Geopolitica

Quando gli ucronazisti minacciavano di impiccare Zelens’kyj

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Riemerge da internet una rilevante intervista ad un capo dell’estrema destra ucraina risalente al 2019, l’anno di elezione di Zelen’skyj.

 

A riportarla all’attenzione del mondo sconvolto dall’escalation russo-ucraina è stato il sito Naked Capitalism il 5 marzo scorso.

 

Si tratterebbe di un’intervista del controverso sito di notizie internet ucraino Obozrevatel con Dmytro Yarosh, un co-fondatore di Pravij Sektor, movimento nazionalista ucraino.

 

Yarosh, eletto deputato al parlamento ucraino (la Verkhovna Rada) nel 2014, nel 2015 si era ritirato da Pravij Sektor. Per un anno, dal 2015 al 2016, su richiesta della Russia, Yarosh fu nella lista dei ricercati dell’Interpol.

 

Titolo dell’intervista: «Yarosh: se Zelensky tradisce l’Ucraina, perderà non la sua posizione, ma la sua vita»

 

Da più parti, Pravij Sektor, che si rifa al collaboratore di Hitler Stepan Bandera, è descritto come un movimento neonazista, i cui membri sono accusati dai russi di aver combattuto per i separatisti in Cecenia (da qui si può comprendere una sfumatura più profonda della presenza delle truppe di volontari caucasici di Kadyrov nell’invasione ucraina).

 

L’intervista allo Yarosh risale al 27 maggio 2019, una settimana scarsa dopo l’insediamento di Volodymyr Zelens’kyj alla carica di presidente.

 

«Ha solo bisogno di capire una verità: gli ucraini non possono essere umiliati» dichiara il capo del Settore Destro. «Gli ucraini, dopo settecento anni di schiavitù coloniale, potrebbero non aver ancora imparato a fondo come costruire uno stato. Ma abbiamo imparato molto bene come fare una rivolta e sparare a tutte quelle “aquile” che stanno cercando di parassitare il sudore e il sangue degli ucraini».

 

«Zelensky ha detto nel suo discorso inaugurale che era pronto a perdere ascolti, popolarità, posizione… No, perderà la vita. Sarà appeso a qualche albero del Khreshchatyk, se tradirà l’Ucraina e quelle persone che sono morte durante la Rivoluzione e la Guerra.

 

Il Khreshchatyk è uno dei principali viali di Kiev, che porta diretto alla fatale piazza Maidan, dove nel 2014 si consumò, tra rivolte e e cecchini, il golpe che defenestrò il (moderatamente) filo-russo Yanukovich e installò al potere ogni possibile forza antirussa.

 

Yarosh minaccia apertamente che Zelenskyj sarà linciato nella strada principale di Kiev, se metterà in atto una parte degli Accordi di Minsk, che stabiliscono le condizioni affinché la leadership ucraina negozia accordi di autonomia con le repubbliche separatiste del Donbas. La Russia aveva da tempo sostenuto gli accordi di Minsk, per mantenere le repubbliche all’interno dell’Ucraina, e promosso l’urgenza dei negoziati in ogni occasione.

 

Poi lo Yarosh parla degli «accordi di Minsk, sui quali, forse, Zelensky ora giocherà in negativo. E in questo caso dovremo sollevare una rivolta…»

 

Egli infatti esclude la completa attuazioni degli accordi, che invece ritiene si dovrebbero abbandonare

 

«Il formato di Minsk, e ne parlo continuamente, è un’opportunità per giocare per tempo, armare le forze armate, passare ai migliori standard mondiali nel sistema di sicurezza e difesa nazionale. Questa è un’opportunità di manovra. Ma non più di questi. L’attuazione degli accordi di Minsk è la morte del nostro Stato. Non valgono una goccia di sangue dei ragazzi e delle ragazze, degli uomini e delle donne che sono morti in questa guerra. Non una goccia».

 

Al neoletto Zelens’kyj, si accordava quindi una fiducia limitata.

 

«Combattiamo e prepariamoci. Stiamo aspettando cosa dirà e, soprattutto, come si comporterà. “Dai loro frutti li riconoscerete”, dice la Scrittura. “I frutta” li vedremo da qualche parte in autunno. Zelens’kyj è un politico inesperto. E il seguito fa il re. E già vediamo chi c’è, “al seguito”, comincia ad apparire. Non aggiunge ottimismo. Perché Zelens’kyj ha promesso ai suoi elettori (…) che avrebbe infranto il sistema oligarchico. Ma già dalle prime nomine, vediamo che il sistema oligarchico continua a vivere e fiorire. E, ovviamente, continuerà ad essere così. Verranno trasferiti solo i flussi».

 

Yarosh ha quindi parole di pace nei confronti dell’oligarca ebreo Kolomojskij, sospettato di essere il puparo di Zelens’kyj e il finanziatore di battaglioni neonazisti.

 

«Non ho niente contro Igor Valeryevic [Kolomojskij]. Abbiamo lavorato molto fruttuosamente nel 2014, quando era il governatore della regione di Dnepropetrovsk. Pertanto, Kolomojskij non è una storia dell’orrore per me. Capisco che la demonizzazione avvenuta sia basata più sulla propaganda che sulla realtà. E nei flussi per i quali c’è una guerra: petrolio, gas, miliardi… E so per certo che Kolomojskij non era comunque una minaccia per lo Stato».

 

Nell’intervista trovano spazio anche prese di distanza nei confronti dell’antisemitismo (della seria «ho tanti amici…»), che sarebbe usato dalla Russia come propaganda.

 

«Rispetto il popolo ebraico. Ci sono ebrei tra i miei amici, molti ebrei hanno combattuto nell’UDA [la formazione paramilitare dell’Ulster che combatteva i cattolici irlandesi, ndr]. Questi sono i miei fratelli. Ma sono preoccupato che la Russia non si impegni a scuotere il tema antisemita. Perché cercano di usarlo tutto il tempo. Gettare nella vita pubblica ucraina un “antisemitismo da caverna” inesistente».

 

Resta, di tutta l’intervista, l’immagine più forte: quella di un uomo appeso ad un albero del Khreshchatyk…

 

Ci chiediamo: come può Zelens’kyj arrivare a qualsiasi compromesso se sa che potrebbe essere impiccato nel centro di Kiev poco dopo?

 

Quindi, che margine di manovra politica può avere Zelens’kyj?

 

Di più: che ruolo può avere Zelens’kyj nel processo di pace?

 

Possiamo comprendere il dramma di quest’uomo, chiuso in un bunker e circondato da uomini che sono pronti a impiccarlo, mentre il mondo tutto – compreso il Parlamento italiano, britannico, americano – si spella le mani per i suoi discorsi in t-shirt, scritti dai suoi sceneggiatori, i quali non hanno ancora capito che non è più uno sketch comico.

 

Non c’è, come rischio, la bassa audience. C’è la morte. E non solo per chi comanda: per migliaia e migliaia di persone che stanno cadendo in queste settimane.

 

 

 

Immagine di All-Ukrainian Union via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0)

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