di quanto si potesse credere  inizialmente

Più o meno sulla stessa lunghezza d’onda si situa anche uno studio cinese pubblicato il 24 febbraio scorso sul Journal of the American Medical Association, che si basa su circa 44.000 casi confermati COVID-19: fra questi i bambini contaminati di età inferiore a 10 anni sono meno dell’1%, e i giovani dai 10 ai 19 anni sono l’1%.

 

Da tutto questo si evince che probabilmente non solo i bambini presentano sintomi meno gravi, ma a quanto pare contraggono – e quindi trasmettono – il virus meno di quanto si potesse credere  inizialmente.

 

Ecco un valido motivo, insieme a quello dettato dalle evidenze dei dati clinici che confermano un depotenziamento del virus, per riaprire subito asili, scuole, servizi educativi e ogni genere di parco giochi, cercando tuttalpiù soluzioni semplici affinché non si creino assembramenti da parti di adulti — quelli che, permetteteci di dire, non paiono essere affatto mancati a Milano per la solenne celebrazione del costosissimo ritorno a casa di Silvia Romano. 

 

Cristiano Lugli

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