Guerra cibernetica

Società di cibersicurezza cinese conferma l’attacco ai server X per interrompere la discussione tra Trump e Musk

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Un team cinese di sicurezza informatica ha confermato l’affermazione di Musk secondo cui il ritardo di 40 minuti nell’inizio della sua discussione con Trump su X è stato causato da un attacco DDoS (Distributed Denial of Service) coordinato sui server di X. Lo riporta il quotidiano in lingua inglese del Partito Comunisa Cinese Global Times.

 

XLab, una delle più grandi società di sicurezza informatica della Cina, ha concluso che l’attacco è stato il risultato di un attacco sofisticato da parte di «quattro server di comando» che erano «localizzati principalmente nel Regno Unito, in Germania e in Canada».

 

La società di cybersecurity cinese «utilizzando il suo sistema di percezione delle minacce su larga scala prontamente (… ) ha rilevato il recente attacco contro la piattaforma X» scrive il Global Times. «Gong Yiming, capo del laboratorio, ha detto di aver osservato che quattro controllori della botnet Mirai erano coinvolti in questo attacco».

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«Inoltre, hanno partecipato anche altri gruppi di attacco utilizzando attacchi di riflessione, attacchi proxy HTTP e altri metodi. I dati di monitoraggio indicano che i quattro controller di botnet hanno lanciato almeno 34 ondate di attacchi DDoS».

 

Come riportato da Renovatio 21, la spettacolare intervista di oltre due ore di Elone Musk al candidato presidente Trump, avvenuta a inizio settimana, ha avuto più di un miliardo di visualizzazioni.

 

Il Commissario Europeo Thierry Breton aveva minacciato preventivamente Musk per l’intervista, tuttavia in seguito la Commissione della Von der Leyen ha dichiarato che la lettera non rappresentava l’organo UE e non era stata concordata con gli altri commissari.

 

Nei giorni scorsi X aveva denunciato il boicottaggio del cartello di inserzionisti della cosiddetta Global Alliance for Responsible Media (GARM), un ente che si è immediatamente dissolto una volta che l’azienda muskiana ha comunicato di portarla in tribunale.

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Immagine da Twitter
 

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