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COVID-19, terapia con il plasma di pazienti guariti. Intervista al prof. Bellavite

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La cura arriverebbe dal popolo e dal suo altruismo invece che dalle farmaceutiche: un concetto che per alcuni sarebbe difficile da accettare. Ma cosa è veramente la terapia al «plasma iperimmune»? Funziona davvero? È costosa?

 

Renovatio 21 torna ad intervistare il professor Paolo Bellavite, medico chirurgo, ematologo, perfezionato in epidemiologica clinica e docente di Patologia Generale, sulla terapia del COVID-19 con plasma di guariti.  Un argomento molto dibattuto in questo ultimo periodo e al quale anche i media ufficiali, chissà perché, stanno dando, ad ora, non troppo risalto.  

 

È importante che l’opinione pubblica appoggi questi tentativi e vigili affinché non si abbandoni questo promettente filone di intervento terapeutico “no-profit”

 

Prof. Bellavite, in cosa consiste la terapia con plasma iperimmune?

Si tratta di una tecnica di immunoterapia di malattie infettive mediante la somministrazione di plasma (la parte liquida del sangue) donato da pazienti guariti dalla stessa malattia. È una tecnica antica (fu usata ad esempio nella difterite), già utilizzata nelle precedenti epidemie di coronavirus (SARS, MERS)  e in quella di Ebola.

 

Una forma più precisa è la somministrazione di immunoglobuline purificate, non ancora disponibile per  COVID-19, che si pratica per curare le tossinfezioni come quella tetanica, botulinica e il morso di vipera.

 

In breve:  Si prelevano circa 400-500 cc di plasma ad un donatore, che dev’essere un paziente guarito da almeno 15 giorni ed essere negativo al tampone (questo anche per evitare contagi nei centri trasfusionali). Il prelievo si fa con una macchina che separa automaticamente il plasma dalle cellule, le quali sono restituite al donatore stesso.

 

Si prelevano circa 400-500 cc di plasma ad un donatore, che dev’essere un paziente guarito da almeno 15 giorni ed essere negativo al tampone. La procedura non causa alcun problema al donatore

A parte il posizionamento dell’agocannula in vena e il tempo di attesa, la procedura non causa alcun problema al donatore. Il plasma è poi congelato in attesa che si facciano i test della negatività per altri virus (ad es. HIV, epatite B e C) e si valuti il titolo anticorpale neutralizzante.

 

Il titolo è la diluizione più alta in cui si ottiene un effetto bloccante l’infettività del virus. Se non è disponibile un test di neutralizzazione, si può fare un test ELISA in cui si ottiene comunque una stima della quantità di anticorpi presenti.  Al bisogno, il plasma viene scongelato e somministrato ad un malato.

 

Praticamente, ogni guarito può guarire delle altre persone?

La certezza in medicina non esiste coi farmaci più collaudati, figuriamoci in un caso come questo, in cui le prove sono state fatte in condizioni di urgenza (si dice a scopo “compassionevole”), senza studi clinici controllati.

 

Comunque, la letteratura più recente e le esperienze che sono riferite dai medici ospedalieri sono prevalentemente positive, tanto che sono stati già autorizzati studi clinici controllati.

Si tratta di una terapia sicura, senza effetti collaterali, salvo un piccolo rischio (teorico) di una reazione negativa detta “potenziamento anticorpo-dipendente”:  se il paziente ha già anticorpi contro altri ceppi di coronavirus, la reazione potrebbe essere troppo forte e innescare o peggiorare un’infiammazione sistemica

 

Certamente, la probabilità di buon successo dipende dal titolo anticorpale neutralizzante del plasma del donatore e dalle condizioni cliniche del malato ricevente. Se la situazione clinica è troppo compromessa, qualsiasi terapia ha maggiori difficoltà ad esplicare le proprie potenzialità. 

 

Si tratta di una terapia sicura, senza effetti collaterali, salvo un piccolo rischio (teorico) di una reazione negativa detta “potenziamento anticorpo-dipendente”:  se il paziente ha già anticorpi contro altri ceppi di coronavirus, la reazione potrebbe essere troppo forte e innescare o peggiorare un’infiammazione sistemica.  Quanto tale rischio — ben noto ai medici — sia concreto in caso di COVID-19 ancora non si sa bene e dovrà essere valutato su grandi casistiche.

