Pensiero

Il papato di Cthulhu

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Il problema è che tutti si sono concentrati sulla questione del dogma climatico, sorvolando su dettagli più inquietanti.

 

Punto 11 dell’esortazione apostolica Laudate Deum: «L’origine umana – “antropica” – del cambiamento climatico non può più essere messa in dubbio». Il papa è infastidito riguardo al fatto che riguardo al cambiamento climatico ci sia anche solo discussione. Non c’è nulla da discutere: è dogma. Roma locuta, causa finita.

 

Il nuovo peccato originale, l’impronta carbonica, è pronto per essere lanciato dal Sacro Palazzo, in sostituzione di quello dell’Eden. A partire da quello, l’intera religione cattolica sta per essere riscritta, fin dalle sue linee di codice fondamentali.

 

«Francesco dogmatizza il clima e relativizza i dogmi della fede» si sente dire in giro. Pare proprio così, in effetti.

 

Un sacerdote con fine mente teologica mi dice che, in realtà, Laudate Deum non contiene grosse novità rispetto a Laudato sii. Mi spiega che elementi di vero cambiamento della religione erano presenti lì: i semi del panteismo, cioè del ritorno di un paganesimo che divinizza la natura, era gettati con evidenza nell’Enciclica del 2015 che Laudate Deum dovrebbe aggiornare. Chi non comprende quello che stiamo dicendo, pensi alla Pachamama, l’idolo pagano della Terra portato in Vaticano.

 

Quindi: nihil novum sub solis. Non ci sono grandi innovazioni rispetto all’eco-enciclica otto anni fa.

 

C’è tuttavia un particolare che mi ha fatto sobbalzare, aprendomi la mente verso scenari mostruosi – letteralmente, programmaticamente mostruosi.

 

Al punto 66 il linguaggio del documento si mostra sempre cervellotico ed un po’ oscuro: «Dio ci ha uniti a tutte le sue creature. Eppure, il paradigma tecnocratico può isolarci da ciò che ci circonda e ci inganna facendoci dimenticare che il mondo intero è una “zona di contatto”».

 

Cosa significa che Dio ci ha «uniti» alle altre creature? Come può il papa che ha spinto l’intera popolazione dei fedeli verso l’alterazione via tecnologia genica mRNA parlare di rifiuto della «tecnocrazia»? Cosa significa «zona di contatto»?

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La nota al termine del periodo spiega tutto. E ci fa saltare dalla sedia. Il papa cita direttamente un libro Donna Haraway.

 

Pochi sanno di chi si tratta. Qualcuno che seguiva le cose filosofico-editoriali degli anni Novanta può averne un vago ricordo, anche se si tratta di un personaggio che credevamo dimenticato.

 

La Haraway è considerata capofila di un pensiero che – cercate di non ridere – si definiva «ciberfemminista», «ecofemminista» o perfino «femminismo post-umano», «post-genderismo». Non è sbagliato ritenere che la cifra del suo lavoro – un attacco feroce all’antropocentrismo – è estendere la teoria del gender alle questioni tecnologiche (come la modificazione del corpo umano) e oltre, fino al regno animale.

 

Zoologa e filosofa, ha perfezionato gli studi a Yale (la prestigiosa università della loggia Skull and Bones con i suoi membri eletti presidenti USA), da cui è stata pure  premiata come grande ex-studentessa. Va ricordato che è cresciuta con una madre cattolica e la scuola delle suore del Colorado: un particolare che permette di comprendere alcune cose delle pazzesche teorie che ha promosso durante la sua fortunata carriera accademica. Citiamo anche il fatto che prese una borsa di studio Fulbright – secondo alcuni, un sistema di cooptazione di individui promettenti da tutto il mondo per mandare avanti l’agenda dell’establishment angloamericano – per andare a Parigi a studiare filosofia dell’evoluzione alla Fondazione Teilhard de Chardin.

 

La popolarità della pensatrice statunitense cominciò nel 1985, quando pubblico sulla rivista Socialist Review il suo «Manifesto per i cyborg: scienza, tecnologia e femminismo socialista negli anni ’80», divenuto poi semplicemente Manifesto Cyborg pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 1995. Si tratta di un saggio considerato una pietra miliare nel nuovo femminismo, che di fatto negando in ultima analisi anche l’identità della donna, si pone in contrapposizione al vecchio femminismo.

 

La Haraway predica un superamento dei dualismi sociali e biologici: critica la struttura binaria della cultura occidentale che ha generato divisioni tra categorie come uomo/donna e naturale/artificiale. Questi dualismi, afferma la Haraway, «sono stati tutti sistematici nelle logiche e nelle pratiche di dominio delle donne, delle persone di colore, della natura, dei lavoratori, degli animali… tutti costituiti come altri».

 

Viene quindi introdotto, come sintesi liberatoria, il concetto del cyborg, un’entità che rappresenta una fusione tra organico e tecnologico, oltrepassando le tradizionali distinzioni di genere e natura. Il cyborg sfida l’idea della natura umana immutabile, poiché sempre più persone utilizzano tecnologie per estendere le proprie capacità: protesi, by-pass, apparecchi acustici, persino le dentiere possono indicare che l’uomo-macchina è già realtà.

 

Il concetto di cyborg rappresenta un rifiuto dei confini rigidi, in particolare quelli che separano «umano» da «animale» e «umano» da «macchina».

 

«Il cyborg non sogna una comunità sul modello della famiglia organica, questa volta senza il progetto edipico. Il cyborg non riconoscerebbe il Giardino dell’Eden; non è fatto di fango e non può sognare di ritornare polvere» scrive il manifesto della Haraway.

 

Il cyborg evidenzia la fluidità e la complessità delle identità umane, mettendo in discussione le concezioni binarie e aprendo la strada a una visione proteiforme dell’umanità: uomo e macchina, maschio e femmina, umano ed animale… l’identità stessa dell’essere umano va messa in discussione.

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Come può capire il lettore, siamo davanti ad una delle teoriche principali del transumanismo, che passa per il femminismo, il transessualismo e perfino l’animalismo.

 

La questione degli animali esce fuori con decisione nel libro del 1990 Primate Visions: Gender, Race, and Nature in the World of Modern Science («Visioni dei primati: genere, razza e natura nel mondo della scienza moderna») dove si parla – anche qui, tratteniamo le risatine – di «primatologia femminista», e si attacca lo studio «maschilista» delle scimmie, che ha una tendenza a mascolinizzare le storie sulla «competizione riproduttiva e sul sesso tra maschi aggressivi e femmine ricettive [che] facilitano alcune e precludono altri tipi di conclusioni».

 

Scimmie e cyborg si ritrovano anche nell’altro suo libro seminale, Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature («Scimmie, cyborg e donne: la reinvenzione della natura») dove la Haraway torna ad usare la metafora del cyborg per spiegare come le contraddizioni fondamentali nella teoria e nell’identità femminista dovrebbero essere congiunte, piuttosto che risolte, in modo simile alla fusione tra macchina e organismo nei cyborg. Nel testo la Haraway cristica il capitalismo rivelando come gli uomini abbiano sfruttato il «lavoro riproduttivo» delle donne, di modo che esse non raggiungessero la piena uguaglianza nel mercato del lavoro.

 

Mettere al mondo un figlio, quindi, è una grande minaccia per la tua vita di donna carriera: studi sulle scimmie e teorie cyborg alla fine portano alla semplice conclusione a cui sono portate quasi tutte le femmine del pianeta, e l’aborto di massa è l’effetto di questo pensiero qualunquista.

 

La filosofa ha premuto su questo punto su un testo più recente chiamato Making kin. Fare parentele, non popolazioni, scaturito da un gruppo di lavoro con altre cinque pensatrici femministe. Il succo del discorso è che non bisogna fare bambini (un atto inquinante, che genera anche altri problemi), ma riorganizzare in senso «famigliare» le persone che già esistono: un qualcosa che sta tra la ritribalizzazione della società, viene da pensare, e il tentativo di creare surrogati della famiglia, come avviene per quelli che invece dei figli hanno cani e gatti o perfino bambole iperrealistiche.

 

«Fare bambini è diverso che regalare ai bambini una buona infanzia» scrive il libro, forse una vetta dell’antinatalismo più spudorato e disperato in circolazione. Il tema ambientale, tanto caro a Bergoglio, è presente, visto che è ripetuta la storia dei problemi tra l’incremento della popolazione e le conseguenze sull’ambiente, cioè l’origine «antropica» della crisi climatica di cui parla il papa.

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Anche qui, ci stupiamo poco o niente. L’agenda di riduzione della popolazione e delle nascite – un tempo argomento di attacco perenne dell’universo ONU contro la Santa Sede – è stata abbracciata dal Vaticano al punto da resuscitare personaggi che pensavano dimenticati se non morti. È il caso di Paul Ehrlich, un altro biologo (un entomologo, per l’esattezza) che si rese famoso per la teoria della «bomba demografica», con previsioni catastrofiche di fame e guerra causate dall’aumento della popolazione che, come vi è evidente, non si sono avverate. Ehrlich, come sappiamo, viene ora invitato nel Sacro Palazzo a seguire lavori delle Pontificie Accademie.

 

Il ripescaggio di Donna Haraway non è differente: un personaggio antitetico totalmente alla dottrina cattolica, che predica un transumanismo sessualoide apocalittico, con inclusa negazione della specificità umana, finisce in bocca al papa. Un personaggio che pensavamo oramai consegnato all’oblio: chi scrive ricorda come a metà degli anni Novanta il Manifesto Cyborg faceva la gioia di giovani lesbiche e femministe del ceto medio riflessivo; era chiaro, forse persino all’ora, che si trattava di un capitolo corposo dell’OPA che la teoria del gender stava lanciando su tutta la società, con pubblicazione presso editori mainstream e con articoloni su giornali mainstream.

 

Guardando indietro, mi sembra chiaro ora che la questione è più grande del gender. In quegli anni, appena crollato il muro, si avvertiva come una pulsione sempre più chiara delle arti verso il male. Lo chiamavano «post-umano»: c’era un’«artista» francese che si faceva impiantare dai chirurghi gobbe sulla fronte (corna, tipo) e altre cose deformanti; un altro, che si faceva appendere dai grattacieli con ganci sotto la pelle, si era creato un terzo arto robotico – farlocchissimo, ma il messaggio era chiaro. Altri ancora facevano cose sempre più disgustose: chi scrive ricorda il conato di vomito vero che ebbe quando ad una conferenza di una «storica dell’arte» venne mostrato il VHS di una famosa compagnia teatrale spagnola, dove mi era parso di vedere una scena che indicava la bestialità – eccolo, un altro confine umano da abbattere, verso la distruzione totale dell’identità degli esseri, verso la Necrocultura realizzata.

 

L’arte moderna, con la sua attitudine riconosciuta e socialmente accettata della popolazione, era il vettore ideale per far entrare nella società il nuovo messaggio del padrone del vapore, che dopo il muro non aveva più bisogno della religione, anzi la vedeva di intralcio. Anche lì, l’influenza della Haraway è riconosciuta: nel 2017 ArtReview ha nominato Haraway la terza persona più influente nel mondo dell’arte contemporanea, affermando che il suo lavoro «è diventato parte del DNA del mondo dell’arte».

 

Ma non ci sono solo le gallerie d’arte e le loro speculazioni. L’ondata del male era percepibile ovunque. È in quegli anni che il BDSM, cioè il sadomasochismo organizzato, cominciava a mostrarsi pubblicamente: ecco le persone con la tuta di lattice, le fruste, i bavagli fatti con la pallina in bocca. Nelle discoteche cominciavano ad apparire personaggi così conciati, così come pure qualche travestito – allora soggetti rarissimi, invisibili – assunto come «vocalist» della serata (ripetevano, dalla console che martellava la techno, frasi senza senso: «voglio fare il maestro di sci… voglio fare il maestro di sci…»). Il ragazzo di campagna che ballava con gli amici si ritrovava davanti questi segni pensando che si trattasse di orpelli della serata dionisiaca. Non era così.

 

Nei film, se rammentate, negli anni Novanta vi fu una fiammata improvvisa di storie di serial killer. Questi però non erano più dei mostri assassini, ma degli esseri dalla psicologia complessa (Il silenzio degli Innocenti) capaci perfino di prodursi in una densa critica della società (Seven). Di lì a poco gli assassini psicopatici sarebbero divenuti protagonisti, come ora accade tranquillamente in varie serie televisive.

 

Scristianizzata la società, il Male poteva essere pensato e distribuito in tranquillità, senza timori di censure o altro – pensate alla differenza con Ultimo Tango a Parigi, per la cui famosa scena del burro vi furono processi (Marlon Brando condannato in Italia) e roghi della pellicola indetti da qualche sacerdote.

 

Quando vediamo il nome di Donna Haraway, pensiamo a tutto questo. Vedere il suo nome in un’esortazione apostolica ci riempie di sgomento. Davvero, cosa legge il papa? O meglio: a quale cultura si riferiscono quelli che scrivono per il papa? Perché non fanno più nemmeno la fatica di nasconderlo?

 

La risposta forse va cercata sempre fra i libri della Haraway amati dai neocattolici. In Italia ne è apparso uno con un titolo eccezionale: Cthulucene.

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Per chi non lo sapesse, Cthulu è una sorta di enorme divinità terrifica della fantasia letteraria dello scrittore H.P.Lovecraft. Si tratta di un essere gigantesco e mostruoso, con la pelle verde, le ali di pipistrello e la testa di polpo che emana tentacoli, che vive in fondo al mare, in attesa di essere risvegliato ad una determinata congiunzione astrale, pronto per distruggere e sottomettere l’umanità.

 

Nei romanzi e racconti di Lovecraft si sostiene che esiste un libro che lo descrive, il Necronomicom, e che un culto segreto di Cthulu esista ancora in diverse parti della Terra, pronto a celebrare il ritorno di tale bestia che vien dal mare (massì, usiamo pure questa espressione della Rivelazione) e la catastrofe che porterà con sé. Uomini che pregano per la fine dell’umanità: dove l’abbiamo già sentita questa?

 

La Haraway scrive di un’era, lo Chtulucene, che bisognerà attraversare una fase per salvarsi dal disastro dell’antropocene (cioè, letteralmente, «l’era degli uomini»), segnato dalla sovrappopolazione.

 

«Cosa succede quando il genere umano, dopo aver irrimediabilmente alterato gli equilibri del pianeta Terra, smette di essere il centro del mondo? E nel pieno della crisi ecologica, che relazioni è possibile recuperare non solo tra individui umani, ma tra tutte le specie che il pianeta lo abitano?» si chiede il libro. La risposta, dice la Haraway, è attuare in questo pianeta infetto un pensiero «tentacolare», un cambio di paradigma dove, come spiegato sopra, invece di generare figli si creano «parentele» con «decisioni intime e personali per creare vite fiorenti e generose senza mettere al mondo bambini».

 

Se tutto questo vi sembra mostruoso è perché lo è, e vuole esserlo, vuole pure sembrarlo.

 

La chiesa ha abbracciato la Necrocultura fino nelle sue manifestazioni può orripilanti e grottesche, dove si slatentizzano le fantasie dei grandi mostri – i titani, come Gaia – che distruggono la civiltà e sterminano gli esseri umani. È una chiesa teriomorfa, una chiesa pantoclastica, godzillista, post-umana, post-zoica, chtulucenica. È il papato di Cthulu.

 

Pensavate si sarebbero fermati alla Pachamama e alla messa Maya, eccovi invece Cthulu il Grande, Cthulu il Terrificante. Era inevitabile.

 

Bergoglio ha già cambiato il Padre Nostro, e come sapete lavora alacremente per distruggere ciò che rimane della Messa in latino. Non è impensabile che le prossime preghiere che promuoverà saranno in un’altra lingua antica, l’aklo, l’idioma segreto dei culti del Male di Lovecraft.

 

«Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah’nagl fhtagn». Cioè: «Nella sua dimora a R’lyeh il morto Cthulhu attende sognando».

 

Ripetete: «Cthulhu fhtagn».

 

«Cthulhu fhtagn».

 

Roberto Dal Bosco

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