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Il silenzio del Sabato Santo

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«Caro mea requiescet in spe»

 

«La mia carne riposerà nella speranza»

 

Così recita la terza antifona dell’Ufficio delle Tenebre del Sabato Santo, indicandoci quella Speranza che viene dalla morte di Cristo, nella quale già splende la vittoria della Resurrezione. 

 

Il corpo di Cristo riposa, nel silenzio del Sepolcro, preparandosi alla Resurrezione.

 

Il Sabato Santo è dunque un giorno di transito: il pungiglione della Morte è sconfitto — «Ubi est, mors, victoria tua? ubi est, mors, stimulus tuus?», chiede San Paolo nella prima lettera ai Corinzi —, eppure bisogna attendere, attendere i tempi del Signore, attendere che si compiano le Profezie e tutto ciò che il Cristo stesso aveva annunziato.

 

Dopo il tradimento di Giuda, dopo il sudore di sangue, dopo l’angosciosa notte del Getsemani, dopo la cattura, dopo i rinnegamenti di Pietro, dopo gli insulti del Sinedrio, dopo le battiture, dopo la flagellazione, dopo il «Crucifige!», dopo la condanna a morte, dopo la Via del Calvario, dopo tutta la Passione e infine Morte di Gesù, dopo lo strepito, ora tutto è fermo in un silenzio che ricopre tutto l’orbe terrestre e celeste.

 

«Tutto è compiuto», ovvero tutto ciò che avrebbe dovuto portare alla vittoria di Cristo sulla morte e sul peccato, è avvenuto. 

 

Resta la trepidante attesa. 

 

Questo giorno così solenne, di dolore ma di speranza, è forse il giorno più importante dell’anno liturgico: in esso si compie il passaggio fra tutto ciò per il quale Dio è venuto nel mondo. 

 

È dal silenzio del Sabato Santo che l’essere umano, fatto ad immagine e somiglianza di Dio, deve ripartire. 

 

«L’uomo penetrerà nel fondo del cuore, e Dio sarà esaltato» , recita il Salmo 63.

 

Contro il chiasso del mondo, contro le seduzioni del mondo, l’esempio di Cristo che ha vinto la morte disprezzando il mondo è l’unica speranza.

 

Il Sabato Santo è la battaglia della Vita contro la Morte: «Mors ed vita duello, comfixere mirando», canteremo nei prossimi giorni durante la sequenza di Pasqua del Victimæ pascali. La Vita e la Morte, in queste ore, si sono affrontate in un prodigioso duello.

 

Ci è voluto, cioè, un tempo per questa battaglia, nonostante tutto fosse già scritto ed il Soggetto della vittoria scontato. Quel tempo è quel tratto di silenzio e di preparazione al trionfo eterno.

 

Non esiste vittoria sul Male senza sacrifico, senza silenzio e senza attesa. 

 

Dio ha permesso che Suo figlio soffrisse i patimenti peggiori. 

 

«Fu condotto come pecora al macello, e mentre era maltrattato non aprì la sua bocca: fu condannato a morte, per rendere la vita al suo popolo. Sacrificò alla morte l’anima sua, e fu annoverato fra gli scellerati. Per rendere la vita al suo popolo»

 

Dio ha permesso lo strazio del cuore della madre di Cristo: «O voi tutti che passate per la via, guardate e vedete, se c’è dolore simile al mio dolore». 

 

Quella spada annunziata dal Profeta Simeone avrebbe dovuto infilzarle il cuore nei giorni della Passione e Morte del Figlio e, poi, in questo devastante silenzio di attesa dinanzi al Sepolcro. 

 

Dio permette anche il Sabato Santo nella Chiesa, dove tutto sembra perduto, silenziato, annientato. 

 

Questa desolazione, questo smarrimento generale, passerà per la via della gloria del Signore quando sarà il momento.

 

La nostra battaglia quotidiana passa dalla Via del Calvario fino alle lacrime delle donne davanti al Sepolcro. 

 

«In pace in idípsum, dórmiam et requiéscam».

 

Tutto è scritto, certo, ma questi passaggi sono obbligati e devono essere il culmine della nostra speranza, quella speranza in cui potranno tranquillamente riposare, un giorno, la nostra carne ed il nostro spirito.

 

«Non v’accorgete voi che noi siam vermi,

nati a formar l’angelica farfalla,

che vola alla giustizia senza schermi?»

(Purg. X, 124-126).

 

Cristiano Lugli 

 

 

 

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