Pensiero

Scalfari, Leopardi, il pensiero alienato

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Pubblichiamo questo articolo del 2011 del grande filosofo cattolico recentemente scomparso Piero Vassallo (1933-2022), che tratta di un libro di Eugenio Scalfari uscito nel 2010, Per l’alto mare aperto, in connessione all’illummismo e a Giacomo Leopardi, che erano l’oggetto degli strali dell’amico Piero. 

 

Nel turbinio coccodrillesco scatenato dalla morte del giornalista-politico  Scalfari ci sembrava giusto riprendere la visione di Piero, che della matrice culturale e progettuale che informava l’ex deputato di vari partiti e fondatore del quotidiano Repubblica.

 

Il senso di Repubblica – quindi, della vita del calabrese – fu quello di traghettare quanta più opinione pubblica possibile verso da una parte gli interessi del padronato più o meno «illuminato» e dall’altra quello di laicizzare (cioè: decristianizzare) la popolazione, il medesimo progetto plurisecolare di certi club segreti che si richiamano  a quell’illuminismo ai cui autori Scalfari citava a profusione.

 

È simpatico vedere come l’uomo che non nascondeva la sua bigamia, per questo attaccato qualche anno fa da qualche femminista in zona metoo, non venga minimamente sfiorato oggi dalla polemica.

 

È bello ricordare, inoltre, come alle elucubrazioni letterarie di Scalfari fu negata la pubblicazione sul catalogo Adelphi: per una volta, ebbravo Roberto Calasso!

 

È interessante vedere come sia sparito in questi giorno quel persistente ricordo – che nel 1973, per via di un crudele articolo finito sul Corriere, potrebbe essergli costato una trombatura alle elezioni – per cui l’onorevole Scalfari avrebbe detto ad un vigile urbano dinanzi alla Stazione Centrale di Milano (dove pare avesse parcheggiato in un certo modo mentre accompagnava una delle mogli) qualcosa del tipo «lei non sa chi sono io» – il ghisa, in mancanza di documenti leggibili, invece lo portò in caserma.

 

Con Piero una diecina di anni fa al telefono, commentammo un’apparizione televisiva di Scalfari (già allora vegliardo) dalla Gruber all’altezza dei famosi colloqui che lo Scalfari aveva col neoeletto papa Bergoglio.

 

Il ricco giornalista andava ripetendo alcune ovvietà anticattoliche, tutto felice di avere incredibilmente ottenuto l’imprimatur papale, ma il livello era disarmante, tanto che dissi a Piero che si trattava di argomenti «laici» di quelli che si trovavano, un tempo, scritti nei bagni pubblici. «Sì bravo, è ateismo da pisciatoio», fu la fulminante definizione di Piero. Ora, quanti danni abbia fatto l’orina laicista non lo sappiamo di preciso, ma abbiamo una certa idea della devastazione che Repubblica ha recato alla società italiana e al Paese tutto.

 

Consegnato da Scalfari al suo ultimo padrone, l’ebreo piddino ora svizzero Carlo De Benedetti, il giornale divenne il volano per la distruzione di Berlusconi (avversario economico e non solo dell’ingegnere) e della sua compagine politica. L’operazione, che durò decenni, fu portata avanti in termini parossistici, demonizzando e delegittimando l’uomo di Arcore (che ora governa insieme al PD…) in un modo mai conosciuto prima nella Repubblica Italiana.

 

Il risultato fu la polarizzazione della popolazione da una parte, e la crescita di un dissenso totale (antipolitico, 1anticosmico, quasi gnostico) in una fetta crescente dell’elettorato, oramai sprofondato in una vera e propria politica del risentimento acefala – l’humus che a creato i Cinque Stelle, con gli esiti che sono davanti ai nostri occhi.

 

Una cosa, tuttavia riconosciamo allo Scalfari: egli ha dato lavoro ad un giovane giornalista, padre ventenne , insegnandogli il mestiere: parliamo del già senatore (con Berlusconi….) Paolo Guzzanti. Il quale trasmise al figlio capacità impressionanti, ma non sul piano giornalistico, ma su quello delle imitazioni, dove Guzzanti era maestro incontrastato, arrivando ad ingannare le sue colleghe con telefonate in cui fingeva di essere il direttore Scalfari.

 

Ebbene, avrete capito dove vogliamo arrivare: senza Scalfari non sappiamo se avremmo avuto il più grande artista italiano, Corrado Guzzanti.

 

Non sappiamo se questo sia abbastanza per perdonare quello che ha fatto, ma non sta a noi il giudizio: ci stanno pensando altri, anche se Scalfari magari non credeva li avrebbe incontrati.

 

E invece adesso gli stanno facendo ciao con la manina – come ad ogni «laico» e illuminista della storia umana.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

Il vero significato dell’espressione fine delle ideologie è caduta dei regimi ispirati all’ideologia marxista e crisi delle economie liberali.

