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Softwarehouse di videogiochi chiude per minacce di morte

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Unity Technologies ha temporaneamente chiuso due dei suoi uffici a causa di quelle che secondo la società rappresentano minacce alla sicurezza dei dipendenti.

 

La vicenda arriva a ridosso dell’annuncio di martedì scorso riguardo una nuova struttura tariffaria altamente controversa per il popolare Unity Engine prodotto dell’azienda, un «motore» che permette di generare grafiche tridimensionali (personaggi, spazi, etc.) necessari per la creazione di videogiochi e anche di altre forme di prodotto audiovisivo.

 

Nel mercato dello sviluppo di giochi, Unity ha una quota di mercato del 29,41% rispetto al 15,84% di Unreal Engine, il suo concorrente diretto. LinkedIn elenca poco più di 8.000 dipendenti Unity. Il sito web dell’azienda elenca 39 uffici in tutto il mondo, di cui 15 in Nord America.

 

La notizia delle chiusure ha iniziato a trapelare sui social media questa mattina, con i dipendenti che descrivono «minacce credibili» segnalate dalle forze dell’ordine e «minacce alla sicurezza» rivolte agli uffici dell’azienda di San Francisco e Austin, in Texas. «Sorprende quanto lontano le persone siano disposte ad spingersi nell’era odierna», ha scritto Utsav Jamwal, Product Manager di Unity.

 

In una dichiarazione fornita a diversi organi di stampa, un portavoce di Unity ha affermato che la società «è stata informata di una potenziale minaccia per alcuni dei nostri uffici. Abbiamo adottato misure immediate e proattive per garantire la sicurezza dei nostri dipendenti, che è la nostra priorità. Oggi e domani chiuderemo i nostri uffici che potrebbero essere potenziali bersagli di questa minaccia e stiamo collaborando pienamente con le forze dell’ordine nelle indagini».

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Un articolo di Bloomberg ha confermato che gli uffici di Austin e San Francisco erano stati chiusi e ha riferito che la chiusura aveva portato alla cancellazione di una riunione pianificata dei dipendenti guidata dal CEO John Riccitiello.

 

Come riporta Ars Technica, la comunità degli sviluppatori di videogiochi è stata estremamente compatta nella rabbia per la nuova architettura di prezzo di Unity, che a gennaio inizierà ad addebitare tariffe fino a 0,20 dollari per ogni nuova installazione di progetti Unity, e con effetto retroattivo: sono compresi i progetti sviluppati o rilasciati prima che le tariffe fossero annunciate.

 

Da notare come Unity, per anni, si era pubblicizzata orgogliosamente come opzione del motore di gioco esente da royalty.

 

La vicenda ricorda quanto accadde nel caso di Nasim Najafi Aghdam, una videoblogger che attaccò con una Smith&Wesson 9 mm la sede californiana di YouTube a San Bruno, a Sud di San Francisco nel 2018. La YouTuber, che postava stranissimi ma innocui video vegani in lingua inglese e persiana, ha ferito tre lavoratori della piattaforma video prima di uccidere se stessa.

 

La ragazza sosteneva che YouTube stesse sopprimendo e demonetizzando i suoi video.

 

 

In realtà, i problemi di soppressione e monetizzazione di contenuti non colpiscono solo i produttori di contenuto di piccola taglia, ma anche i grandi media, i cui articoli e servizi vengono postati sui social, e gli stessi Stati nazionali.

 

È il caso dell’Australia, dove il governo anni fa andò ad un braccio di ferro con Google e Facebook, in quanto Canberra pretendeva che i giganti tecnologici cominciassero a pagare gli editori per le notizie contenute nei loro siti.

 

Tutti questi episodi ci fanno capire, in realtà, come sia davvero strutturata l’economia dell’era elettronica: le grandi aziende, che sono monopoliste o semi-monopoliste, decidono le regole, e il resto della filiera si deve adeguare in silenzio, anche davanti a plateali ingiustizie.

 

Non è sbagliato pensare che questo sistema, che non ha nulla a che fare con il mercato in un sistema democratico, assomiglia come una goccia d’acqua alla forma di società che va caricandosi in tutto il mondo: la schiavitù.

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 Immagine screenshot da YouTube
 

 

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