Storia
L’equilibro mondiale su Panama. Quando il «sicario dell’economia» Perkins intervistò Omar Torrijos
Nel libro Confessioni di un sicario dell’economia (saggio autobiografico sulle tecniche di colonizzazione finanziaria del Terzo Mondo da parte degli USA), John Perkins riporta una sua personale intervista del 1972 con il generale e leader politico panamense Omar Torrijos.
Perkins dichiara già in un lungo preambolo la sua alta considerazione per il generale e il suo impegno a bilanciare il ruolo di Panama in una terza via tra l’ingombrante ma necessario strapotere americano e i rappresentanti del Secondo Mondo.
La sua grande ammirazione per il presidente jugoslavo Josip Broz Tito (1892-1980) e il presidente egiziano Gamal Abd al-Nasser (1918-1970) per il loro ruolo importante come tentativo di creazione di un terzo polo mondiale sotto il nome di «Movimento dei Paesi non allineati» («Non-Aligned Movement» o NAM) o lo porterà a tentare di emulare i suoi punti di riferimento durante la gestione dello Stato centroamericano.
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Primo della sua classe sociale a governare Panama – e non solo – Torrijos guadagnò i favori di una preponderante fetta della popolazione soprattutto grazie all’essere di estrazione modesta, ispanofono e mulatto. Come mai prima si vide a quelle latitudini, Torrijos cercò di monetizzare il suo peso indirizzando i suoi sforzi a favore di riforme per il popolo panamense.
Ben conscio del ruolo fondamentale giocato dal canale e per l’utilizzo sfrenato che da sempre aveva caratterizzato il giardino di casa degli States, la sua bravura fu quella di cercare di equilibrare le sue richieste con le concessioni.
L’intervista è esemplare per comprendere come già dopo pochi anni al vertice avesse ben chiaro la posta in gioco ma ancora di più come conoscesse bene la storia della sua regione oltre che quella globale.
«Ti immagini?» chiede Torrijos a Perkins nella conversazione con Perkins, «fare parte di un complotto per detronizzare il tuo stesso padre?»
Si parla della Persia. «Dopo che lo shah venne reinsediato lanciò una serie di progetti rivoluzionari atti a sviluppare il settore industriale e a portare l’Iran nell’era moderna. Non ho una grande opinione delle politiche dello shah – la sua volontà di rovesciare suo padre e di diventare un pupazzo in mano alla CIA – ma sembra che voglia fare del bene al suo paese. Può essere che possa imparare qualcosa da lui. Se sopravvive».
«Non credi possa farcela?» domanda Perkins.
«Ha nemici molto potenti» risponde il panamense.
«E alcune delle migliori guardie del corpo al mondo»controbatte l’intervistatore.
Torrijos guardando Perkins con aria sardonica continua ad esporre la sua teoria: «la sua polizia segreta, la SAVAK, ha la reputazione di essere composta da criminali spietati. Questo non aiuta a guadagnarsi molte amicizie. Non durerà molto. Guardie del corpo? Io ne ho alcune. Tu credi che mi salveranno la vita se la nazione vorrà disfarsi di me?»
Perkins avanza allora la possibilità che anche lui si vedesse fare la stessa fine. Ma la risposta del generale non si fa attendere: alza le sopracciglia in una maniera che imbarazza l’americano per aver posto una simile domanda.
«Noi abbiamo il Canale. È enormemente più grande sia di Arbenz che della United Fruit» conclude Torrijos.
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Il riferimento di Torrijos ad Arbenz è fondamentale per capire gli strascichi lasciati nelle genti del Mesoamerica. La terribile ripercussione che si abbatté nel Guatemala degli anni cinquanta lasciò torrenti di sangue a scorrere per decenni nelle memorie delle persone che vissero o sentirono raccontare quei tragici eventi.
Secondo Piero Gleijeses, reputato il maggior esperto grazie al suo eccezionale lavoro Shattered Hope: The Guatemalan Revolution And The United States, 1944-1954, fin dai tempi di Thomas Jefferson sono sempre state tre le forze che hanno fatto da stella polare per la politica esterna statunitense nei Caraibi: la ricerca del profitto, la ricerca della sicurezza e la hybris imperiale.
Arbenz, una volta salito al potere nel 1951 con all’interno della sua coalizione anche il Partido Guatemalteco del Trabajo (PGT) a chiare tinte comuniste, avanzò verso una profonda riforma agraria. La prima vera rivoluzione della terra in centro America. Un sesto della popolazione del Guatemala, circa cinquecento mila braccianti, avrebbero avuto accesso ad appezzamenti senza passare più dal latifondista.
In seguito a questa vasta rivoluzione legalmente eletta in favore di una ridistribuzione più equa delle terre venne orchestrato dalla CIA un sanguinario colpo di Stato. Lautore sostiene che la vicinanza e la simpatia di Arbenz verso la causa comunista concorse ad esasperare le scelte ma non fu affatto l’obiettivo primario del golpe. Per molti la decisione che sancì la distruzione di Arbenz, del paese e di una buona fetta del popolo guatemalteco, fu proprio quella di sottrarre ad UFCO le sue terre in territorio guate.
