Sport e Marzialistica
Aikido, evento internazionale a Bologna
Mille praticanti provenienti da ogni parte del mondo si sono riuniti pochi giorni fa al Palasavena di Bologna per celebrare i 60 anni dell’Aikikai d’Italia, l’associazione che raccoglie i praticanti di Aikido tradizionale dell’Hombu Dojo – la centrale mondiale dell’Aikido – di Tokyo.
Si è trattata di un grande Embukai, parola giapponese che definisce la dimostrazione di Aikido.
Considerata come l’arte marziale più «spirituale», L’Aikido è un’arte marziale fondata nel 1925 dal maestro Morihei Ueshiba, che ha avuto frutto di un percorso di vita e di studio attraverso varie arti marziali ed esperienze religiose, culminato con il suo riconoscimento di maestro del Daitoryu Aikijujitsu, l’arte marziale nipponiche portata avanti nel primo XX secolo dal maestro Takeda Sokaku.
All’evento bolognese vi era anche il maestro Hiroshi Tada, uno shihan (suffisso onorifico usato per istruttori estremamente esperti) nato nel 1929, discendente di una famiglia samurai dell’isola di Tsushima e allievo diretto di Osensei (il «grande maestro») Ueshiba, riporta un articolo de La Stampa.
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È stato il Tada che nel 1964 ha per primo introdotto in Italia l’Aikido, unione di tre kanji (caratteri tradizionali giapponesi) generalmente tradotta come «la via che conduce all’unione ed all’armonia con l’energia vitale e lo spirito dell’Universo».
Sessanta anni fa, Tada portò in Italia anche due maestri di grande prestigio, Yoji Fujimoto e Hideki Hosokawa, che divennero suoi vice direttori didattici, con l’intento di mantenere una continuità con gli insegnamenti di Ueshiba, nonostante le diverse interpretazioni della pratica.
Tuttavia, il progetto ha incontrato difficoltà: il maestro Hosokawa, costretto a smettere di insegnare per motivi di salute nel 2004, è venuto a mancare nel 2022, dieci anni dopo la scomparsa del maestro Fujimoto.
Il maestro Hiroshi Tada continua ancora a praticare l’Aikido, dicendo che lo fa «per combattere la vecchiaia».
All’evento era presente anche una delegazione dell’Hombu Dojo, guidata da Mitsuteru Ueshiba, pronipote del fondatore e figlio del Doshu (cioè successore, erede della famiglia), Moriteru Ueshiba, l’attuale maestro di riferimento a livello mondiale.
Tra i partecipanti, 90 provenivano dal Giappone, 650 dall’Italia, 175 da diversi Paesi europei e altri dagli Stati Uniti e dall’Africa.
L’Aikikai Italia conta 4.000 iscritti, tra cui mille bambini e 1.200 cinture nere, distribuiti in 222 scuole su tutto il territorio nazionale. A livello globale, l’Aikido è diffuso in almeno 130 Paesi, con un milione di praticanti.
L’Aikido è un’arte marziale che non prevede competizione. La pratica si svolge in coppia o in gruppo, seguendo il principio della reciprocità: ogni praticante, a turno, assume il ruolo di tori (cioè colui che esegue la tecnica) e di uke (colui che la riceve)
Le tecniche dell’Aikido derivano dall’uso della spada giapponese (nihonto, di cui la katana è la più famosa), che viene sostituita nell’allenamento dal bokken, una spada in legno. Sono impiegati anche il jo, un bastone lungo tra 120 e 150 centimetri, e il tanto, un coltello in legno a un solo filo
Tutti i movimenti dell’Aikido possono essere eseguiti sia con che senza armi, richiamando le origini delle tecniche e approfondendo l’uso delle armi nei livelli più avanzati.
Nella scuola tradizionale affiliata all’Hombu Dojo non si usano cinture colorate, ma solo livelli chiamati kyu, che vanno dal sesto al primo e sono raggiunti tramite esami. Dopo i kyu, si ottiene la cintura nera, insieme al permesso di indossare l’hakama, un capo tradizionale giapponese simile a una larga gonna-pantalone che sfiora i piedi, già usato nel Medioevo dai nobili e dai samurai.
