Animali

Circondati dai lupi. Cosa vogliamo fare?

Pubblicato

il

Il problema è che a breve non si parlerà più degli orsi. Si parlerà dei lupi. E non per un morto e, se va bene, un solo attacco all’anno, o due-tre.

 

No, potremmo cominciare a sentir parlare dei lupi a cadenza regolare, e per episodi raccapriccianti: bambini sbranati, bestie che si inoltrano sin dentro i giardini delle villette, poi dentro le case. È inevitabile, in realtà in larga parte sta già accadendo.

 

Ad Asiago c’è un gruppo Whatsapp dei cittadini che cercano di avvisarsi in caso di avvistamento: branchi di lupi sono passati dallo sbranare mucche e asini e animali domestici a farsi trovare direttamente fuori dai portoni delle case.

 

A Lucca, lo scorso 11 aprile, una signora è stata attaccata da un lupo che le ha morso la mano. Quattro mesi fa, un automobilista ne ha filmato uno per strada, nel Chianti. A Siena quattro anni fa un branco aveva attaccato un’azienda agricola colpendo 70 pecore.

 

A Sondrio un bambino di 10 anni ha trovato una cerva dilaniata a poca distanza dalle case.  Era capitato anche nel pavese due anni fa, quando una telecamera di sorveglianza riprese un lupo sbranare un capriolo dentro il giardino di una casa.

 

A Cesena, è stato visto un lupo ieri, in mezzo alle case. Stessa cosa, due mesi fa, nel centro di Busto Arsizio.

 

A Romano d’Ezzelino, in provincia di Vicenza, a inizio mese i cittadini hanno visto il lupo in pieno giorno, in pieno centro.

 

Il vicentino sembra particolarmente colpito. Il lupo è stato visto a Schio, tra piante e radure a poca distanza dal Santuario di Monte Berico, a Monteviale, piccolo comune collinare fatto di cascine e belle case. Chiunque ami fare delle passeggiate nella natura con i propri figli finisce per fare quel pensiero.

 

«Non hanno più timore di avvicinarsi agli insediamenti umani» ha detto una veterinaria al quotidiano milanese La Verità. «Anche perché non hanno nessun motivo per averne».

 

I numeri del fenomeno sono impressionanti. Vi sarebbero 3.300 lupi in tutta Italia, un esercito ululante e spaventoso che ha già una sua mitologia: sarebbe sorto dall’incontro, nel 2011, tra Giulietta, una lupa della Lessinia, e Slavc, un lupo che, ci dicono, sarebbe migrato spontaneamente dalla Slovenia – tutti insistono sul fatto che i lupi non sono stati reintrodotti artificialmente, si tratta, assicurano, di fake news.

 

Le cucciolate di Giulietta con suo Romeo sloveno e la loro discendenza si sarebbe diffusa a macchia d’olio: Friuli, Veneto, Lombardia, Trentino, anche Emilia-Romagna.

 

Solo nel Bellunese ci sarebbero 17 branchi per un totale di 120 lupi. Quando due anni fa ad Auronzo di Cadore un automobilista fece un video mentre un branco gli correvano davanti in strada, vi fu scandalo: le associazioni animaliste chiesero l’identificazione dell’uomo; il PD veneto, dopo aver parimenti chiesto con un’interrogazione in giunta regionale di individuare l’automobilista, secondo il servizio TV parlò di «folle inseguimento che deve essere punito (…) un episodio vergognoso e gravissimo», anche perché, avrebbero detto i democratici, le temperature rigide, la rottura del branco e la tanta fatica fatta, quegli animali sarebbero andati  «sicuramente incontro alla morte».

 

Di certo sappiamo che a morire, più che i lupi inseguiti, ad Auronzo sono i cervi, trovati sbranati dai lupi – uno dei quali colto sul fatto – neanche due settimane fa, ma anche lo scorso settembre, il pony di una bambina 13enne, massacrato dai lupi. «Succede spesso, ma nessuno parla per non spaventare i turisti» ha dichiarato il titolare di una malga.

 

Se c’è del vero il mito fondativo lupino di Giulietta e Slavc, che da due che erano hanno lanciato la procreazione di 3.300 lupi in dieci anni, dobbiamo aspettarci una esplosione esponenziale che porterà la presenza sul territorio di decine di migliaia di belve – creature aggressive che, lo stanno dimostrando, non hanno alcuna paura dell’uomo.

 

A quel punto, gli incontri tra uomo e lupo saranno inevitabili – ed estremamente frequenti.

