Necrocultura

Denudarsi in chiesa e pisciare sull’altare non è reato ma libertà di espressione: Corte Europea sul caso Femen

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Non è possibile punire chi va in chiesa per denudarsi ed orinare sull’altare: lo stabilisce la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

 

In una scioccante sentenza che ci ricorda in che epoca di abisso dobbiamo sopravvivere, la CEDU ha stabilito che il gesto sacrilego di una attivista delle famigerate FEMEN  non è incitamento all’odio, bensì una forma della libertà di espressione.

 

Chi magari ha dovuto portare in tribunale un social media californiano sta prendendo nota: si può essere bannati per un proprio commento sulla pandemia, ma non per un rude spogliarello in un luogo sacro con minzione dissacratoria inclusa.

 

Il caso riguardava una precedente sentenza emanata da un tribunale nazionale francese, che aveva condannato l’attivista femminista facente parte del gruppo FEMEN che, entrata in una chiesa, aveva mimato l’aborto di Nostra Signora, procedendo poi a pisciare sull’altare nel mentre si spogliava, mostrando sulla schiena l’originalissima scritta «il papa non è un politico».

 

 


I fatti risalirebbero al 2013. Si trattava della chiesa della Madeleine a Parigi, il cui parroco aveva sporto denuncia. Il giudice francese condannò la femena Eloise Bouton a un mese di carcere con la sospensione della pena, che sarebbe poi stata confermata in altri due gradi di giudizio.

 

La CEDU ha ricordato che «una pena detentiva inflitta nell’ambito di un dibattito politico o di interesse generale è compatibile con la libertà di espressione garantita dall’articolo 10 della Convenzione solo in circostanze eccezionali, ad esempio, la diffusione di un discorso di odio o di incitamento alla violenza».

 

«In questo caso, l’azione della ricorrente a cui non è stato rimproverato alcun comportamento offensivo o odioso, aveva l’unico scopo di contribuire al dibattito pubblico sui diritti delle donne».

 

La Corte Europea ha quindi tirato le orecchie alle toghe francesi, osservando che si sono «limitate a esaminare la questione della nudità del suo petto in un luogo di culto, senza prendere in considerazione il significato dato alla sua performance o le spiegazioni fornite sul significato dato alla loro nudità dalle attiviste dei Femen». La CEDU ha quindi disposto il risarcimento alla femen da parte dello Stato per aver violato la sua libertà di espressione.

 

Spogliarsi in chiesa, offendendo la Santa Vergine e urinando su un oggetto sacro, è insomma un diritto umano – se lo si fa con significato – cioè se lo si fa per il femminismo e per il feticidio.

 

La Corte pare aver stabilito che la profanazione di luoghi sacri e l’offesa del sentimento religioso, oltre che agli atti osceni in luogo pubblico, si possano fare a condizione non incitino all’odio e alla violenza: peccato che per i cristiani l’aborto stesso è la massima violenza possibile (quella sull’Immagine di Dio che si riflette nel bambino, innocente, indifeso, affidato alla pace del grembo materno), e quindi qualche credente potrebbe dire che la sceneggiata blasfema ed escrementizia della femena gli appare proprio come un incitamento alla violenza.

 

Tuttavia, è noto che, per il pensiero hitleriano che fa da sistema operativo al mondo moderno, i non-nati non sono persone, quindi possono essere terminati a piacimento. Il lettore di Renovatio 21 sa che questo è ciò che si chiama Cultura della Morte, e che combatterla è il compito che devono darsi gli uomini del XXI secolo al fine di salvare l’umanità dalla catastrofe.

 

Abbiamo così la Necrocultura come diritto umano, sancito dall’Eurocorte più alta che c’è.

 

Una parola sulle FEMEN, le attiviste urlanti con le zizze al vento che dopo le fiammate dei primi anni 2010 sembrano sparite. Dopo varie scaramucce nudiste, il colpo grosso arrivò quando, munite di motosega, tagliarono un crocefisso di legno di quattro metri che simboleggiava la memoria delle vittime di Stalin a Kiev.