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Il fine dell’Aikido era la «completa vittoria su se stessi», il raggiungimento in cui l’avversario non è percepito come tale, che coincide con il superamento del sé e la fusione con l’energia universale. La definizione di Ueshiba di «vera vittoria» «Masakatsu Agatsu Katsuhayabi» è talvolta tradotta come «La vera vittoria è la vittoria su noi stessi, vittoria qui e adesso», o come «coraggio che non arretra, associato a sforzo che non indebolisce».
I principi fondamentali dell’Aikido includono: irimi (entrata), atemi (percussioni), kokyu-ho (controllo della respirazione), sankaku-ho (principio triangolare) e tenkan (rotazione) movimenti che reindirizzano lo slancio di attacco dell’avversario. Tali principi si espletano poi in varie tecniche come lanci e leve articolari.
Nell’Aikido fiorisce il concetto tipicamente orientale di non-resistenza, che riecheggia nel motto latino frangar, non flectar. Secondo il pensiero di Ueshiba, l’Aikido deve difendere da un attacco senza dover offendere, innalzando il valore etico della propria azione – da cui il katsuhayabi, ossia il controllo perfetto dell’opponente che porta alla risoluzione positiva del conflitto senza ricorrere alla violenza eccessiva.
L’Aikido infatti insegna moltissime tecniche in cui l’avversario viene neutralizzato, disarmato, reso inoffensivo, semplicemente utilizzando dolci movimenti e leve articolari che lo riducono, senza percussioni, all’inoffensività – anche il nemico, quindi, è protetto dalle ferite.
Le tecniche di controllo e proiezioni nell’Aikido prendono il nome di kokyū, ossia «estensioni del Ki» (氣), cioè dell’energia radiante, al di fuori del corpo. Il praticante dell’Aikido (aikidoka) è quindi colui che cerca, attraverso le tecniche (kokyū-nage), l’elevazione del suo kokyū, cioè della capacità di manifestare il Ki fuori dal suo corpo in ogni circostanza.
Ciò consente la proiezione, apparentemente senza sforzo, dell’avversario a terra, la sua immobilizzazione, la sua neutralizzazione, tramite l’impiego dell’energia interiore e della stessa forza fisica dell’attaccante, invece che di quelle proprie.
In ciò l’Aikido non si discosta troppo lontano dai principi del Judo, fondato decenni prima dal maestro Jigoro Kano. Si narra che, ad una dimostrazione di Aikido organizzata per lui nel 1930, il Kano ebbe a dichiarare: «questo è il mio Budo ideale».
Budō (武道) è un vocabolo che nella lingua giapponese rappresenta le moderne arti marziali. Tradotto letteralmente, significa «Via Marziale», e può essere interpretato come «Via della Guerra» o «Via delle Arti Marziali».
Il fondatore del Judo quindi mandò due dei suoi più abili allievi, Jiro Takeda e Minoru Mochizuki (quest’ultimo astro nascente del Kodokan e un prediletto del Kano), a studiare con Ueshiba.
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La didattica dell’Aikido si può basare sul principio del Ishin denshin (以心伝心, «cuore che trasmette al cuore»), è un’espressione comunemente usata nelle culture dell’Asia orientale, come in Giappone, Corea e Cina, che denota una forma di comunicazione interpersonale attraverso la comprensione reciproca non detta.
L’insegnamento dell’Aikido, quindi, può basarsi sulla trasmissione senza parole. Di qui il carattere molto silenzioso – al di là del rispetto del dojo e del maestro – percepibile durante tanti allenamenti della disciplina.
L’Aikido è attualmente suddiviso in molti stili diversi tra cui Iwama Ryu, Iwama Shin Shin Aiki Shuren Kai, Shodokan Aikido, Yoshinkan, Renshinkai, Aikikai e Ki Aikido.
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Immagine screenshot da YouTube