Droga

Singapore riprende le impiccagioni per reati di droga

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Le ultime esecuzioni erano state compiute un anno fa. Le autorità della città-stato sostengono che la maggior parte della popolazione sia favorevole alle impiccagioni, ma una ricerca mette in dubbio i dati del governo. Criticata anche la decisione di multare gli avvocati che vogliono rappresentare i detenuti nel braccio della morte.

 

 

È stata portata a termine questa mattina l’esecuzione per impiccagione del 46enne Tangaraju Suppiah, nel 2017 condannato per avere contrabbandato dalla Malaysia un chilo di cannabis.

 

L’applicazione della sentenza ha messo fine a una settimana convulsa di tentativi di sospendere la pena, eseguita a distanza di un anno e un giorno da quella di Nagaenthran Dharmalingam e di altre 11 persone colpevoli di reati legati spaccio di stupefacenti, dopo che per due anni, a causa della pandemia da COVID-19, le impiccagioni erano state sospese.

 

Secondo il governo di Singapore l’applicazione della pena di morte ha il sostegno soverchiante della popolazione, favorevole all’83%. In base a sondaggi citati dalle autorità in risposta alle critiche giunte da più parti, la pena di morte sarebbe considerato un deterrente più efficace rispetto alle pene detentive per frenare l’afflusso di droga verso la città-stato.

 

Tuttavia secondo i critici delle posizioni governative questo dato mostrerebbe più la capacità di convincimento delle autorità che una spontanea posizione dei singaporeani, una visione confermata nel 2018 da una ricerca dell’Università di Singapore secondo cui il 60% degli intervistati aveva dichiarato di conoscere «poco o nulla» riguardo la pena capitale.

 

L’esecuzione di oggi ha riproposto la pena di morte come una dei temi più controversi che riguardano la città-stato. La battaglia legale per sospendere la pena non è servita, ma ha evidenziato una serie di carenze sul piano della giurisprudenza nella raccolta delle prove e della confessione alla base del successivo dibattimento e della condanna.

 

Inascoltati sono stati anche gli appelli di gruppi locali e internazionali contrari alla pena di morte, ignorato l’intervento dell’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani.

 

Anche il disaccordo espresso attraverso dall’imprenditore britannico Richard Branson, a capo del Virgin Group, è stato visto come un’ingerenza indebita nelle questioni interne. L’imprenditore ha avviato attraverso il suo blog un aspro dibattito con le autorità di Singapore, definendo «sproporzionato» l’utilizzo delle esecuzioni capitali nei confronti di piccoli spacciatori e di individui appartenenti alle minoranze. Per tutta risposta le autorità cittadine lo hanno accusato di falsità.

 

Sui limiti posti ai difensori, invece, in particolare sull’impedimento ad essere presenti in fasi decisive del processo, lo scorso anno era intervenuta anche la Commissione internazionale dei giuristi, che aveva chiesto la fine della pratica di multare i legali che intendono rappresentare i detenuti nel braccio della morte, una condizione che impedisce a molti avvocati di prendere la difesa di presunti colpevoli, di conseguenza costretti a difendersi da soli davanti ai giudici.

 

 

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