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Viva i muri e chi li costruisce – anche sott’acqua

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Ho scattato questa foto al mio amico Corrado Beldì quasi 13 anni fa ad Odessa, durante quello che è stato probabilmente il viaggio più bello e incredibile mai fatto (se la gioca con l’Himalaya in moto, ma vince a man bassa su ogni altra Africa, Asia, America).

 

La trama è semplicissima: due amici si ritrovano in una Milano di un agosto torrido, vedono un quadro con una nave con su scritto «Odessa» e decidono di andarvi, pronti via, in automobile. Con una premessa del genere, non poteva che seguire un’avventura di epicità livello Gilgamesh. Forte di questo ricordo, mi è uscita, stamattina, qualche riflessione.

 

La trama è semplicissima: due amici si ritrovano in una Milano di un agosto torrido, vedono un quadro con una nave con su scritto «Odessa» e decidono di andarvi, pronti via, in automobile. Con una premessa del genere, non poteva che seguire un’avventura di epicità livello Gilgamesh

Disclaimer: quello che sta scritto sotto è quello che penso io e Corrado non c’entra nulla, mi limito solo ad usarlo come fotomodello marittimo, pensate ad una Ursula Andress alla quale, quando emerge dall’acqua, non potete assegnare le opinioni di James Bond.

 

Corrado qualche giorno fa ha postato la foto per celebrare il 25° compleanno de Il Foglio, dove ora scrive copiosamente ed ottimamente. All’epoca invece scriveva per altre grandi riviste, e ricordo ancora quando, nel mezzo dello stupendo nulla campagnolo ucraino con una gomma a terra e nessun gommista o insediamento urbano a meno di centinaia di chilometri, intervistò al telefono in viva voce Brian Wilson dei Beach Boys, cosa che non solo mandava in cortocircuito lo stuporoso stato di adrenalina del momento ma che aumentava anche, visto come rispondeva il tizio, il mio disprezzo per gli anni Sessanta.

 

Ora, quello che è visibile è questo bel giovane industriale che legge un quotidiano in riva al Mare – il Mar Nero.

 

Tuttavia quello che voglio dire ai quattro gatti che leggono le mie cose è che anche questa foto nasconde profonde, mistiche verità, retroscena indicibili – e con me non poteva essere altrimenti, no?

 

Se guardate bene l’immagine noterete, proprio dietro la scena principale, delle persone che camminano sull’acqua – e assicuriamo che non sono santi né basilischi piumati. Notate dal colore dell’acqua, e dal fatto che più verso riva invece la gente nuota, che non si tratta del fondale basso.

 

L’URSS era uno Stato serio: sapeva che il suo compito era difendere il suo popolo e i suoi confini, sapeva che la minaccia non è mai qualcosa di solamente virtuale. Contro possibilità del male in arrivo, i sovietici prendevano la cazzuola ed erigevano perfino muri sommersi

Costoro in realtà stavano in piedi su un muro subacqueo costruito su tutta la riva in era sovietica, con la funziona di impedire gli sbarchi degli invasori. Anche un semplice gommone se passa di lì si incaglia, figuriamoci i mezzi da sbarco, dalla Normandia i Russi, anche se combattevano da tutt’altra parte, hanno imparato molto. L’URSS era uno Stato serio: sapeva che il suo compito era difendere il suo popolo e i suoi confini, sapeva che la minaccia non è mai qualcosa di solamente virtuale. Contro possibilità del male in arrivo, i sovietici prendevano la cazzuola ed erigevano perfino muri invisibili.

 

Ovvio che ogni frammento che emerge di quel viaggio incredibile mi provoca nostalgie immense. Tuttavia scopro di essere nostalgico anche dell’Unione Sovietica: quando si costruivano i muri, anche sottacqua, c’era prosperità e stabilità. Poi sono arrivati i muri che crollano, ed ecco che sono entrati la globalizzazione, cioè l’impoverimento totale della classe media occidentale, e poi internet, che è pornografia di corpi, opinioni, relazioni più ulteriore povertà inferta, e infine anche i virus, tra i quali il COVID-19, che è quello che mi preoccupa meno, a dire il vero.