 

Gli attacchi dei lupi saranno sconvolgenti, perché, a differenza dell’orso, il lupo è un animale non esattamente timido. E ama con evidenza quello che gli anglofoni chiamano, overkill, o surplus killing: ammazza altre creature e poi le lasciano là, sbrana non più per fame, ma per altre pulsioni ferali (qualcuno dice, «per sport»). È possibile vedere il fenomeno negli attacchi agli allevamenti: i lupi uccidono più pecore di quante ne riescono a mangiare.

 

E chi saranno le vittime? Dicono che i bambini sono a rischio, perché i lupi li vedono come bestie della loro altezza, e non escludo che siano in grado anche di valutare il loro essere indifesi perché «cuccioli» (è il linguaggio della natura per moltissime specie: i cuccioli li riconosci immediatamente dalle forme arrotondate, gli occhi grandi, in alcune specie la loro visione depotenzia l’aggressività, altre invece ne stimolano gli istinti predatori). Pensiamo anche che gli anziani, con meno agilità e forza per difendersi (cosa che un lupo forse può odorare: qualcuno sostiene che i canidi possano sentire la presenza di testosterone negli umani), potrebbero divenire vittime della popolazione lupesca.

 

Vecchi e bambini come prime vittime: non diversamente da certe stragi psicopatiche che stiamo vedendo di recente. Non diversamente dal principio della crudeltà che vuole i deboli attaccati subito dal predatore.

 

Come è possibile, quindi, tollerare il ritorno del lupo? Com’è possibile che nessuno sia sconvolto dallo scenario che si sta aprendo dinanzi a noi?

 

Qualcuno, al di fuori dei canali ufficiali, sembra ci stia pensando. Vi è stata una reazione tremenda pochi mesi fa a Samolaco, in Val Chiavenna: su un cartello stradale qualcuno ha issato la testa di un lupo decapitato, con un messaggio forte: «I professori parlano, gli ignoranti sparano».

 

Stessa cosa nel 2014, in Maremma. Venne rivenuta una testa di lupo mozzata, attaccata ad un palo ai piedi del bosco. Qualcuno disse che erano cacciatori, o contadini della zona. In verità i misteriosi autori avevano lasciato una firma: «Cappuccetto Rosso».

 

La favola di Cappuccetto Rosso, che ha diversi piani di lettura, è nota per un fatto che nel tempo ha un po’ inquietato: nella sua prima versione scritta, quella di Charles Perrault (1697), non vi è alcun lieto fine. Il lupo divora la nonna, inganna la bambina, e si mangia anche quella. Il lupo vince: i vecchi e i bambini vengono divorati. Il lieto fine sarebbe stato apposto solo più tardi, nelle versioni dei fratelli Grimm (1812), che immaginano l’arrivo di un cacciatore che uccide il lupo e lo sventra, salvando così la nonna e Cappuccetto Rosso.

 

Cappuccetto Rosso ci riporta ad un tempo in cui il lupo era praticamente inevitabile: l’Europa era un grande, infinito bosco, nel quale, secondo la battuta, una scimmia poteva salire su un albero a Lisbona e scendere a terra a Roma. Secoli di lavoro – secoli di civiltà cristiana – hanno umanizzato il territorio, eliminando per l’uomo la possibilità di essere ucciso e divorato dalle fiere.

 

Ora lo Stato moderno ripopola le terre degli uomini dei suoi predatori, quelli con cui la convivenza – attestano le favole, le tradizioni, le Sacre Scritture – è impossibile.

 

Si tratta di una verità che si può estendere ben al di là del ritorno delle bestie feroci nei nostri spazi. Pensiamo a quello che ci sta intorno. Speculazione finanziaria, politica tirannica, farmaceutica totalitaria, ladri e rapinatori lasciati indisturbati, pedofili nascosti nelle pieghe delle più alte istituzioni. La Cultura della Morte informa il mondo moderno, è esattamente il sistema operativo che rende possibile la violenza dei predatori sugli innocenti.

 

Sono lupi coloro che stanno ai vertici dei poteri occidentali, che sacrificano senza batter ciglio gli interessi del popolo e la stessa vita umana.

 

Sono lupi perfino i pastori della religione, che invece che guidare e proteggere il gregge sembrano volerlo divorare e dimenticarne le carcasse.

 

Siamo circondati dai lupi, in ogni senso possibile. Siamo in compagnia dei lupi e tendiamo, per quieto vivere, a dimenticarcene.

 

Quindi: che cosa intendiamo fare?

 

Quale finale vogliamo per la favola di Cappuccetto Rosso che è diventata la vita nostra e quella dei nostri bambini?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

Più popolari

Exit mobile version