Pensiero
Il vuoto degli auguri
Nei giorni appena trascorsi ci siamo scambiati spesso i cosiddetti auguri, ma abbiamo prestato attenzione a quello che abbiamo detto e udito? Siamo sinceri e profondi quando auguriamo una «Buona Pasqua» oppure è un languido augurio di passare tre giorni di festa in allegre scampagnate e bagordi culinari?
Vero è che con la Santa Pasqua termina il digiuno quaresimale e che quindi è giusto e legittimo deliziare gola e palato con le pietanze della tradizione. Ma in tutto questo, il cristiano medio, quello che va a messa nelle cosiddette feste comandate, è conscio del vero significato pasquale della passione, morte e resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo?
«Il corpo di Cristo nella passione sofferse l’oppressione del Getsemani, gli strazi dei flagelli e della corona di spine, le ferite delle battiture e le trafitture dei chiodi. Quando il dolore giunse alla massima intensità e Dio cessò dal sostenere miracolosamente in vita l’umanità di Cristo, che avrebbe dovuto soccombere fin dal principio della passione, l’anima si separò dal corpo e il Salvatore emise lo spirito. La morte di Cristo non fu apparente, ma reale e straziante. L’anima si separò dal corpo, ma il verbo restò unito realmente e ipostaticamente all’uno e all’altra. Dopo la sepoltura, il cadavere di Gesù resto chiuso nella tomba per tre giorni non interi. L’anima invece, separatasi dal corpo, discese nel luogo dov’erano in attesa della sua venuta le anime dei giusti morti nell’Antico Testamento. L’anima di Gesù, unita personalmente al verbo, restò nel Limbo fino al giorno della resurrezione, quando ritornò al sepolcro in cui era racchiuso il divino cadavere, si riunì al corpo, lo richiamò alla vita e lo fece risorgere».
Questo è quello su cui dovremmo riflettere, meditare e pregare, come scritto nel catechismo di San Pio X, durante la Settimana Santa, ma ne siamo sicuri? Oppure ci siamo lasciati scorrere via quest’altra ricorrenza senza il giusto ragionamento profondo che tale celebrazione richiederebbe? Non sta a me giudicare, ma pensiamoci e poniamo attenzione su quello che ogni giorno – e non solo nelle festività – il calendario cristiano ci ricorda.
Lo stesso calendario cristiano è sotto attacco: assistiamo sempre più frequentemente alla sostituzione dei Santi e delle solennità cristiane con le giornate mondiali di non so cosa. Il clou sostitutivo ha raggiunto un suo apice proprio nel giorno della Santa Pasqua, con il presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden, il quale non ha esitato a proclamare anche quest’anno la Giornata della visibilità transgender – celebrazione statale dell’ascesa del transessualismo – per il 31 marzo, nonostante il giorno coincida con la ricorrenza cattolica.
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Uno scenario simile, se non peggiore, lo abbiamo vissuto durante le festività natalizie col sentire sempre meno augurare «Buon Natale», a favore dell’insipido «buone feste» o di uno scialbo «auguri».
Rammentiamo che festività ricorre il 25 di dicembre? Il significato profondo e tradizionale che abbiamo ereditato da duemila anni di cristianesimo pare che stiamo dimenticando. Ricordiamoci invece che «il santo Natale è la festa istituita per celebrare la memoria della nascita temporale di Gesù Cristo» e «colle circostanze della sua nascita Gesù Cristo c’insegna a rinunciare alle vanità del mondo e ad apprezzare la povertà e le sofferenze».
Noi invece viviamo le vanità del mondo con la conseguente banalizzazione di quella festa, ma ancor prima la sua mercificazione. Gli addobbi che vediamo di anno in anno riproporsi nelle nostre strade, nelle nostre città, nei negozi, alla televisione, mai richiamano al senso vero della santa ricorrenza. Una volta persino le reti RAI avevano la decenza nei loro spot augurali di raffigurare, in forma stilizzata, la Sacra famiglia di Nazareth.
Oggi ammiriamo un vacuo «buone feste» ornato di lustrini. Per non parlare dei presepi, che sono sempre di meno e a volte, quando li troviamo all’interno di qualche esercizio pubblico, sono relegati in un angolo nascosto a favore delle luminarie, dei pacchi regalo e delle palline colorate. Sembra sempre di più una «festa d’inverno», come vorrebbero chiamarla in molti.
Invece è la nostra Festa, è la venuta al mondo di Nostro Signore, Cristo luce del mondo. Il tutto si è trasformato in una ricorrenza del consumismo più sfrenato, il quale ci viene introdotto dalla nuova vigilia laica chiamata «black friday», shopping compulsivo prodromico in attesa della venuta della «febbre da regali natalizi».
Non basta andare alla Santa Messa per celebrare il Natale o la Pasqua. É giusto e doveroso farlo, ma dovremmo ricordarcelo tutti i giorni dell’Avvento, della Quaresima e persino nel Tempo ordinario, visto la latitanza, sempre più marcata, dei fedeli nei confronti della Celebrazione eucaristica.
Il prossimo anno, quando ci scambieremo gli auguri con qualcuno, diciamolo chiaramente «Buon Natale» e «Buona Pasqua», senza timore, con fermezza e decisione d’animo.
Non trascendiamo nel piattume ideologico del mondo politicamente corretto che ci irrora l’anima di disvalori. Un mondo laicizzato che sa di meschino, disonesto nei sentimenti e privo di profondità etica e morale.
Difendiamo la nostra Fede, la nostra Tradizione, la nostra religione.
Francesco Rondolini
Immagine di Reinhard Kirchner via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported