Economia

Il cryptomining USA utilizza tanta energia quanto la città di Houston

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In una lettera del 15 luglio all’Agenzia per la Protezione Ambientale USA, la senatrice Elizabeth Warren e altri cinque senatori e membri del Congresso democratici hanno riferito che l’uso di energia da parte delle società di criptovalute statunitensi per «estarre» Bitcoin et similia (attività detta cryptomining, «criptoscavo») è sufficiente per alimentare l’intera città di Houston, in Texas.

 

Chiedendo maggiore trasparenza e informazioni, comprese le sostanziali emissioni di carbonio del cryptomining, la lettera rileva che gli Stati Uniti sono diventati il ​​centro del cryptomining dopo che è stato bandito in Cina.

 

Nel caso della principale criptovaluta sul mercato, Bitcoin, più di un terzo della potenza di calcolo globale dedicata al suo mining proviene dagli Stati Uniti.

 

«I minatori di Bitcoin stanno utilizzando enormi quantità di elettricità che potrebbero essere utilizzate per altri usi finali prioritari che contribuiscono ai nostri obiettivi di elettrificazione e clima», afferma la lettera.

 

La richiesta di energia del settore ha anche un costo per i consumatori, afferma la lettera, citando uno studio che ha rilevato che le operazioni di mining di criptovalute nello stato di New York hanno portato a un aumento delle bollette elettriche di circa 165 milioni di dollari per le piccole imprese e di 79 milioni di dollari per i privati.

 

Nel frattempo, l’immane bolla delle criptovalute pare – al momento – scoppiata. La dimensione maggiore del mercato crypto rispetto a quello del disastro subprime 2008-2009 era già stato notato in un articolo di Renovatio 21 dello scorso maggio.

 

Come riportato da Renovatio 21, Biden aveva promesso di imbrigliare il Bitcoin. Tuttavia, il capo della CIA aveva dichiarato qualche mese fa che l‘agenzia di spionaggio stava lavorando sulle criptovalute. Il governo americano a fine 2021 aveva quindi dichiarato illegali alcuni NFT.

 

La Russia in questi mesi aveva fortemente regolamentato il Bitcoin, fino alla richiesta di messa al bando da parte della Banca Centrale Russa. Anche l’India, tramite un alto funzionario della sua Banca Centrale, si è scagliata contro le criptovalute, definendole «uno schema Ponzi che minaccia la sovranità finanziaria di un Paese».

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso alcuni membri della famiglia Rothschild avevano triplicato la loro esposizione in Bitcoin.

 

Aveva comprato ingenti quantità di Bitcoin  anche Peter Thiel, geniale Venture Capitalist sostenitore del primo Trump e creatore di PayPal e Palantir e primo finanziatore di Facebook, che però in precedenza aveva avvisato della possibilità che il Bitcoin fosse un’arma economica cinese.

 

 

 

 

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