 

 

Le autorità ucraine avviarono procedimenti penali per vilipendio e vandalismo. Una delle leader, Inna Shevchenko, fuggì dall’Ucraina per trovare rifugio, un po’ come i nostri terroristi rossi, a Parigi. Nella capitale francese sembra aver goduto di un enorme successo con tutti i crismi delle istituzioni: dopo l’apertura del centro FEMEN parigino, la Shevcenko finì sui francobolli stampati dalla Repubblica con il ruolo di Marianna, simbolo par excellence della Rivoluzione francese, e quindi della Francia moderna e massonica. Le fu quindi concesso ben preso l’asilo politico.

 


I motivi della copertura della bionda nudista di Kherson da parte delle massime istituzioni parigine sono misteriose e hanno dato adito a pettegolezzi, tuttavia sono materialmente consistenti: il presidente Macron la invitò come «consulente» al G7 di Biarritz.

 

Non che arrivata nella ville lumière la femminista si fosse messa tranquilla: il giorno successivo alle dimissione di papa Benedetto XVI era entrata nella cattedrale di Notre Dame esibendo la scritta «basta papi» scritto fra i suoi seni. Nell’occasione, aveva danneggiato anche una campana d’oro. Denunziata, fu assolta.

 

Nel 2013, un gruppo di FEMEN attaccò durante un’incontro all’Università Libera di Bruxelles l’arcivescovo belga monsignor André Leonard, ritenuto «omofobo» dalle pettonudiste in protesta. Salite sul palco, quattro signore con le tette fuori lo insultarono a dovere, e gli fu tirata addosso acqua da bottigliette a forma di Vergine Maria. L’arcivescovo è rimasto in preghiera silenziosa durante l’incidente.

 


Non è la prima volta che la CEDU prende una decisione simile.

 

Quattro anni fa la Corte di Strasburgo aveva deciso che le profanazioni delle Pussy Riots – gruppo russo non dissimile dalle FEMEN, le quali hanno solidarizzato con le colleghe moscovite – nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca costituiva una forma di libera espressione protetta dai diritti umani.

 

La canzone che il gruppo tentò di cantare includevano offese volgari a Putin, al Patriarca di tutte le Russie Cirillo I nonché direttamente a Nostro Signore. Performance precedenti delle ragazze del gruppo includevano oscenità stomacanti.

 

La Possy Riot Nadja Tolokonnikova, che faceva parte del collettivo di «artisti» chiamato Voina («guerra», in russo), prese parte a quella che i media locali definirono «un’orgia pubblica» al Museo di Biologia Timirjazev, una «performance» pensate per fare satira sul proposito dell’allora presidente Medvedev di fare più figli. La Tolokonnikova, in quel momento, era visibilmente incinta.

 

 

Un’altra «performance» del collettivo Voina, rimasta ben impressa nella mente dei russi, fu realizzata in un supermercato di San Pietroburgo, dove un’«artista» si infilò su per la vagina un pollo congelato. I critici delle Pussy Riot ricordano spesso questo episodio, talvolta offrendo prodotti di polleria alle ragazze Pussy.

 

Le Pussy Riot furono arrestate anche durante le Olimpiadi di Sochi, dove tentarono una grottesca performance, ma furono subito fermate da cosacchi che usarono la frusta.

 

 

Tanto dolore, tuttavia, alla fine qualcosa ha pagato. Alcune di loro, come la Tolokonnikova, ora godono di una vita tra le star americane, partecipando a serie TV (come House of Cards su Netflix) e facendosi paparazzare in luoghi ultra-esclusivi come gli Hamptons circondate da vedettes hollywoodiane.

 

Tornano a Strasburgo, da notare come l’avvocato delle Pussy Riots abbia poi saltato la staccionata: ora è divenuto giudice della CEDU.

 

Sempre nel 2018, la Corte aveva condannato anche la Lituania, che si era permessa di sanzionare comunicazioni che raffiguravano Cristo e la Vergine Maria in maniera blasfema.

 

Ribadiamo il significato ultimo di quanto accaduto alla Corte di Strasburgo: la Necrocultura è divenuta un diritto umano.

 

Ora, come si sia arrivati a questo ci è chiaro. Così come speriamo vi siano più chiari, dopo quanto abbiamo raccontato, i poteri che sono stati dietro a questo filone del progetto, ramo tette-fuori-blasfeme.

 

 

 

 

Immagine da Twitter, modificata

 

 

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