 

Quello che è accaduto è che con la caduta del muro di Berlino è finito il totalitarismo laggiù ed è partito qui, ma in una forma più subdola e pervasiva. Fino a pochi mesi fa lo si chiamava capitalismo di sorveglianza, ora invece si parla direttamente – grazie anche a governi e partiti filocinesi – di modello cinese. Tracciamento (c’è il COVID!), credito sociale (chi non si attiene alle norme, anche illegali, va punito!), censura (non possiamo permettere a chiunque di esprimersi liberamente!): notate come oramai non sono solo entrati nel discorso, ma sono accettati liberamente in uno stadio della Finestra di Overton piuttosto avanzato.

 

Quello che è accaduto è che con la caduta del muro di Berlino è finito il totalitarismo laggiù ed è partito qui, ma in una forma più subdola e pervasiva. Fino a pochi mesi fa lo si chiamava capitalismo di sorveglianza, ora invece si parla direttamente – grazie anche a governi e partiti filocinesi – di modello cinese

Quanto avrei desiderato un muro, anche invisibile come quello sotto il mare di Odessa, che fermasse l’invasione di questi mostri.

 

È pazzesco a pensarci, ma l’estate del 2008 è lontana, da un punto di vista di evoluzione della società del controllo, anni luce. Sparati su una decappottabile verso la Crimea,  non avevamo gli smartphone, ma dei vecchi Nokia. Avevo portato il TomTom (alcuni lettori forse nemmeno ricordano cosa sia), che arrivato a Chop – il mitico confine tra l’Ungheria (la UE) e l’Ucraina – smise di essere utile: non aveva mappe del posto in cui eravamo, nessuna, segnava una freccetta in mezzo al niente, a suo modo era poetico e divertente. Credo di ricordare che siamo ripiegati sulle mappe stradali di carta, e si vede perché abbiamo sbagliato strada più volte, allungando il viaggio di giorni, sperduti in un paradiso terrestre fatto di campagna d’oro, carretti di babushke velate trainati da asini, bambini che si tuffano in specchi d’acqua spuntati d’improvviso, mucche con al seguito pastorelle belle come dive, la spiga in mano a dirigere gli animali.

 

Voglio dire: anche senza l’elettronica, senza il digitale che ci permette di sapere in ogni momento dove siamo e cosa dobbiamo fare, era possibile vivere un’estate felice, spensierata, scollegata, anzi capisco che forse era felice e spensierata proprio perché scollegata.

 

Ogni cosa fatta in quei giorni non inviava informazioni a nessun server; nessun algoritmo poteva profilare noi e le notti in Crimea su strade deserte e piene di locuste, gli armeni che contrattano per un posto letto all’una, i boschi della Transilvania con immensi residui di tecnologia sovietica semiabbandonati ai lati della strada, quel giapponese che alla discoteca Ibiza sulla spiaggia di Arkadija piangeva al cospetto della bionda cornucopia di belle fanciulle. Di tutte queste cose, l’unica traccia è rimasta nel nostro cuore, e nelle conversazioni foto-ricordo con cui tormentiamo gli amici. Nemmeno la cosa più elettronica esperita in quei giorni, il rave di tutte le Russie in cui rocambolescamente  finimmo e di cui sommamente gioimmo, produceva, all’epoca, un granché di impronta digitale.

Anche senza l’elettronica, senza il digitale che ci permette di sapere in ogni momento dove siamo e cosa dobbiamo fare, era possibile vivere un’estate felice, spensierata, scollegata, anzi capisco che forse era felice e spensierata proprio perché scollegata.

 

Era un’altra epoca, davvero. E infatti, l’amicizia con Corrado risaliva agli inizi dei 2000, quando potevano ancora sorgere amicizie con persone che magari per mille motivi ti erano differenti. Nell’era dei social, forse non lo avete notato, è difficilissimo crearsi degli amici nuovi fuori dalla bolla di filtraggio, un po’ perché lo stigma sociale è fisicamente attivo («sei davvero contro i vaccini?» e allontanano il figlio dal tuo), un po’ perché il governo ora ha il potere di impedirti di uscire di casa, e se esci di casa non devi vedere nessuno, al massimo andare, uno per volta, alla Coop.

 

Un mondo così, libero e sereno, era possibile, era vero. In questo momento mi è impossibile pensare che sia ancora possibile.

 

Vi prego, ricostruiamo quei muri. Facciamoli ovunque serva, sott’acqua, sopra l’acqua, per strada, a Berlino, intorno alla Cina, dove volete. Fermiamo quest’invasione, questa guerra infame, che ha distrutto la bellezza, la prosperità, la pienezza della vita di tutti noi.

Vi prego, ricostruiamo quei muri

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

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