Pensiero

Tradizionalismo e antioccidentalismo secondo Réné Guenon

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Circolano in rete alcune parole del pensatore tradizionalista Réné Guénon (1886-1951), tratte dal suo libro La crisi del mondo moderno.

 

Le conclusioni generali del pensiero guenonico – per esempio sull’unità profonda delle religioni (l’autore, già massone, decise di morire da islamico) – sono da rifiutare in toto.

 

Tuttavia, vale la pena di leggere il passo nella sua interezza per le sue considerazioni sulla trasformazione inflitta all’Occidente dalla modernità.

 

Anche se qualche facilone ancora si fa prendere dalla fregola geopolitico-spirituale esotica, l’Oriente vagheggiato qui da Guénon non esiste più, né in Arabia, né in India, né in Russia (che, al contrario, è Europa) e né soprattutto nella Cina moderna grande strumento del globalismo occidentale.

 

Tuttavia, l’Occidente di cui parla è proprio quello che viviamo noi ora: un regno meccanicistico votato alla dismissione dello spirito, allontanatosi quindi più che mai dalle proprie radici.

 

«Se l’Occidente ha effettivamente un gran bisogno di esser difeso, lo è solo contro sé stesso, contro le sue stesse tendenze che, se condotte fino in fondo, lo spingeranno inevitabilmente verso la rovina e la distruzione» dice il Guénone, che qui ci ha ragionissima.

 

Il Guénon mostra tutti i suoi limiti esoterici quando parte a parlare di «élite intellettuale», un fenomeno che si è materializzato ed è stato inflitto all’umanità.

 

Ad ogni modo, rilanciamo qui il brano ampliandolo. Se notate la parola «quistioni», scritta con la «i», mica è uno dei soliti refusi di Renovatio 21, ma un simpatico vezzo arcaizzante del traduttore Julius Evola.

 

 

 

Se gli Occidentali non sono più tutti concordi nell’accontentarsi dello sviluppo esclusivamente materiale della civiltà moderna, questo può forse essere un segno che per essi ogni speranza di salvezza non è ancora del tutto perduta.

 

In ogni caso, supponendo che l’Occidente, in una qualunque forma, ritorni alla sua tradizione, la sua opposizione con l’Oriente sarebbe per ciò stesso risolta, essa cesserebbe di esistere, poiché essa è stata determinata solo dalla deviazione occidentale e in realtà, altro non è, se non l’opposizione fra spirito tradizionale e spirito antitradizionale.

 

Così (…) il ritorno alla tradizione avrebbe fra i suoi primi risultati quello di rendere immediatamente possibile un’intesa con l’Oriente tradizionale: possibilità, questa, propria a tutte le civiltà che presentano elementi simili o equivalenti, e ad esse soltanto, giacché questi elementi costituiscono l’unico campo in cui siffatta intesa può realizzarsi in modo valido.

 

(…)

 

Insistiamo dunque nel dire che un’intesa effettiva può realizzarsi solo dall’alto, non dal basso, il che va inteso in doppio senso: occorre partire da quel che vi è di più alto, cioè dai principi per scendere gradatamente alle applicazioni di vario ordine, curando sempre la dipendenza gerarchica esistente fra tali applicazioni; e una tale opera, per il suo stesso carattere, può esser solo quella di un élite, nell’accezione più vera e completa di tale termine: noi pensiamo esclusivamente ad una élite intellettuale, anzi per noi al di fuori di una élite del genere non ve ne sono altre, tutte le distinzioni sociali esterne essendo prive d’importanza dal punto di vista in cui noi ci poniamo.

 

(…)

 

Queste considerazioni possono già far comprendere tutto quel che manca alla civiltà occidentale moderna, non solo in ordine alle possibilità di un ravvicinamento effettivo con le civiltà orientali, ma anche nei propri riguardi, cioè per essere una civiltà normale e completa. D’altronde le due quistioni sono così strettamente connesse, che si fondono in una unica, del che abbiamo indicata or ora la ragione.

 

(…)

 

Essere risolutamente «antimoderni» non vuol dire per nulla essere «antioccidentali», ma è, invece, l’unica attitudine che deve prendere chi cerchi di salvare l’Occidente superando il suo disordine.

 

D’altra parte, nessun Orientale fedele alla sua tradizione può considerare le cose in modo diverso. Vi sono assai meno avversari dell’Occidente in quanto tale (questa avversione essendo affatto priva di senso), che non dell’Occidente in quanto identico alla civiltà moderna.

 

Alcuni oggi parlano di «difesa dell’Occidente», cosa invero singolare, poiché, come vedremo a suo tempo, è invece l’Occidente che minaccia di tutto sommergere e di trasportare l’intera umanità nel turbine della sua attività caotica; cosa singolare – diciamo – e affatto ingiustificata, se costoro credono, come essi, a parte qualche restrizione, lo mostrano, che questa difesa debba essere contro l’Oriente, poiché il vero Oriente, quello tradizionale, non quello già contagiato dal male occidentale, non pensa né ad attaccare né a dominare nessuno, esso chiede solo la sua indipendenza e la sua tranquillità, il che, bisogna convenirlo, è abbastanza legittimo.

 

Se l’Occidente ha effettivamente un gran bisogno di esser difeso, lo è solo contro sé stesso, contro le sue stesse tendenze che, se condotte fino in fondo, lo spingeranno inevitabilmente verso la rovina e la distruzione.

 

È di una «riforma dell’Occidente» che dunque si dovrebbe parlare, e una tale riforma, se fosse quel che dovrebbe essere, cioè una vera restaurazione tradizionale, avrebbe per conseguenza naturalissima un ravvicinamento con l’Oriente ancora sano.

 

Da parte nostra, altro non chiederemmo che di contribuire, nella misura delle nostre possibilità, a questa riforma e a questo ravvicinamento, se a tanto si è ancora in tempo, se si può venire ad un tale risultato prima del tracollo finale, verso il quale la civiltà moderna sembra incamminarsi a grandi passi.

 

Ma quand’anche fosse già troppo tardi per evitare un simile tracollo, il lavoro compiuto con questa intenzione non sarebbe inutile, esso servirebbe in ogni caso a preparare, seppure da lontano, la «discriminazione» di cui parlavamo al principio epperò ad assicurare la conservazione degli elementi destinati a sfuggire dal naufragio del mondo attuale e a divenire i germi del mondo futuro.

 

 

Réné Guénon

 

 

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