Protesta

Trieste, tragedia dell’impreparazione

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Diciamo che ci eravamo pentiti: domenica avevamo scritto un articolo polemico sul balletto di comunicati che giungevano dalla Woodstock portuale di Trieste (prima dei lacrimogeni: balli, canti, cibo etc.). In sostanza, dicevamo: le decisioni qui sono scostanti, irrazionali, la linea politica è ubriaca: comunicati in maiuscolo, smentite, post Facebook, rettifiche, dimissioni, etc.

 

Poi l’indomani è arrivata la repressione «nel nome della legge». Immagini epiche di persone inermi con il rosario in mano cui si oppone lo Stato corazzato, scudi-caschi-manganelli-idranti-lacrimogeni-maschere antigas. Che ingrati eravamo stati: questa è una resistenza eroica, questa è una cosa che non si era praticamente mai vista. Immagini di impatto politico e spirituale devastante: non per niente i media italiani le hanno ignorate mentre i media di ogni altro Paese ci sono saltati sopra subito.

 

Tutte le cose che sembravano un po’ sconnesse si dovevano perdonare. Le dimissioni. La richiesta di incontro con il governo che diventa un sabato pomeriggio con il ministro dell’Agricoltura (?!). Nascita di un nuovo soggetto che emana comunicati senza lo stampatello. Comunicati di risposta dei portuali che prendono le distanze dal loro leader, che in effetti si era dimesso, ma era andato lo stesso a parlare col Prefetto.

 

Potevamo passare sopra qualsiasi cosa: perché lo slancio della piazza era puro, genuino, struggente. Abbiano sentito parlare a braccio al microfono padri di famiglia venuti da lontano.  Figure dell’associazionismo antivaccinista che hanno lottato per decenni nell’ombra. Operai venetofoni che hanno perso il lavoro – cioè hanno perso tutto. Sacerdoti che ricordano le loro origini di esuli di Fiume – sì, Fiume, non Rijeka, Fiume – e fanno pregare in ginocchio la Piazza, non prima di aver rammentato al papa che egli «è consacrato a Dio e non ai banchieri».

 

Piazza Unità d’Italia d’Italia, webcam o meno, è il più grande concentrato di realtà del biennio pandemico. È il ritorno del rimosso – è l’emergenza inarrestabile di qualcosa di talmente vero che, per quante menzogne possano raccontare politici e giornalisti, non può essere nascosto a lungo.

 

La cosa più autentica, più vera, più giusta, più sacra che c’è al mondo, in questo momento, è Trieste.

La cosa più autentica, più vera, più giusta, più sacra che c’è al mondo, in questo momento, è Trieste.

 

La speranza non solo degli Italiani – e avete visto i canti solidarietà dei francesi, ma anche dei media di controinformazione di tutto il mondo che non parlano d’altro – è riposta tutta in Trieste.

 

Per questo abbiamo trovato tremendo il video del presunto leader della protesta di oggi. Da un vicolo deserto, K-Way, marsupio a tracolla e un’aria di qualche anno più giovane, eccolo che invita gli italiani a starsene a casa, a manifestare nelle loro città. Non bisogna andare a Trieste. Dice di sapere che c’è una trappola. Bande di agents provocateurs (termine che usiamo noi, non lui) sarebbero in marchia per il capoluogo giuliano, con il compito di far deragliare la manifestazione pacifica e quindi tutto il movimento.

 

 

«Centinaia e centinaia di persone che vogliono venir qui e rovinare l’obbiettivo a tutti».

 

Quindi, «noi abbiamo annullato la manifestazione di domani [venerdì 22 ottobre] e quella di sabato». Le persone che si stavano organizzando la trasferta devono smobilitare, insomma.

 

La speranza non solo degli Italiani – e avete visto i canti solidarietà dei francesi, ma anche dei media di controinformazione di tutto il mondo che non parlano d’altro – è riposta tutta in Trieste.

Tuttavia «L’appuntamento con il governo rimane», dice il nostro. Ma chi ci va? Lui? Non si è dimesso da capo dei portuali, che lo hanno anche scaricato via comunicato? Non è chiaro, ma non importa.

 

«Non venite qui, io non voglio mettere a repentaglio la vostra incolumità». Allarme: cosa sa che noi non sappiamo? Nubi su Trieste da qualche meteo privato?

 

«Rimanete a casa vostra». Ecco, il buon leader che sa essere anche, come dire, paterno. Al punto che sembra il classico invito leghista agli immigrati extracomunitari.

 

«Verrò io nelle piazze vostre nei prossimi giorni». Bene, ci scappa anche il tour, che già prevediamo sold out.

 

Innanzitutto, davvero: che cosa gli ha fatto cambiare idea? Chi gli ha detto dell’arrivo dei facinorosi?

 

stiamo pensando che l’apartheid biotica che stiamo subendo non sia un motivo sufficiente per andare in piazza?

E anche se fosse: perché non era preparato davanti a questa prospettiva di naturale evoluzione delle grandi proteste?

