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La trappola del decreto di reintegro dei medici non vaccinati

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Nessuno pare aver capito quale trappola vi sia dietro il decreto legge 162/2002, il primo atto del nuovo governo, quello con cui, ha titolato in prima pagina il quotidiano La Verità la settimana passata, «la  Meloni smonta la gabbia del COVID».

 

Crediamo che non solo ciò risponda al vero, ma che vi sia, insito nel decreto incensato, un pericolo immenso. E non solo per i sanitari: per tutti.

 

Davanti al presunto DL liberatore, le reazioni, nell’Italia polarizzata, sono state quelle che ci immaginiamo: da una parte, il mondo vaccinatore (governatori, capi-istituzione sanitaria, virologi TV, la stampa tutta etc.) che si scaglia contro l’ingiusta reintegrazione dei pericolosi no-vax, che non solo sono contagiosi, ma che, come il figliol prodigo, hanno evitato il conformismo dei colleghi autosottopostisi alla terapia genica con di Stato.

 

Dall’altra parte vi sono, più preoccupanti, le reazioni dei non vaccinati: i quali sono larga parte gioiosi per il ritorno al lavoro (e, comprensibilmente, allo stipendio), in una sorta di tacita approvazione di quanto fatto subito dal governo melonico, che parrebbe loro aver allungato la mano verso chi aveva scelto di stare lontano dalla siringa mRNA. Ben fatto Giorgia, taluni dicono, magari bofonchiandeselo tra sé.

 

Altri reintegrati no-vax sono invece seccati: non basta essere stati riammessi, ci vogliono le scuse, non possiamo lasciar correre una simile infrazione dei diritti individuali, della legge, della Costituzione, etc. E nemmeno un’umiliazione personale come quella subita in questi mesi. Non hanno torto.

 

Tuttavia, a guardare il panorama delle reazioni, davvero nessuno pare aver capito una cosa fondamentale: non è finita. Manco per niente. La cosa non solo è sorprendente, è un po’ fastidiosa: vedere i cavalieri festeggiare la fine del drago quando quello è ancora lì, appena dietro l’angolo, con il suo respiro ancora ben percepibile, è uno spettacolo triste e disperante. La cosa, soprattutto, è pericolosa: non capire quello che sta per succedere ci lascia vulnerabili a chi invece non solo ha una lettura migliore della mappa, ma comanda il gioco.

 

Basterebbe capire in cosa consiste questo decreto rivoluzionario, andandosi a vedere cosa hanno detto i diretti interessati. «Il provvedimento che abbiamo preso oggi durante il Consiglio dei ministri è quello di anticipare al 1 novembre la scadenza dell’obbligo vaccinale per gli esercenti delle professioni sanitarie» ha dichiarato il neoministro della Salute Orazio Schillaci il 31 ottobre in una conferenza stampa a Palazzo Chigi.

 

Il ministro, già nel CTS che decise la sottomissione del popolo italiano alla prigionia pandemica, ha ragione: ciò che fa il decreto è semplicemente spostare la lancetta della fine dell’obbligo vaccinale dal 31 dicembre al 1° novembre. Uno sconto di una sessantina giorni.

 

Potete guardare il testo in Gazzetta Ufficiale: davvero, non c’è altro. Articolo 7, «Disposizioni in materia di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2»:

 

«1. Al decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 4: 1) al comma 1, le parole: “31 dicembre 2022” sono sostituite dalle seguenti: “1° novembre 2022”; 2) al comma 5, alla fine del primo periodo, le parole: «31 dicembre 2022» sono sostituite dalle seguenti: “1° novembre 2022”; 3) al comma 6, le parole: “31 dicembre 2022» sono sostituite dalle seguenti: “1° novembre 2022”; b) all’articolo 4-bis, comma 1, le parole: “31 dicembre 2022” sono sostituite dalle seguenti: “1° novembre 2022”; c) all’articolo 4-ter, commi 1 e 3, le parole: “31 dicembre 2022” sono sostituite dalle seguenti: “1° novembre 2022″».

 

Fine. Questo è il grande ribaltamento fatto dal governo Meloni in merito alle politiche pandemiche. Un accorciamento dei tempi, peraltro già arrivati, praticamente, a scadenza.

 

Uno dice: ma insomma, sono due mesi di stipendi, e magari anche la tredicesima. Vero. Tuttavia, vale la pena di sforzarsi a vedere come nell’apparente vacuità queste righe potrebbe esserci innestato un meccanismo che rimetterà tutto in discussione.

