Geopolitica

Albione gode per la fine dell’impero francese in Africa

Pubblicato

il

Il colpo di Stato in Niger e l’imminente espulsione delle forze militari francesi dal Sahel occidentale riaccende rivalità storiche che i più pensavano sopite: quella, assai longeva, tra gli imperi francese e britannico,

 

Per capire l’aria che tira a Londra è sufficiente leggere il Financial Times del 10 agosto.

 

Il redattore e editorialista dedito all’Africa, David Pilling, ha vergato un editoriale dal titolo non esattamente sibillino: «Il Niger è il cimitero della politica francese nel Sahel».

 

L’inglese scrive che «a differenza di altre potenze coloniali come la Gran Bretagna, che ha abbandonato i suoi ex domini in Africa con una fretta quasi sconveniente, la Francia è rimasta. O per quella che potresti chiamare la scuola del postcolonialismo del “lo hai rotto, lo paghi”, o per un’ambizione duratura di controllare e trarre profitto dai suoi possedimenti precedenti, la Francia si è librata come un fantasma».

 

Tuttavia la schadenfreude dei sudditi di Albione dura pochissimo, perché «la perdita della Francia è stata il guadagno della Russia», scrive il Pilling.

 

«Gli uomini in passamontagna di Evgenijy Prigozhin ora gestiscono di tutto, dalle miniere d’oro al programma di Touadéra. Anche i generali del Mali hanno chiesto aiuto a Wagner dopo aver espulso quella che il suo primo ministro chiamava la “giunta francese”».

 

In effetti, il Financial Times non sembra aver mai davvero «condannato» il colpo di Stato – non apertamente almeno. Forse perché ne anticipava la fine.

 

Il 1° agosto, il comitato editoriale aveva firmato un editoriale, «Il colpo di stato in Niger evidenzia la politica fallimentare dell’Occidente nel Sahel» dove scriveva che «l’Occidente ha in gioco interessi importanti qui».

 

«Un Sahel al collasso così vicino all’Europa è una prospettiva spaventosa, sia in termini di sicurezza che di potenziali flussi di migranti in fuga da un quartiere illegale e pericoloso» notava il quotidiano della City di Londra dieci giorni fa, indicando che forse era giunto il momento per i «professionisti» (cioè loro stessi, i britannici) di prendere il sopravvento, il comitato editoriale concludeva che «per troppo tempo, sia l’Europa che gli Stati Uniti hanno ignorato sia il potenziale che l’importanza strategica dell’Africa a favore di una visione anacronistica del continente come un problema puramente umanitario».

 

«Entrambi si sono recentemente resi conto del fatto che, non riuscendo a vedere il significato dell’Africa, hanno ceduto terreno alla Cina e sempre più alla Russia. Solo prendendo più seriamente il continente e aiutandolo a prosperare possono recuperare il terreno perduto».

 

Francesi e Inglesi si sono battuti per secoli. Ne sono esempio la guerra dei trent0anni (1618-1648) e ancora prima, più impegnativa ancora, la guerra dei cent’anni (1337-1453), durante la quale emerse la figura di Giovanna d’Arco (1412-1431), poi proclamata santa patrona di Francia: sì, la santa più importante per Parigi, che l’ha proclamata patrona solo nel 1922, è una santa che ha combattuto gli inglesi.

 

I francesi hanno una parola dispregiativa per gli inglesi, les rosbif («i roastbeef»); parimenti gli inglesi possono hanno un termine d’insulto per i francesi, frog eaters («mangiatori di rane»).

 

Ora l’enantiodromia coloniale, vista in Africa ma anche in Nord America (dal Quebec alla Lousiana), ai Caraibi, nel Pacifico, in Estremo Oriente (in Indocina, Laos, Cambogia) e anche in India (dove a Pondycherry ancora si parla francese) ora pare essere volta al termine.

 

Alla fine, in questo disastro ramificato nei secoli, nessuno ha vinto davvero.

 

 

 

 

 

Immagine di U.S. Army Southern European Task Force, Africa via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

 

 

 

Più popolari

Exit mobile version