Pensiero

Sputi e insulti alla studentessa no green pass a Bologna

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Una studentessa universitaria di 20 anni è stata vittima di un grave episodio di discriminazione a Bologna.

 

Silvia, secondo anno di filosofia presso l’Alma Mater bolognese.

 

La ragazza in un video pubblicato su Instagram racconta le sue ragioni. Dice di aver deciso di non aderire «a questo strumento di controllo e discriminazione» che è la tessera verde, continuando comunque a frequentare le aule universitarie.

 

Le è stato detto però di uscire, dice, dalle persone addette al controllo.

 

«Mi è stato detto che non ho il diritto di seguire lezioni che la mia famiglia con una generosa se non esagerata dose di tasse annuali»

«Mi è stato detto che non ho il diritto di seguire lezioni che la mia famiglia con una generosa se non esagerata dose di tasse annuali».

 

«Mi è stato detto da professoresse informate del mio atto di disubbidienza che sarei dovuta allontanarmi dalla struttura, o in caso contrario rendermi responsabile dell’annullamento della lezione» racconta la giovane, che racconta che il corso di cui voleva seguire la lezione si intitolava «i diritti degli altri». Sui giornali progressisti compaiono ora articoli in cui la professoressa interessata «smentisce» dicendo «ho dovuto applicare il protocollo dell’Università».

 

Tuttavia, che lascia completamente basiti è la descrizione della reazione dei compagni di corso di Silvia.

 

La loro reazione, dice la studentessa, «è stata quella di riversare l’estremo emblema della divisione sociale su di me, urla di scherno, insulti, pretese da parte dei pendolari di essere rimborsati del costo del biglietto, incitazioni ad andarsene e non ripresentarsi».

 

«Fuori dall’università un gruppo di miei colleghi si è riunito per minacciarmi, con frasi del tipo che se fossi stato un ragazzo, le avrei già prese, mi avrebbero già menata… manifestazioni di disprezzo da parte di colleghe, di ragazze, che si scansavano comunicandomi di non voler essere contagiate, beffe, altri insulti»

«Fuori dall’università un gruppo di miei colleghi si è riunito per minacciarmi, con frasi del tipo che se fossi stato un ragazzo, le avrei già prese, mi avrebbero già menata… manifestazioni di disprezzo da parte di colleghe, di ragazze, che si scansavano comunicandomi di non voler essere contagiate, beffe, altri insulti».

 

Alcune ricostruzioni parlano di sputi per terra vicino ai piedi della ragazza.

 

La ragazza ricorda che il rettore ha inviato pochi giorni fa un’email riguardante l’Open Day dell’Ateneo come una giornata di «inclusione ed accoglienza».

 

«Sulla base di quello che sto vedendo, mi chiedo quanto ancora si sia disposti a rinunciare alla propria umanità, e penso che la disobbedienza civile non solo sia un diritto – perché è un diritto – ma è anche un dovere, e dopo il 15 sarà un dovere di chiunque non voglia rendersi conto dell’assassinio della libertà, della libertà reale»


L’episodio ha raccolto l’attenzione del facitore di buffi editoriali in prima pagina sul Corriere della Sera, il conduttore televisivo Massimo Gramellini.

 

Dopo una vuota solidarietà alla vittima – dove preme però ricordare «i pendolari che avevano preso un treno per raggiungere l’ateneo», che utilizzano peraltro treni misteriosamente esenti da green pass – il presentatore RAI scrive:

 

«Sulla base di quello che sto vedendo, mi chiedo quanto ancora si sia disposti a rinunciare alla propria umanità, e penso che la disobbedienza civile non solo sia un diritto – perché è un diritto – ma è anche un dovere, e dopo il 15 sarà un dovere di chiunque non voglia rendersi conto dell’assassinio della libertà, della libertà reale»

«Voi no vax&pass sostenete di combattere una battaglia di libertà, ma, per la stragrande maggioranza della comunità di cui fate parte, la prima libertà da tutelare riguarda la riduzione dei rischi del contagio, considerati molto più reali degli ipotetici effetti collaterali del vaccino».

 

Davvero? Ma dove sta scritto? Questa cosa del valore assoluto della sicurezza, del dogma della «libertà da riduzione del rischio di contagio» (non il contagio: il rischio di contagio – badate alle parole)… dove sta scritta?

 

È scritto nella Costituzione? È scritto nella Bibbia? È scritto nella legge naturale? È scritto nelle stelle?

 

No. Sta scritta nelle disposizioni dello Stato pandemico, che sono tipiche dello diritto positivo (quello, per esempio, di una certa vecchia Germania). Cioè, il pensiero fondante la convivenza civile sotto COVID di cui parla il Gramellino – l’imperativo del non-rischio. a scapito di qualisiasi altra libertà – è una regola totalmente arbitraria, una convenzione calata dall’alto che nulla ha a che fare né con il diritto naturale né con il diritto tout court.

 

Il problema è che poi – sempre in prima sul principale quotidiano nazionale – va ancora peggio.

 

«Se fossimo davvero in una dittatura, gli altri oppressi vi capirebbero. Magari tacerebbero per viltà, ma vi capirebbero». Si tratta di una osservazione di profondità disarmante, un colpo di genio che può capitare solo ai grandi scrittori che sono al contempo lavoratori dei varietà RAI. Gramellini non deve aver mai sentito che i totalitarismi, quelli che ci fanno studiare a scuola, si basano spesse volte su un’immane consenso della popolazione, specie quando viene loro proposta una soluzione totalista all’emergenza che la nazione sta vivendo. Hitler fu eletto a suon di voti, Mussolini diciamo era piuttosto popolare, per Stalin morirono forse venti milioni di russi nella «Guerra Patriottica», i cinesi si sono rivoltati contro il Partito Comunista solo decenni dopo i disastri di Mao (per poi essere schiacciati dalla violenza sanguinaria di quelli che adesso sono partner di politici e industriali nostrani che i grandi giornali leccano a dovere).

 

Gramellini non lo sa – lui della dittatura ha questa idea da fumetto (del resto, se ha letto gli ultimi trenta anni di pagine culturali del Corriere non può essere altrimenti): la dittatura è quella cosa dove tutto il popolo odia il dittatore ma non può farci niente perché tristemente oppressa dal potere. Diciamo pure che neanche Di Battista, neanche Di Maio, neanche un grillino qualsiasi possono avere una visione così infantile del concetto di dittatura. Che volete farci, l’editorialista TV è giovane, ha appena 61 anni, ma è diventato padre da poco (ci tiene a farlo sapere) – quindi forse possiamo dire che è un ragazzo-padre. Su certe cose non ha ancora avuto il tempo di metterci la testa. Forse più avanti.

 

Infine, il colpo finale.

 

Forza Silvia. Hai venti anni, ma quante cose hai capito più dei soloni di università e giornali? Quanta più vita, quanta più saggezza, c’è in te rispetto a chi si permette di offendere te e la libertà che difendi

«Le minoranze vanno tutelate, Silvia. Però anche le maggioranze. E quando una minoranza pretende di imporre la propria visione del mondo alla maggioranza, non pensa anche lei che stia esercitando un sopruso in nome della libertà?». Il discorso non fa una grinza, e vorremmo utilizzarlo magari prossimamente quando si ridiscuterà la legge Zan.

 

Tuttavia, il personaggio TV del Corriere non capisce che non stanno imponendo alla nostra minoranza una astratta «visione», ma un siero genico sperimentale, con un’operazione che va contro i principi morali e costituzionali fino a ieri condivisi dalla maggioranza stessa – al punto che la Carta su cui si basa la Repubblica, fino a qualche ora fa, ci risulta fosse ancora lì…

 

Ma forse il Gramellini non sa neppure questo.

 

Forza Silvia. Hai venti anni, ma quante cose hai capito più dei soloni di università e giornali? Quanta più vita, quanta più saggezza, c’è in te rispetto a chi si permette di offendere te e la libertà che difendi?

 

 

 

 

Immagine di sailko via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

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