Utero in affitto

La sconfitta dell’utero in affitto «reato universale»: senza coerenza e senza princìpi

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Lo scorso 16 ottobre il Senato ha approvato in via definitiva la legge che rende la maternità surrogata «reato universale».

 

Ciò significa che la cosiddetta «gestazione per altri» sarà in teoria punibile dal nostro ordinamento anche se un cittadino italiano vi farà ricorso in uno Stato in cui tale pratica è legale.

 

In effetti, il divieto è già presente nella legge 40/2004 a cui, all’articolo 12, è stato ora aggiunto il seguente comma: «se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana».

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Alla base dell’odiosa pratica dell’utero in affitto c’è la tecnica della riproduzione artificiale, ideata originariamente in ambito zootecnico per incrementare il potenziale riproduttivo di molte specie animali. Dunque senza la riproduzione assistita non ci sarebbe nemmeno la maternità surrogata.

 

Ha senso vietare l’utero in affitto, definito dalla promotrice del DDL approvato dal Senato «un’autentica barbarie», e allo stesso tempo ritenere del tutto legittima la tecnica altrettanto barbara che ne è alla base?

 

Nel 2004 l’allora governo di centro destra tirò fuori dal cilindro la famigerata legge 40, attraverso cui i promotori della norma, nel tentativo di regolamentare la pratica della fecondazione artificiale e di scongiurare il così chiamato «Far West della provetta», finirono in realtà per legittimare la riproduzione assistita: infatti, quasi tutti i «paletti» eretti non ressero e negli anni successivi vennero abbattuti dai tribunali uno ad uno, pensiamo ad esempio al limite di impianto di soli tre embrioni per ciclo.

 

Oggi, sulla carta, i single e le coppie dello stesso sesso non potrebbero accedere alla fecondazione artificiale, né sarebbe consentita la gestazione per altri o la donazione di embrioni alla ricerca, però è permessa la fecondazione eterologa.

 

È dunque coerente considerare «merce di scambio» il bambino nato da una donna che «offre» il proprio utero alla coppia committente, fungendo da mera incubatrice, e non quello nato da fecondazione eterologa, ossia con donazione o compravendita di gameti da persone diverse da uno o entrambi i futuri genitori?

 

La differenza tra le due situazioni non appare sostanziale, almeno non tale da considerare barbara una pratica e lecita l’altra. Non è certo con manovre puramente propagandistiche che si combatte il processo di reificazione dell’essere umano.

 

Il DDL che rende la maternità surrogata un reato universale cambierà verosimilmente molto poco l’efficacia deterrente della norma: infatti, l’esistenza dei reati universali è dibattuta ed eventualmente potrebbe riguardare crimini come il genocidio o la riduzione in schiavitù che sono considerati particolarmente gravi dalla comunità internazionale.

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Ci sembra altrettanto verosimile che le azioni legali contro tale provvedimento si moltiplicheranno nei tempi a venire. Ha senso dunque che il Parlamento abbia intrapreso una siffatta azione legislativa che presenta molti rischi e pochi benefici?

 

C’è da chiedersi come mai il governo italiano, il quale poco dopo essersi insediato blindò la legge 194 sull’aborto dichiarandola intoccabile, abbia ora tanto a cuore la difesa della vita innocente.

 

La premier Meloni in riferimento all’approvazione del DDL contro l’utero in affitto ha dichiarato che «la vita umana non ha prezzo e non è merce di scambio» ma intanto, migliaia e migliaia di esseri umani innocenti vengono ogni giorno sacrificati sull’altare del figlio ad ogni costo e su quello dell’autodeterminazione femminile, con il beneplacito dei nostri politici, nessuno escluso.

 

Alfredo De Matteo

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