 

Il decreto, di fatto, non attacca l’obbligo vaccinale: semplicemente, ne anticipa la fine. Non prende posizione sull’imposizione del siero, semplicemente ne accorcia i tempi.

 

Chi conosce i magheggi del legislatore italiano, sa bene come alcune leggi paiono essere create con la chiara intenzione di vederle poi smontate più avanti dalla magistratura, sia da quella ordinaria che dai livelli superiori. Chi scrive crede di aver visto qualcosa del genere con la legge 40/2004, quella che in teoria doveva regolare la produzione di esseri umani in laboratorio: una legge da per sé iniqua, ma pure con evidenti contraddizioni al suo interno, con non sequitur tali da far pensare il malizioso che chi la compilò prefigurasse già il suo smontaggio per mano giudiziaria.

 

Qui avviene qualcosa di simile, o se vogliamo, di ancora più cristallino. Non prendendo alcuna posizione sulla siringa di Stato, il decreto crea un vuoto che non può essere lasciato esistere, un vuoto che, immancabilmente, chiamerà qualcuno che lo riempirà. E noi pensiamo alla Corte Costituzionale.

 

È inevitabile: quello che è considerato il più alto organo di garanzia di rispetto della Carta sarà chiamato, una volta per tutte, a dirimere la questioni dei vaccini, che si trascina dall’anno lorenziniano 2017, e che ora non è più rinviabile, specie quando la Costituzione è chiamata in causa da coloro che erano, e in larga parte ancora sono, giudicati dall’esprit du temps come nemici pubblici, i no-vax.

 

Quindi, il decreto Meloni è un cross fatto in area per la Corte Costituzionale? Parrebbe: e aggiungete che il portiere è a farfalle i giocatori della difesa sono già negli spogliatoi. Basterà appoggiarla in rete. Qualcuno può ricordare cosa accadde dieci mesi fa con la storia delle cure domiciliari, con la sentenza del TAR, che le liberalizzava – come previsto dalla legge, dalla Costituzione e dalla deontologia medica – ribaltata da un altro alto organo giudiziario, il Consiglio di Stato, con decreto monocratico del suo presidente Franco Frattini.

 

Quindi, quando sarà chiesto alla Corte la risposta finale sulla legittimità dell’obbligo, la risposta cambierà tutto. E in modo piuttosto permanente – e difficilmente appellabile.

 

Nel caso i giudici costituzionali rilevassero che l’imposizione della siringa genica è legittima, possiamo immaginare il caos che seguirebbe. In pratica, il decreto appena passato sarebbe disintegrato, e così le vite delle persone che vi erano appese.

 

Ho parlato con un’amica giurista. Lei esclude che in una prospettiva del genere possano arrivare a rivolere indietro gli stipendi degli esclusi non vaccinati. Personalmente, non lo so: abbiamo imparato, in questi anni, la meschineria dei funzionari intermedi: magari non lo fa il governo, ma cominciano a domandarlo i governatori regionali, i capi delle ASL, i direttori sanitari, i ras ospedalieri, e via elencando tutta la burocrazia della cattiveria che abbiamo imparato a riconoscere, quelli più realisti del re, quelli che pretendono il green pass anche quando per legge non possono più farlo.

 

Immaginate la catastrofe. Dipingetevi nella mente questo reset. Le lancette che si spostano, stavolta davvero, indietro a quando l’apartheid biotica era una realtà granitica, onnipervadente, pienamente visibile, non discutibile.

 

Immaginatevi il disordine, la delusione, il dolore. La rabbia. Magari immaginatevi pure la protesta – e la legge anti-rave pronta ad accoglierla.

 

Questa, secondo noi, è la situazione che giocoforza si prepara: perché la vacuità del decreto meloniano, che neanche per sogno disattiva la bomba dell’obbligo vaccinale, apre esattamente a questa prospettiva.

 

Del resto, basta far attenzione alle parole. A quando Giorgia, nel discorso più importante della sua vita, ha trovato di modo di comunicare che «purtroppo non possiamo escludere una nuova ondata di COVID, l’insorgere in futuro di una nuova pandemia». Un momento di fischiettamento, con la neopremier che zufola un motivetto facendo finta di niente, ci sarebbe pure stato bene, a quel punto. A chi può interessare, del resto, il potere politico assoluto che, abbiamo visto, può fornire un’emergenza?

 

Tuttavia, basta anche solo sentire cosa dichiara apertis verbis il neoministro CTS Schillaci. «Oggi il quadro epidemiologico è mutato rispetto a quando il provvedimento è stato preso», ha detto in conferenza stampa: quindi, significa che se i numeri dovessero divenire preoccupanti (e sappiamo come li hanno fatti, i conti del COVID…), i non vaccinati non dovrebbero tornare. Capite: non è una questione di diritto, né di realtà oggettiva – è il conformarsi al senso pandemico dell’esistenza, alla politica che abbiamo subito sin dal 2020.

 

Senza contare come il ministro abbia ribadito poi la tesi utilitarista della «grave carenza del personale medico e sanitario nei nostri ospedali»: in mancanza di meglio, facciamo tornare i no-vaxi. «Crediamo fortemente che aver rimesso a lavorare nelle nostre strutture questi medici e questi operatori sanitari serve a contrastare la carenza che si registra sul territorio. Questo è importante per garantire il diritto alla salute, sancito dall’articolo 32 della nostra Costituzione».

 

Rileggetevi il passaggio: dice, in pratica, che usiamo medici e infermieri non vaccinati per garantire i diritti costituzionali dei pazienti, cioè degli altri, cioè della massa vaccina. Non, per prima cosa, il diritto dei soggetti reintegrati, ma quello degli utenti della Sanità azzoppata dalla legge del razzismo biomolecolare. La contrapposizione tra classi sociali biologiche ci è evidente: non va pensata la mostruosa violazione dell’art. 32 subita dallo stesso personale sanitario (che è fatto, ricordiamolo, di cittadini…); no, bisogna pensare al diritto alla salute dei loro pazienti.

 

Lo vedete anche voi? Siamo noi che crediamo stia dicendo che i medici no-vax sono al massimo uno strumento per far funzionare gli ospedali della popolazione vaccinata?

 

È una nostra impressione che questo linguaggio nasconda una volontà di apartheid biotica virulenta tanto quanto quella dei governi Conte e Draghi?

 

Del resto, sappiamo come è la storia: ci ricordiamo quel 25 settembre 2021, quando a Milano la futura premier, che teneva un comizio a latere del luogo d’incontro settimanale della protesta no-green pass (grande idea), di fatto si tenne separata, lei capo dell’opposizione, dai manifestanti antigovernativi, e vi furono pure tafferugli. Giorgia se ne andò via rapidamente, senza nemmeno tentare di stabilire un contatto con quella marea di persone che, c’è da pensare, in parte potevano pure votarla…

 

 

Ricordiamo altresì i resoconti secondo cui la premier, iniziata la campagna elettorale, avrebbe cancellato i suoi post pro-vaccini sui social. Pensare che FdI fosse un partito anti-green pass è come pensare che sia un partito contro l’aborto, l’Europa, le sanzioni, etc. Puro wishful thinking di un elettorato estenuato.

 

Sappiamo bene cosa abbiamo davanti. Non è che c’è solo Giorgia Meloni, con i suoi ministri e la sfilza di impresentabili caporioni al seguito.

 

C’è un programma da implementare, che è quello della sottomissione definitiva delle popolazioni occidentali, e poi mondiali. L’inflizione di restrizioni emergenziali, accoppiate con l’emergere di piattaforme elettroniche di controllo e programmazione totali – come l‘imminente euro digitale, costruito ben prima della pandemia sulle stesse basi informatiche del green pass.

 

Il programma avanza non solo da noi, ma in ogni Stato del mondo, in Asia o nelle Americhe, in pace o in guerra. Ora, che sia la Meloni o il PD, Draghi o Conte, nulla può davvero cambiare davanti alla vastità e alla potenza della macchinazione planetaria in corso, che non bisogna aver più paura di chiamare, se si vuole, Nuovo Ordine Mondiale.

 

Per questo riteniamo non sia il caso di festeggiare questo decreto, né pensare che esso possa essere davvero di aiuto anche ai singoli che parrebbero beneficiarne. Guardate, per favore, più avanti del vostro naso.

 

Timeo Danaos et dona ferentes. Non sarà l’ultimo cavallo di Troia che vedremo nei prossimi mesi. Perché la nostra città, alla fine, deve essere saccheggiata e bruciata, e noi siamo gli ultimi ad opporsi a questo piano.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

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