Geopolitica

Il Venezuela annette via referendum un territorio limitrofo ricco di petrolio

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Gli elettori venezuelani hanno sostenuto a stragrande maggioranza la posizione del loro governo su una disputa territoriale con la vicina Guyana, ha riferito il Consiglio elettorale nazionale del paese. La disputa nasce dall’arbitrato sui confini degli Stati Uniti più di un secolo fa, che Caracas considera ingiusto.

 

Il «referendum consultivo» di cinque domande tenutosi domenica è stato avviato dal presidente Nicolas Maduro dopo che la Corte internazionale di giustizia (ICJ) ha stabilito in aprile di avere giurisdizione sul caso. Il territorio in questione è noto come Esequiba e misura circa 159.500 chilometri quadrati (61.600 miglia quadrate), ovvero circa due terzi dell’intero territorio della Guyana.

 

La disputa nasce dai disaccordi del 19° secolo su dove dovrebbe trovarsi il confine tra la Guyana, allora colonia britannica, e il Venezuela. Nel 1890, Washington intervenne contro gli interessi di Londra attraverso la Dottrina Monroe, che sosteneva – in teoria – la protezione l’America Latina dalle potenze coloniali europee.

 

Il Regno Unito accettò un arbitrato statunitense, in cui un collegio composto da due americani, due britannici e un russo produsse una sentenza nel 1899 che favorì ampiamente le rivendicazioni territoriali britanniche. Il Venezuela allora respinse l’esito.

 

La questione fu rivisitata durante il periodo di decolonizzazione successivo alla Seconda Guerra Mondiale, quando la Guyana stava per ottenere l’indipendenza. L’Accordo di Ginevra del 1966 proponeva una tabella di marcia verso una soluzione finale soddisfacente, nella quale veniva assegnato un ruolo alle Nazioni Unite. Nel 2018, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha deferito il caso alla corte dell’Aia.

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Nello scrutinio di domenica, i venezuelani hanno respinto l’arbitrato del 1899 e hanno sostenuto l’accordo del 1966 come unico strumento valido per risolvere la situazione. Hanno inoltre approvato la creazione formale di «Guayana Esequiba» come nuovo stato in Venezuela, con la cittadinanza da offrire ai residenti del territorio amministrato dalla Guyana.

 

La quarta domanda chiedeva agli elettori se rifiutassero i tentativi unilaterali della Guyana di delimitare il confine marittimo con il Venezuela, alla quale hanno anche risposto «Sì».

 

Negli anni 2010, gli ispettori ExxonMobil hanno scoperto petrolio offshore in quantità commerciali nella parte dell’Atlantico a cui Esequiba dà accesso.

 

Venerdì, la Corte Internazionale di Giustizia ha messo in guardia il Venezuela dal tentativo di cambiare lo status quo e dal controllo della Guyana su Esequiba, ma non gli ha proibito esplicitamente di tenere il referendum. Caracas ha rifiutato la giurisdizione della Corte nel caso e ha chiesto agli elettori se fossero d’accordo con la posizione ufficiale del governo, cosa che hanno fatto.

 

Il giorno del referendum, il presidente della Guyana Mohamed Irfaan Ali ha affermato che il suo popolo «non ha nulla da temere per le prossime ore, giorni, mesi a venire» e ha esortato Caracas a «mostrare maturità» nella gestione della controversia.

 

Maduro avrebbe già annesso pubblicamente il territorio nelle mappe e dichiarato di essere pronto a mandare l’esercito.

 

Una nuova faglia della guerra mondiale si può aprire in Sud America: come in tanti altri angoli del pianeta (in Europa, nel Caucaso, in Medio Oriente, in Estremo Oriente, in Africa…), nodi vecchi più di un secolo vengono al pettine.

 

Di questo bisogna sono ringraziare la banda di guerrafondai – evidentemente, oltre che psicopatici, anche molto incompetenti – che si cela dietro il pupazzo senile della Casa Bianca, Joe Biden.

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Immagine del governo del Venezuela via Wikimedia pubblicata su licenza Attribution 3.0 Unported

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