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Il conflitto israelo-palestinese mette a rischio il mercato petrolifero

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Si prevede che l’ultima escalation del decennale conflitto israelo-palestinese non comporti rischi immediati per il mercato petrolifero globale, hanno detto domenica a Bloomberg i trader di greggio mentre si preparano all’apertura del mercato.

 

Lo «scenario di interruzione del petrolio sarebbe se il conflitto si estendesse all’Iran», ha detto all’agenzia Bob McNally, presidente del Rapidan Energy Group ed ex funzionario della Casa Bianca, aggiungendo che una tale sequenza di eventi sembra improbabile.

 

L’Iran, importante produttore di petrolio e membro dell’OPEC, è considerato uno dei principali sostenitori del gruppo Hamas che ha lanciato l’offensiva di questo fine settimana contro Israele.

 

«È improbabile che ciò abbia un impatto sull’offerta di petrolio nel breve termine», ha affermato il trader di hedge fund Pierre Andurand di Andurand Capital Management, citato da Bloomberg. «Ma alla fine potrebbe avere un impatto sull’offerta e sui prezzi».

 

L’Iran, da parte sua, ha espresso pubblicamente sostegno all’attacco palestinese.

 

Secondo McNally, «i prezzi del greggio aumenterebbero immediatamente sul rischio percepito di un’interruzione», se Tel Aviv rispondesse colpendo qualsiasi infrastruttura nella Repubblica Islamica.

 

Le spedizioni di greggio iraniano sono risalite ai massimi degli ultimi cinque anni, diventando sempre più importanti per il mercato. Le ultime ostilità potrebbero spingere Washington ad affrontare in modo più aggressivo i flussi di merci iraniane, che vengono spostati – con la tacita benedizione degli Stati Uniti – principalmente verso la Cina.

 

«Penso che questo sviluppo significherà una maggiore applicazione delle sanzioni iraniane, quindi meno petrolio iraniano in futuro», ha detto Andurand all’agenzia, aggiungendo che l’effetto domino nella regione è impossibile da prevedere.

 

La Repubblica Islamica potrebbe rispondere bloccando lo Stretto di Hormuz, una via d’acqua nel nord del Mar Arabico dove transitano ogni giorno quasi 17 milioni di barili di greggio. Lo shock petrolifero a quel punto colpirebbe l’economia mondiale come una crisi ulteriore dopo il COVID e l’Ucraina, destabilizzando il pianeta in modo definitivo ed imprevedibile.

 

Come riportato da Renovatio 21, i prezzi mondiali del petrolio hanno registrato un massiccio aumento trimestre su trimestre di quasi il 30% nel periodo luglio-settembre di quest’anno, poiché l’offerta è limitata a causa dei tagli alla produzione concordati dall’OPEC e dai suoi alleati, guidati dalla Russia.

 

Due mesi fa la banca d’affari Goldman Sachs ha previsto per il petrolio la domanda «più alta di tutti i tempi». Due mesi prima aveva previsto un imminente aumento del prezzo del greggio, con stime di superamento dei 100 dollari al barile entro l’anno.

 

Gli USA quest’anno ha quindi sostituito la Russia come principale fornitore di petrolio alla UE, che ha rinunciato anche alle importazioni del petrolio venezuelano.

 

Ciononostante, si prevede che la Russia supererà l’Arabia Saudita come il più grande produttore di petrolio OPEC +.

 

Grazie alle sanzioni occidentali, il petrolio sta divenendo anche la leva per la de-dollarizzazione globale, con vari Paesi, tra cui l’Arabia Saudita, che hanno iniziato a commerciare in altre valute. PakistanIndiaEmirati Arabi hanno eseguito transazioni per il petrolio in yuan o perfino in rupie.

 

 

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