Spirito
San Luigi e l’alleanza con i Mongoli
In un articolo pubblicato su Aleteia, Camille Delmas racconta una parte poco conosciuta della vita di san Luigi: a metà del XIII secolo, il santo re cercò di stringere un’alleanza con i mongoli, aspettandosi che si convertissero al cristianesimo. L’impresa fu guidata da un francescano, Guglielmo di Rubruck, che la racconta nel suo poco conosciuto Viaggio nell’impero dei Mongoli.
«Il terzo giorno trovammo i Tartari; e quando li ebbi visti e considerati, mi sembrò di entrare in un mondo nuovo». Nell’anno 1253, il francescano Guillaume de Rubruck, inviato di San Luigi, scriveva queste righe quando per la prima volta entrò in contatto con i Mongoli – ai suoi tempi chiamati Tartari – sulle rive del Mar Nero.
I Mongoli avevano appena invaso l’Europa, conquistando l’Ungheria nel 1241. Papa Innocenzo IV inviò loro diverse ambasciate guidate da francescani e domenicani. La risposta di Khan Güyük fu un feroce appello alla sottomissione: «se non segui l’ordine di Dio e se vai contro i nostri ordini, ti riconosceremo come nostro nemico.»
Il pontefice pubblicò nel 1248 una bolla in cui chiedeva agli invasori di cessare le loro minacce. Inoltre, i Mongoli cacciarono dal loro territorio i Kwarazm-Shah, un popolo persiano alleato dei Mamelucchi d’Egitto, che aveva appena conquistato Gerusalemme nel 1244.
Fu durante questo periodo che San Luigi si recò in Terra Santa per la Settima Crociata (1248-1254). Da Cipro riceve una missiva inaspettata: un signore della guerra mongolo, Altigidai, offre al «re dei Franchi» un’alleanza contro la dinastia ayyubide in Egitto, chiedendogli di attaccare i mamelucchi direttamente nel loro Paese.
Per valutare l’alleanza, Luigi IX invia un domenicano, André de Longjumeau, come ambasciatore ad Altigidaï e il suo leader, il khan Güyük. Quest’ultimo è morto quando il sacerdote arriva nella sua capitale in Mongolia, Karakorum.
Una missione difficile
André de Longjumeau torna in Francia, sostenendo che i cristiani vivono in terra mongola e che un certo khan di nome Sartaq sarebbe stato battezzato. San Luigi, sconfitto a Damietta, si ritirò in Terra Santa senza aver riconquistato Gerusalemme. Invia una nuova ambasciata al presunto khan cristiano e al nuovo leader dell’impero mongolo, Möngke, nella speranza di una nuova alleanza.
È in queste condizioni che Guglielmo di Rubruck viene inviato. La sua missione: istruire il popolo mongolo e i suoi leader per avvicinarli alla fede cristiana. Una volta completata la missione, potrà convincerli a prendere la croce contro i Mamelucchi. Come servitore zelante, Guglielmo dimostrò, nel suo rapporto sulla situazione religiosa dell’Impero mongolo, un’onestà senza illusioni.
«Rappresenterò a Vostra Maestà lo stile di vita e la morale di queste persone nel miglior modo possibile», spiega il francescano all’inizio del suo lungo racconto. Quest’ultimo svolse il suo compito con grande talento e regalò ai posteri un resoconto unico della vita dei mongoli.
A lui dobbiamo una sapiente descrizione del grande gioco geopolitico che ha scosso l’impero e della sua storia dall’ascesa di Gengis. Si meraviglia di questi principi, figli del gran khan, «che oggi hanno tutti grandi corti, e ogni giorno estendono un po’ di più le loro dimore in questa vasta solitudine, che è come un grande mare».
Aneddoti incredibili
Molto prima di Marco Polo, racconta gli aneddoti a volte inverosimili che gli vengono raccontati sul suo cammino: il regno cristiano di re Giovanni, i Monti degli Assassini, cani giganti e «mille altre storie strane e orribili».
Descrive usi e costumi, riti funebri e matrimoniali, abitudini culinarie. Riferisce del ricco commercio che sostiene questa terra commerciale: sale, animali, carta di cotone e tessuti di seta del Catai e della Persia, metalli rari e lavorati, pellicce necessarie per affrontare il freddo «così forte che spesso spaccava gli alberi e le pietre», ma che attraversa a piedi nudi.
Nonostante le difficoltà, temendo a volte di morire di fame o di freddo, Guglielmo supera gli ostacoli. Accompagnando la marcia delle città mongole in movimento, raggiunge la capitale Karakorum, incontrando sul suo cammino i popoli che dimorano in queste immense terre: Nayman, Goti, Comani, Turchi, Alani, Russi, Valani, Armeni, Moal, Turchi…
Il francescano racconta con disappunto i suoi tempestosi contatti con gli eretici Nestoriani, stanziati in tutta questa parte dell’Asia a partire dal VII-VIII secolo. Quando incontra Sartak, il signore della guerra che afferma di essere battezzato, è ancora amareggiato. «Non so proprio dire se sia cristiano o no», prima di ammettere: «mi sembra che si prenda gioco dei cristiani e li disprezzi».
Una strada disseminata di insidie
Nel suo cammino il francescano si fece dei nemici e dovette confrontarsi, ad esempio, con un «rabdomante saraceno» che lo infastidiva e, secondo lui, avvelenava i malati spacciandosi per un medico. È esasperato di dover condividere la sua casa per molti mesi con un «falso monaco» nestoriano, che si rivela bugiardo, ignorante e osceno: «mi è dispiaciuto molto non poterlo lasciare».
Nella capitale Karakorum, il rappresentante di Saint Louis incontra anche Guglielmo, un orafo parigino catturato dai mongoli mentre si trovava a Belgrado. Questo artigiano, riferisce, costruì per Khan Mongkok una strana fontana d’argento per versare quattro bevande diverse contemporaneamente.
Discutendo con i cinesi, si meravigliava che essi «scrivono con un pennello fatto come quello dei pittori» su carta di cotone. In Karakorum, Guillaume de Rubrouck si accorge anche che Mongkok Khan approfitta cinicamente della competizione tra il clero buddista – di cui è uno dei primi a raccontare i riti – musulmano e cristiano.
Il sovrano, osserva, costringe i membri dei vari ecclesiastici ad assisterlo in una forma di paganesimo sincretico, poi si abbandona a bere senza fine e ad adorare gli idoli. Il francescano è indignato da queste «superstizioni e follie».
L’alleanza franco-mongola non si realizzerà
L’alleanza quindi non verrà stipulata, nonostante le insistenze dei mongoli, che anni dopo combatteranno al fianco dei cristiani in Terra Santa contro i sultani d’Egitto. Deluso per non aver avuto la fede necessaria per compiere «miracoli» e convertire il khan, Guglielmo di Rubruck finisce per ammettere il suo fallimento.
Quando se ne va, il khan gli consegna una lettera in cui chiede al re Luigi di sottomettersi alla sua autorità prima di prendere in considerazione qualsiasi forma di alleanza. Il sacerdote consiglia a Saint Louis di non proseguire le discussioni: secondo lui i mongoli non vincono mai «con la forza delle armi, ma solo con l’astuzia e l’inganno».
Guglielmo di Rubruck lascia finalmente l’impero mongolo e ritorna in Francia. Nel suo racconto, l’avventuriero francescano rivolge queste ultime parole al suo re: «La pace di Dio, che supera ogni intelligenza e ogni conoscenza degli uomini, ti preghiamo di illuminare con la sua luce la tua cuore e la tua comprensione».
Nella loro lotta contro le forze egiziane, i Mongoli finirono per essere sconfitti ad Aïn Djalout nel 1260, la prima sconfitta storica per questo popolo, ma anche un canto del cigno per i Regni latini d’Oriente.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
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