 

Dovrebbe sapere che quando si organizza una manifestazione si considera una cosa che si chiama «servizio d’ordine»: un manipolo di persone, per lo più nerborute o, diciamo così, autorevoli, che portino i manifestanti a non deviare da quanto programmato. Il compianto Gino Strada ha iniziato la sua carriera nel servizio d’ordine della protesta milanese degli anni caldi, un gruppo di simpaticoni chiamato «Katanga».

 

Non stiamo parlando di roba da scienziati balistici. Arrivano gli infiltrati? Bene, devi avere qualcuno che li stani, li segnali, li combatta – vogliamo dire che con centinaia di uomini del porto determinati a tutto, come si è visto, non si ha la forza-lavoro sufficiente per un servizio d’ordine con i fiocchi?

 

E se gli infiltrati non fossero black bloc anarchici, ma provocatori mandati da qualche istituzione per dipingere la protesta come violenta e autorizzare ancora più repressione? Beh, buongiorno, benvenuti al mondo. L’acqua è bagnata. Alle api piace il miele. A Napoli la pizza è buonissima. Se metti il piedi sulla buccia di banana, scivoli. Se non ci avete pensato prima, a cosa stavate pensando?

 

Mandela, Garibaldi, Gandhi, Washington avevano molti meno motivi di noi di scendere in strada

In verità, la supposta possibile «infiltrazione» è il segno del fatto che, come abbiamo detto sopra, la battaglia di Trieste è la più importante che c’è oggi, in Italia e nel mondo.

 

Quindi, a questo punto, dopo che si è detto che la battaglia dei portuali è per tutta l’Italia, per i lavoratori, per i bambini… nascondiamo la mano?

 

Di cosa abbiamo paura?

 

Ci chiediamo, pensando ai tani nomi di rivoluzionari celebrati dal mainstream per la loro disobbedienza civile: aveva paura Mandela? Aveva paura Garibaldi? Aveva paura Gandhi? Aveva paura Washington? Sì, probabilmente erano tutti terrorizzati, tutti avevano davanti a loro la galera o l’impiccagione. Eppure sono andati avanti lo stesso. Perché davanti a loro potevano esserci il fallimento, la catastrofe e il patibolo, ma dietro di loro, ci hanno raccontato, sentivano che premeva la libertà dei milioni, la voglia di giustizia del loro popolo.

 

Oppure stiamo pensando che l’apartheid biotica che stiamo subendo non sia un motivo sufficiente per andare in piazza? Pensiamo che il massone Garibaldi avesse più motivi di noi per fare la guerra in Italia? Pensiamo che al popolo del terrorista Mandela avessero impedito di uscire di casa? Pensiamo che allo schiavista Washington gli inglesi impedissero di lavorare? Pensiamo che l’India di Gandhi fosse costretta all’alterazione genica dell’mRNA?

 

Il popolo – che è sfiancato, esasperato da decenni di violenze e menzogne – chiede soluzioni di cui i normali leader partitici hanno paura. In milioni hanno capito di essere vittime della truffa del millennio: lo Stato moderno.

No. Tutti costoro avevano molti meno motivi di noi di scendere in strada. Tutti costoro, tuttavia, al momento fatale – quello che trasforma la sconfitta in vittoria – non si sono tirati indietro, non hanno dato ascolto a chi diceva loro «rimanete a casa».

 

La verità è che questa è una tragedia. La tragedia dell’impreparazione. La tragedia della mancata sincronia politica del XXI secolo: il popolo spinge più dei suoi leader, perfino più di quelli duri e puri che sorgono spontaneamente.

 

Lo abbiamo visto con Trump. Il popolo – che è sfiancato, esasperato da decenni di violenze e menzogne – chiede soluzioni di cui i normali leader partitici hanno paura. In milioni hanno capito di essere vittime della truffa del millennio: lo Stato moderno.

 

Lavora per pagare le tasse, e ottieni in cambio una schiavitù sociobiologica conclamata.

 

Metti al mondo un figlio, per vedertelo traviato dalla propaganda perversa.

 

Vai in ospedale perché ti sei fatto male, e ti squartano.

 

Prendi i farmaci che ti dicono di prendere, e ti ammali.

A questo punto non abbiamo bisogno di sentire altre voci, se non la nostra, quella della nostra coscienza, quella della coscienza del popolo. Non abbiamone paura: perché vox populi, vox Dei.

Vai a votare per il governo, e ti ritrovi un premier calato dall’alto, la Cina che ti ruba il benessere, e milioni di africani che diventano obbligatoriamente tuoi vicini di casa mantenuti a far niente a spese tue.

 

Il tutto mentre ti bastonano e ti sparano i gas lacrimogeni.

 

La misura è colma. Se non lo vuole capire la politica e lo Stato-partito, va bene. Se non vogliono capirlo i sindacati venduti, OK. Ma non possiamo permetterci il lusso di avere capipopolo che ignorano questa semplice verità.

 

Infiltrati o no, appelli a starsene a casa o no, a Trieste in questo momento si gioca tutto.

 

A questo punto non abbiamo bisogno di sentire altre voci, se non la nostra, quella della nostra coscienza, quella della coscienza del popolo.

 

Non abbiamone paura. Perché vox populi, vox Dei.

 

 

Roberto Dal Bosco

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