 

Coerenti con i loro postulati e premute dalla slavina heideggeriana & francofortese, le ideologie hanno assunto le forme nuove e depresse del relativismo e del nichilismo.

 

In ultima analisi sarebbe più appropriato parlare di metamorfosi crepuscolare delle ideologie, piuttosto che della loro fine.

 

Ora la nuova struttura delle alterate ideologie si valuta meglio quando si riflette sulla  lontana origine illuministica, ossia sulle divagazioni di Voltaire intorno un dio remoto, architetto sovrano ma indifferente al destino degli uomini. Idea che Voltaire ha sviluppato nelle desolate e grondanti riflessioni sul terremoto di Lisbona.

 

Dalla svilimento volterriano della divinità, in una prima fase, hanno avuto origine le ideologie prometeiche, programmi rivoluzionari intesi alla fondazione in terra di quel paradiso che l’indifferente e ozioso dio degli illuministi non poteva concedere nei cieli.

 

Conosciamo il risultato storico della corsa verso il paradiso sulla terra: il terrore e la sciagura instaurati nella Francia giacobina e, di seguito, la moltiplicazione, a destra e a sinistra, degli inferni terrestri: le colonie sanguinarie del capitalismo (l’estrazione del caucciù nell sterminato Congo, ad esempio), i campi socialisti per la rieducazione dei deviazionisti e i campi nazisti di sterminio degli impuri.

 

Di qui il discredito, la caduta e/o la trasformazione dei sistemi ideologici. E di qui il regresso delle ideologie alla sconfortante teologia di Voltaire, riletta e reinterpretata alla luce del globale fallimento dell’umanesimo ateo.

 

La teologia debole di Voltaire si è radicalizzata contemplando lo spettacolo dei mali prodotti dai continuatori dell’illuminismo.

 

La nuova ideologia abolisce perfino la figura diafana e sfuggente del dio di Voltaire, e descrive un mondo oscillante tra piaceri effimeri e orizzonti obituari. Abolita la pallida fede in un dio, avanza la superstizione contemplante forze oscure, che indirizzano al breve giro tra  piacere effimero e dolce morte, tra pornografia e anatomia.

 

In ultima analisi il piacere, supremo bene offerto dalle esangui ideologie, è presentato nell’aspetto di una corsa affannosa e disperata, prossima a cadere nel leopardiano «abisso orrido e immenso».

 

La citazione di Leopardi non è causale. La lettura del testo dell’autorevole guru illuminista, Eugenio Scalfari, infatti, dimostra che le ideologie di matrice illuministica hanno sorpassato il fragile e incoerente deismo del vecchio Voltaire per rivolgersi al pessimismo rovente di Leopardi, Schopenhauer e Nietzsche.

 

Il significato dell’ideologia dopo la metamorfosi postmoderna, pertanto, si legge nell’inno leopardiano ad Arimane, il tenebroso dio, che tesse la tela degli inganni feroci contro l’umanità.

 

Il componimento leopardiano è – in nuce – una trattato di teologia capovolta e in ultima analisi il riassunto stenografico del pensiero oggi dominante nell’area del laicismo coerente.

 

Nella prospettiva indicata dal Leopardi scalfariano, l’ideologia assume l’aspetto angosciante di una tenebrosa e rovesciata summa di teologia: autore della natura è un dio malvagio, che spinge l’uomo nel gorgo di una felicità distruttiva. Sotto il casto e delicato nome di relativismo è questa l’imperativo in circolazione dopo la metamorfosi delle ideologie: darsi alla pazza gioia in vista di una fine squallida e buia.

 

Vivere è fare un breve giro di danza abbracciati all’insignificanza. Sotto il controllo della finanza iniziatica, la cultura dei campi di concentramento alza il garrulo vessillo della libertà e si trasferisce nell’anima festante dei suo prigionieri.

 

Alla fine degli anni Trenta Sartre aveva anticipato la conclusione ultra ideologica della parabola moderna, proponendo la formula vivere è far vivere l’assurdo. L’assurdo è il nutrimento e il viatico della libertà concentrata.

 

Non credo sia necessario dire altro: sul palcoscenico dell’insignificanza – filo spinato che avvolge le anime appiattite dall’ateismo radicale – l’arte fedele alla contraffatta religione dei postmoderni  avvelena e sovverte tutti i possibili significati dell’esistenza.

 

Nella devastazione l’arte ultima si capovolge nelle figure della banalità, della sconcezza e dell’assurdo. I pilastri dei musei d’arte moderna, delle case editrici e delle industrie dello spettacolo politicamente corretto.

 

 

Piero Vassallo

 

 

 

 

Immagine di Francesca Marchi / International Journalism Festival via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

 

 

 

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