 

Quanti malati può servire un donatore?

Una donazione serve un malato, potrebbe servire forse anche due o tre, se il titolo anticorpale fosse molto alto. Indicativamente, un titolo alto è maggiore di 1/320, cioè il virus viene neutralizzato anche se il plasma è diluito 320 volte.

 

A questo proposito va precisato che il concetto di plasma “iperimmune” è un po’ vago, proprio perché per ora non si può sapere cosa significhi quell’”iper”, e sarebbe meglio parlare semplicemente di “plasma di convalescente”. 

 

Una lettrice di Renovatio 21 ha avuto, con tutta la famiglia il COVID-19, e nel mese di passione ha perso il padre. Ora è negativizzata, dicono i tamponi. Vorrebbe donare il plasma, ma, ci dice, nessuno le vuole dare retta. Perché?

Non saprei, ma posso immaginare che questo approccio sia visto come promettente solo da una minoranza di centri di cura, oppure che i medici che hanno in cura i pazienti COVID-19 siano in generale sovraccarichi di lavoro, cosicché non hanno tempo e strumenti per potersi dedicare a stabilire protocolli terapeutici basati sulla trasfusione di plasma.

 

È come la trasfusione di sangue. Non solo costa poco, ma si tratta di una terapia che ha grandi fondamenti etici e di solidarietà. Viene già usata nella maggior parte delle Nazioni

Consiglierei alla lettrice di insistere e contattare i centri italiani che fanno già questa terapia (cito a memoria Cremona, Lodi, Pavia, Mantova, Padova, ma certo ce ne sono di più).

 

Si tratta di una terapia costosa?

Assolutamente no, è come la trasfusione di sangue. Richiede solo un centro trasfusionale attrezzato e protocolli tecnici rigorosi.

 

Non solo costa poco, ma si tratta di una terapia che ha grandi fondamenti etici e di solidarietà. Viene già usata nella maggior parte delle Nazioni.

 

I margini di questa terapia toccano le farmaceutiche?

No, è una terapia che si può fare in concomitanza con altri farmaci.

 

Ritengo che la resistenza principale al’uso massivo della terapia con plasma derivi dalla mancanza di studi clinici controllati in questa specifica malattia

L’industria del trasfusionale in Italia è attrezzata per un uso massivo del plasma dei guariti?

Per quanto riguarda l’attrezzatura, certamente non è un problema, o basterebbe poco a portarla al livello necessario. Ritengo che la resistenza principale al’uso massivo della terapia con plasma derivi dalla mancanza di studi clinici controllati in questa specifica malattia.

 

Perciò è importante, direi essenziale, che tali studi siano condotti presto e bene, cosa non scontata: condurre uno studio clinico non è facile, perché si devono formare due gruppi di malati, mediante sorteggio, e fare la terapia solo ai malati di un gruppo.

 

Apparentemente questa procedura può sembrare ingiusta o poco etica, ma in realtà non lo è perché una certezza di efficacia può venire solo da uno studio del genere.

 

Ciò vale anche per i comuni farmaci, ma c’è una differenza: gli studi sui farmaci di solito sono sponsorizzati dalle case produttrici, mentre uno studio sul plasma non ha sponsor, in quanto nessuno ci potrebbe lucrare. Quindi è importante che l’opinione pubblica appoggi questi tentativi e vigili affinché non si abbandoni questo promettente filone di intervento terapeutico “no-profit”.

Gli studi sui farmaci di solito sono sponsorizzati dalle case produttrici, mentre uno studio sul plasma non ha sponsor, in quanto nessuno ci potrebbe lucrare

 

Ci sono molte cose da verificare, tra cui il momento più adatto per introdurre il plasma del convalescente: già all’inizio della malattia o solo nelle fasi più avanzate quando si è capito che il malato non riesce a guarire altrimenti?

 

Immaginiamo che, rispetto al vaccino che è una piccola fialetta resa obbligatoria dallo Stato, la terapia del plasma iperimmune dia a chiunque la gestisca margini estremamente più ridotti. No?

Su questo non ci sono dubbi. Sarebbe da ingenui ignorare che gli indirizzi e le decisioni di politica sanitaria sono state spesso influenzate dalla case farmaceutiche. In questo caso (COVID-19) si è però creata una situazione molto favorevole, proprio per la mancanza di cure sicuramente efficaci.