Gleijeses nel suo saggio continua ricordando come il gabinetto del presidente americano era infestato di compagni di merende della United Fruit. Foster Dulles, segretario di Stato, era socio principale dello studio legale rappresentante la UFCO.
Il suo vice, Walter Bedell Smith, era tentato in quel periodo ad accettare un lavoro per la UFCO, cosa che fece non appena andò in pensione nel 1955. L’assistente segretario per l’America Latina, nonché ambasciatore alle Nazioni Unite apparteneva alla famiglia Cabot, uno dei maggiori azionisti della società frutticola. La segretaria personale di Eisenhower era la moglie del direttore delle pubbliche relazioni del bananificio a stelle e strisce.
L’intervista con Torrijos a questo punto spiega la figura di Arbenz: «i poveri e la classe media di tutta l’America Latina applaudirono Arbenz. Era personalmente uno dei miei eroi. Ma lo guardavamo allo stesso tempo con il fiato sospeso. Sapevamo che la United Fruit si sarebbe opposta a queste misure proprio perché era il più importante proprietario terriero in Guatemala. Possedevano terreni anche in Colombia, Costa Rica, Cuba, Jamaica, Nicaragua, Santo Domingo e qui a Panama. Non avrebbero potuto lasciare ad Arbenz la possibilità di farci venire strane idee».
Torrijos prosegue più serio che mai: «Arbenz fu assassinato. Politicamente e caratterialmente. Come potete credere alle sciocchezze che vi racconta la CIA? Con me sarà molto più difficile. I militari qua sono la mia gente. L’assassinio politico non potrà funzionare. La CIA dovrà impegnarsi di persona per farmi fuori!»
Entrambi rimangono in silenzio per alcuni minuti persi nei loro pensieri, fino a che Torrijos non dice: «Sai a chi appartiene la United Fruit?»
«Zapata Oil, una società di George Bush» risponde prontamente Perkins.
«Un uomo con grandi ambizioni» chiosa Torrijos, «ora sono in azione contro i suoi faccendieri della Bechtel».
Perkins che in quel momento lavorava alla MAIN a caccia di enormi commesse strategiche con lo scopo di creare gigantesche voragini di debito e quindi il controllo dei suoi clienti, si ritrovava in una posizione ambigua trattandosi di un principale concorrente soprattutto a Panama.
«Cosa intendi?» incalza Perkins.
«Stiamo considerando la costruzione di nuovo canale, uno a livello mare, senza chiuse. Può essere utilizzato anche da navi più grosse. I Giapponesi sono interessati a finanziarlo».
«Sono i principali clienti» dice anche Perkins all’unisono con Torrijos.
«Esatto. Infatti se daranno i soldi potranno portare a termine l’opera. Bechtel sarò messa da parte nella più grande opera dei nostri tempi. Proprio loro, zeppi di tirapiedi dei vari Bush, Ford, Nixon». L’autore confida nel suo libro come questa risposta lo ha lasciato di sasso.
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A quel punto Perkins gli chiede direttamente cosa volesse da lui. Torrijos rispose senza esitazione che avrebbe necessitato del suo aiuto.
«Ci riprenderemo il Canale. Ma questo non sarà abbastanza. Noi serviremo anche da modello. Mostreremo al mondo come avere cura dei poveri e paleseremo la nostra indipendenza da Russia, Cina o Cuba. Proveremo al mondo che Panama è una nazione ragionevole, che non si erge contro gli Stati Uniti ma a favore della lotta contro la povertà».
Perkins racconta come Torrijos infine gli ha chiesto di collaborare ma di farlo in modo da non strozzare la nazione come da prassi raccontata nelle sue memorie. Gli domandadi aiutarlo nel sogno di rendere la sua nazione finalmente in grado di sostenersi autonoma.
Il «sicario dell’economia» ricorda come la finezza di pensiero del generale lo avesse portato a capire molto bene i meccanismi finanziari dell’epoca e il potere del Canale che aveva per le mani. Il suo giudizio sulla persona che aveva davanti ritraeva di sicuro un elemento ricco di contraddizioni, difetti e peccati ma chiaramente non era un pirata o un avventuriero.
Le ultime domande che si fece l’autore, accomunandolo al Che, Allende, Arbenz furono semplicemente quanto sarebbe riuscito a restare in vita per dare continuità al progetto.
Torrijos morì il 31 luglio 1981 quando il suo aereo, un de Havilland Canada DHC-6 Twin Otter dell’aeronautica militare panamense, si schiantò a Cerro Marta vicino alla località di Penonomé, Panama. Aveva 52 anni.
Nel suo libro Perkins lascia intendere che fu la CIA ad ucciderlo, giudicandolo troppo arduo da controllare.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia