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Dentifrici fatti con i capelli?

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I ricercatori del King’s College di Londra affermano di aver identificato una sostanza in grado di proteggere dalla carie e riparare i danni iniziali meglio del fluoro: la cheratina, cioè la sostanza che forma i nostri capelli. Lo riporta il New York Post.

 

Lo studio è stato pubblicato questa settimana sulla rivista Advanced Healthcare Materials.

 

La cheratina, una proteina presente nei capelli, nella pelle, nelle unghie e nella lana delle pecore, forma un denso rivestimento minerale che imita la struttura e la funzione dello smalto naturale, proteggendo i denti e potenzialmente sigillando i canali nervosi esposti che causano sensibilità.

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I ricercatori britannici sperano di incanalare il potere della cheratina in un dentifricio da usare quotidianamente o in un gel applicato professionalmente, in grado di agire sulle zone problematiche

 

«Stiamo entrando in un’era entusiasmante in cui la biotecnologia ci consente non solo di trattare i sintomi, ma anche di ripristinare la funzione biologica utilizzando i materiali del corpo stesso», ha affermato al quotidiano neoeboraceno Sherif Elsharkawy, autore senior dello studio e consulente in protesi dentaria presso il King’s College di Londra.

 

«Con un ulteriore sviluppo e le giuste partnership industriali», ha aggiunto, «potremmo presto ottenere sorrisi più forti e sani con una cosa semplice come un taglio di capelli».

 

Gli scienziati prevedono che il prodotto arriverà sugli scaffali entro due o tre anni.

 

La scoperta potrebbe rovesciare integralmente il senso di disgusto umano verso i capelli ingeriti: immaginiamo già i camerieri dei ristoranti che, alla lamentela dell’avventore che trova il capello nel piatto, risponderanno: «le fa bene ai denti».

 

Per qualche ragione, forse di memoria biografica, ci infingiamo in questa scenetta in un localino di Roma, magari a San Lorenzo, dove un vecchio cameriere 20 anni fa rispose al vostro cronista rimasto senza forchetta – «a che je serve?» aveva domandato l’addetto romano; «a mangiare», aveva risposto il vostro affezionatissimo – gli disse «che je l’ha detto er dottò che deve magnà?»

 

Arrivati a quel punto, senza troppa grazia, l’uomo porse all’autore una forchetta pulita, lasciando il sinceramente vostro con l’altra forchetta, quella caduta a terra nel vicoletto romano, in mano. «E questa dove la devo mettere?» disse il vostro scrittore, realizzando un nanosecondo dopo di quale alzata aveva prodotto per il capitolino, e quale automatica schiacciata costui avrebbe quindi performato.

 

«Sa dove se la deve mettè, se la deve mette ner…» a quel punto il cronista di Renovatio 21, avendo realizzato istantaneamente l’inevitabile riga di copione, tentava amareggiatissimo di fuggire lestamente per non sentire il resto.

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Dati della scienza alla mano, e in piena libertà di coscienza, ora ci sentiamo di consigliare a noi stessi che, qualora capitasse un capello in un piatto di spaghetti alla gricia in un ristorantino della città eterna, di non incomodarci più del dovuto, e pensare al bene della nostra dentatura.

 

Permangono pure i grandi avvertimenti di Renovatio 21 riguardo al dentismo (parola che non esiste, almeno non ancora, in italiano, anche se ne esiste tuttavia il tragico derivato «dentisti», i quali sono, come dice la Lettera di San Paolo, carissimi): primum, la scienza ha dimostrato che il filo interdentale è inutile: l’invento è talmente malefico che vogliono farne vettore di vaccini mRNA; secundum: secondo la leggende, il Mao Zedongo (1893-1976) vantavasi di mai essersi lavato i denti in vita sua, spazzolandoli, al massimo, con il tè verde.

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