 

Pertanto bisogna che la fase di sperimentazione e quella di applicazione dei vari approcci terapeutici siano controllate dallo Stato in modo efficace e trasparente.

 

Per dissipare ogni dubbio al riguardo, è fondamentale che le commissioni scientifiche dello Stato siano composte solo da studiosi sicuramente privi di conflitti di interesse e da rappresentanti di società scientifiche a loro volta prive di conflitti di interesse.

Bisogna che la fase di sperimentazione e quella di applicazione dei vari approcci terapeutici siano controllate dallo Stato in modo efficace e trasparente

 

E non mi parli nemmeno di fialette rese obbligatorie!

 

È possibile  che a frenare sull’applicazione di questa terapia sia quindi una lobby farmaceutica?

Dire che il mercato della sanità è frequentato dalle lobby farmaceutiche non è complottismo ma una ovvietà. Si possono immaginare le pressioni che stanno esercitando le case farmaceutiche affinché i loro prodotti siano inseriti come candidati negli studi clinici e quindi potenzialmente facciano ingresso nel mercato.

 

Anche la corsa al vaccino è aperta e ci sono forti competizioni, come si è visto pure per i test immunologici. Non ho notizie per sostenere che ci siano pressioni per frenare lo sviluppo della terapia con plasma di convalescente.

È fondamentale che le commissioni scientifiche dello Stato siano composte solo da studiosi sicuramente privi di conflitti di interesse e da rappresentanti di società scientifiche a loro volta prive di conflitti di interesse

 

Posso solo sperare che ciò non succeda e che chi può controllare si metta la mano sulla coscienza.

 

Per terapie promettenti come idrossiclorochina ed eparina, si tratta dello stesso fenomeno di logoramento e censura messo in atto dagli amici di Big Pharma?

Non credo, perché sono comunque prodotti farmaceutici, anche se non costano molto.

 

Però i due farmaci sono molto diversi: l’idrossiclorochina è un potenziale antivirale e quindi deve essere sperimentato come tutti gli altri prima di “cantare vittoria”, mentre l’eparina a basso peso molecolare è una terapia anticoagulante che è giusto e logico somministrare nel COVID-19 quando c’è pericolo di coagulazione intravascolare o trombosi venosa.

 

Dire che il mercato della sanità è frequentato dalle lobby farmaceutiche non è complottismo ma una ovvietà

Secondo me resta ancora da stabilire se l’eparina possa servire anche nelle prime fasi della malattia.

 

Se un guarito può donare il plasma e far guarire qualcun altro, come si spiega la recidività del virus che oramai pare quasi accertata?

Si spiega perché in medicina ci sono sempre delle eccezioni, visto che ogni persona è diversa, e ogni malattia è diversa nelle diverse persone.

 

In più, il virus muta velocemente, come si sa, ma anche questo non significa necessariamente che l’immunità naturale non duri, perché essa è di natura “policlonale”, cioè è diretta verso molteplici bersagli del microbo.

 

In definitiva, Prof. Bellavite, qualcuno ci ha capito qualcosa di questo virus?

In realtà direi di sì. Si conoscono ormai un sacco di cose, anche se molte si sono apprese per “trial and error”, purtroppo anche a spese dei primi approcci disastrosi.

 

Ci sarebbe tanto da dire, ovviamente, ma rimarco ciò che ritengo particolarmente importante: il virus si può domare sia col “distanziamento sociale” (brutta parola che sostituirei con “conoscenza e responsabilità”) sia con le terapie, anche se non arriva il fantomatico vaccino.

Il virus si può domare sia col “distanziamento sociale” (brutta parola che sostituirei con “conoscenza e responsabilità”) sia con le terapie, anche se non arriva il fantomatico vaccino

 

Inoltre sappiamo che la gravità della malattia non dipende solo dalla “cattiveria” del virus ma soprattutto dalle condizioni di salute sottostanti e precedenti dell’ospite, che a loro volta dipendono da un’ampia serie di fattori (abitudini di vita, alimentazione, movimento, attitudini psicologiche, salubrità dell’aria e dell’acqua), la più gran parte dei quali si possono modificare e migliorare. 

 

Cristiano Lugli

 

 

 

 

Le opinioni espresse degli articoli  e delle interviste pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

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