Morte cerebrale
Calciatore cinese dichiarato «morto» in Spagna verrà rimpatriato per essere curato. La morte è divenuta un’opinione?
Il criterio clinico della cosiddetta morte cerebrale è ascientifico, lacunoso, contraddittorio, privo di oggettività e affidabilità, come è ormai noto ai lettori di Renovatio 21.
Eppure, è sulla base di esso che viene decisa la vita e la morte dei pazienti in coma in Italia e in molti altri Paesi europei ed extraeuropei. I mass media, non di rado, riportano notizie alquanto bizzarre, se non decisamente inquietanti, che dimostrano come il suddetto criterio, totalmente disancorato dalla naturalità della morte, sia penetrato nella coscienza collettiva.
Nel corso di un’amichevole giocatasi in Spagna tra la squadra cinese del Beijing Guoan e l’RC Alcobendas, Guo Jiaxuan, giovanissimo calciatore cinese proveniente dall’accademia del Bayern Monaco, è crollato a terra in seguito ad un fortuito scontro di gioco con un avversario.
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Lo sfortunato difensore, di anni 18, è stato prontamente portato in ospedale dove gli è stata diagnosticata la morte cerebrale, tant’è che il fratello del calciatore ha postato sui social la foto del referto medico e il seguente comunicato: «il dottore ci dice che ci sono pochissime speranze di sopravvivenza, che è clinicamente morto a causa della mancanza di ossigeno al cervello e che presto dovranno rimuovere i tubi» (cioè i sostegni vitali, ndr).
Le cronache riferiscono che né il club di appartenenza del ragazzo né l’associazione sportiva che organizza i tour prestagionali della squadra in Europa volevano farsi carico delle spese mediche del calciatore, incluso il viaggio di ritorno in Cina. Solamente dopo il clamore mediatico sollevato da amici, familiari e tifosi, le due organizzazioni sportive hanno deciso di assicurare alla famiglia del giocatore la copertura di tutte le spese necessarie per il suo trasferimento in patria: «siamo pienamente impegnati a garantire che venga curato nel modo migliore».
Ora, al di là dei servizi di cronaca che non sempre brillano per accuratezza e precisione, è interessante notare come nessun cronista, a quanto sembra, abbia rilevato l’intrinseca contraddittorietà del fatto esposto, come se fosse del tutto normale considerare un cadavere bisognoso di cure.
Nei diversi resoconti su questo specifico episodio si parla del calciatore al passato e vengono ripercorse le tappe principali della sua giovane carriera, come se appunto fosse ormai morto.
In ogni caso, sono numerosi i casi clinici di persone dichiarate cerebralmente morte che sono uscite dal coma oppure sono sopravvissute per anni anche con il distacco dalla ventilazione ausiliaria, ma ovviamente essi non trovano spazio nei mass media e comunque tendono ad essere rubricati come «casi limite» o il risultato di errori diagnostici.
C’è anche da considerare quanto sia ritenuto improbabile che un paziente si risvegli dal coma dopo la dichiarazione di morte cerebrale, vuoi per l’estrema invasività di alcune procedure utilizzate per l’accertamento che non di rado complicano il quadro clinico del soggetto (vedi il famigerato test di apnea), vuoi per il subitaneo distacco dai sostegni vitali e dalle cure che lo mantengono in vita (a meno che si tratti di un donatore, il quale viene tenuto in vita al massimo per qualche giorno solo allo scopo di depredarlo degli organi).
In sostanza, la morte cerebrale corrisponderebbe alla perdita permanente delle funzioni cerebrali che non possono essere ripristinate mediante interventi medici né riattivarsi in maniera spontanea. Ma con tale assunto si intende la perdita di tutte le funzioni esistenti? Certamente no, visto che la scienza conosce solo una minuscola parte delle attività del cervello umano.
Il Decreto Ministeriale n 582/1994, che costituisce il regolamento attuativo della legge n 578/1993, riduce tutte le funzioni alle seguenti: coscienza, alcuni riflessi mediati dal tronco encefalico, respiro spontaneo e risposte elettroencefaliche mediate dalla corteccia di ampiezza superiore ai 2 microvolts. Tale elenco comprende solo una parte delle funzioni conosciute e ne trascura altre anche molto significative di cui è documentata la permanenza attiva in molti casi di morte cerebrale, come ad esempio l’importantissima funzione endocrina-ipotalamica.
Per quel che concerne l’attività elettrica cerebrale è bene sottolineare che non esistono criteri scientifici atti a determinare quali tipi di essa rappresentino funzioni significative e quali rappresentino invece funzioni residue o presunte tali. Del resto, l’elettroencefalogramma è stato declassato dalla comunità scientifica internazionale a indagine facoltativa e non decisiva, anche se nel nostro paese occupa ancora un ruolo centrale nell’accertamento diagnostico della morte cerebrale.
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In effetti, oltre al fatto che un tracciato elettroencefalografico può essere normale anche se piatto (ad esempio, adulti ansiosi o neonati possono presentare un tracciato piatto non patologico), le modalità di registrazione elettroencefalografica non garantiscono risultati certi, dal momento che essi possono essere influenzati da diversi fattori, tra cui l’effetto tampone provocato da importanti addensamenti di sangue all’interno del cranio.
Non solo, il limite dei 2 microvolts di attività elettrica cerebrale sotto cui non ci sarebbe la vita costituisce una soglia convenzionale valida solo ai fini legali, visto che essa non corrisponde ad un ipotetico zero strumentale e visto che i risultati dell’esame elettroencefalografico dipendono anche dalle cangianti tarature degli apparecchi e dall’impossibilità tecnica di amplificare segnali elettrici più bassi.
Inoltre, la scala grafica di registrazione su carta dei segnali elettroencefalici è talmente piccola che per osservare un’escursione leggibile di almeno 0,5 mm rilevante segni di vita sarebbero necessari tre microvolts di ampiezza, bel il 50% in più del minimo fissato per legge.
Di fatto, il criterio clinico di accertamento della morte fondato sui soli parametri neurologici nega alla morte lo status di fenomeno oggettivo che gli è proprio per natura e lo declassa ad evento accertabile a tavolino che dipende in una certa misura dalla taratura e dalle capacità amplificative degli apparecchi di registrazione, dall’abilità dell’osservatore e dalle diverse modalità di accertamento.
La morte è divenuta un’opinione?
Alfredo De Matteo
Immagine generata artificialmente