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Djokovic, visto revocato dal ministero dell’immigrazione australiano: motivi di «salute e buon ordine»

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Il numero 1 del tennis mondiale Novak Djokovic si è visto revocare per la seconda volta il visto dalle autorità australiane.

 

Il ministro dell’immigrazione australiano, Alex Hawke, ha dichiarato in una dichiarazione che stava cancellando il visto di Djokovic per motivi di «salute e buon ordine», aggiungendo che era nell’interesse pubblico farlo.

 

Hawke ha preso l’iniziativa quattro giorni dopo che Djokovic ha vinto la battaglia legale che lo ha liberato dall’hotel-centro detenzione per immigrati dove era stato trattenuto da quando era arrivato in un aeroporto di Melbourne la scorsa settimana.

 

Il ministro non ha fornito ulteriori dettagli sulla sua decisione di revocare il visto, se non dire che il governo australiano si è impegnato a proteggere i confini del Paese durante la pandemia.

 


Non era chiaro cosa succederà, con l’inizio degli Australian Open a tre giorni di distanza. Djokovic potrebbe tornare in tribunale per chiedere l’annullamento della decisione, ma gli esperti legali hanno affermato che potrebbe avere poche possibilità di successo dopo aver vinto il suo primo turno in tribunale per motivi procedurali limitati.

 

Mary Crock, professoressa di legge all’Università di Sydney, ha detto il New York Times che sarebbe  «molto, molto difficile» per Djokovic vincere qualsiasi appello. «Le regole della giustizia naturale e della procedura non si applicano». Quindi l’unico modo per presentare ricorso sarebbe dimostrare che non esiste alcuna base di interesse pubblico su cui il visto possa essere annullato.

 

Come aveva scritto Renovatio 21, era improbabile che dopo la vittoria in tribunale della scorsa settimana il governo australiano. Lo si era capito anche dall’intervento del premier Scott Morrison. Il potere di Canberra, che con i vari Stati che compongono il Paese ha investito in lockdown, sorveglianza e repressioni spaventosi, con campi di concentramento inclusi e uso di militari, non poteva permettere che qualcuno mandasse all’aria la legittimità delle sue misure restrittive draconiane e dei suoi tremendi piani futuri.

 

Si tratta, ricordiamo, di Melbourne, città epicentro di una delle repressioni pandemiche più potenti viste sul pianeta.

 

Il padre di Novak, in una conferenza stampa in Serbia con tutta la famiglia, aveva detto che si trattava di una «questione politica». È molto, molto di più: è l’intera narrazione COVID mondiale che poteva entrare in crisi, soprattutto con una (probabile) vittoria del serbo al torneo.

 

In ballo c’era molto più del tennis.

 

Novak Djokovic era diventato un simbolo, un Davide contro il Golia dello Stato pandemico australiano. Con la sua pallina da tennis, avrebbe potuto colpire la tempia del gigante, e liberarci dal suo potere, che è basato solo sulla forza bruta e sulla paura – cioè, un potere basato su fondamenti illegittimi.

 

Questo il governo australiano lo aveva capito. Ha agito di conseguenza.

 

Ora stiamo a vedere cosa succederà. Perché anche questo gigante ha i piedi di argilla.

 

 

AGGIORNAMENTO

Novak Djokovic ha fatto ricorso. L’udienza, data immediatamente, è in corso mentre scriviamo. Presiede il giudice Kelly, cioè quello che in precedenza aveva dato ordine di «liberare» Djokovic.

 

Qui il link della diretta dal tribunale

 

 

 

Immagine di Andrew Campbell via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

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