Persecuzioni
Stato indiano voleva cancellare la Pasqua. Reintrodotta dopo le proteste
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nello Stato indiano scosso dalle violenze etniche il governo locale annuncia che quest’anno domenica 31 marzo sarà un giorno lavorativo, prendendo a pretesto la chiusura dell’anno fiscale. Ma dopo le proteste dei cristiani (che sono oltre il 40% della popolazione) ritorna sui suoi passi.
La Pasqua quest’anno ha rischiato di non essere un giorno festivo nel Manipur, lo Stato nordorientale dell’India da mesi scosso dalle violenze etniche tra i Meitei e i Kuki, dove i cristiani sono oltre il 40% della popolazione.
«Il governatore del Manipur è lieto di poter dichiarare sabato 30 e domenica 31 marzo come giorni lavorativi per tutti gli uffici pubblici per un buon funzionamento delle attività negli ultimi giorni dell’anno fiscale 2023-2024», si leggeva in un’ordinanza diffusa ieri. Una scelta poi annullata in fretta oggi, ripristinando i giorni festivi dopo le proteste delle locali comunità cristiane.
In India tutti e sabati e le domeniche sono giorni di riposo per gli uffici pubblici, per cui la Pasqua è sempre stata un giorno festivo. In più in molti degli Stati dove la comunità cristiana è più numerosa anche il Venerdì Santo è osservato come una festività locale. L’anno scorso, poi, anche il premier Narendra Modi aveva reso omaggio alla festa dei cristiani, recandosi in visita alla cattedrale di Delhi nel giorno di Pasqua.
[wpcode id=”55157″]In Manipur, invece, quest’anno persino nel giorno in cui i cristiani festeggiano la resurrezione di Gesù gli impiegati pubblici avrebbero dovuto presentarsi al lavoro. Il provvedimento – inutilmente provocatorio – era motivato con la concomitanza della chiusura dell’anno fiscale, che in India cade il 31 marzo. Ma in uno Stato che è governato dai nazionalisti indù del BJP, la coincidenza appare quantomeno sospetta. Anche perché nello scontro tra i Meitei (in maggioranza indù) e i gruppi tribali dei Kuki (nella stragrande maggioranza cristiani) in corso ormai da undici mesi e che ha lasciato dietro di sé un bilancio ufficiale di oltre 200 morti, in molti a livello locale hanno soffiato pericolosamente sull’elemento religioso.
Le chiese sono state tra i primi obiettivi negli scontri violenti scoppiati a maggio. E l’arcidiocesi di Imphal, nella sua opera coraggiosa di riconciliazione, ha sempre cercato di non alimentare questo tipo di contrapposizione, ricordando che esistono comunità cristiane anche tra i Meitei.
Di fronte alla decisione del governo sulla Pasqua lo sconcerto è stato profondo. «Con un 41,29% della sua popolazione formata da cristiani appartenenti alle comunità Naga, Kuki-Zo e Meitei, il governo del Manipur ha scelto di minare la loro presenza e di mancare di rispetto ai loro sentimenti dichiarando palesemente di essere “lieto di dichiarare” il 30 (Sabato Santo) e il 31 marzo (Domenica di Pasqua) come giorni lavorativi, ben sapendo che i cristiani celebrano la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, che è la pietra miliare della fede cristiana» aveva commentato ad AsiaNews il vicario generale della diocesi di Imphal, padre Varghese Velickakam.
«Da un governo che ha permesso che il conflitto e le sofferenze del suo popolo continuassero per quasi 11 mesi, cos’altro ci si può aspettare? Preghiamo che l’India e i suoi cittadini – conclude padre Velickakam – vedano ciò che sta accadendo nella Nuova India».
Finché alla sera è arrivato il dietrofront del governo locale, che è tornato a dichiarare come festive le giornate di sabato 30 e domenica 31, rimangiandosi dunque quanto reso noto appena 24 ore prima. Ed è verosimile che nella vicenda abbia fatto sentire la sua voce anche il governo New Delhi, per evitare inutili tensioni con i cristiani nel mezzo della campagna per le elezioni generali in programma dal 19 aprile.
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Immagine da AsiaNews.