Psicofarmaci
Psicofarmaci per l’attenzione possono aumentare il rischio di malattie cardiache
Un nuovo studio indica che l’uso a lungo termine di farmaci per il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) può aumentare il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e che il rischio aumenta quanto più a lungo viene utilizzato il farmaco. Lo riporta Epoch Times.
I risultati dello studio condotto in Svezia sono stati pubblicati su JAMA Psychiatry, mettendo in luce i potenziali rischi dei farmaci per l’ADHD a lungo termine.
Secondo i dati del CDC a circa 6 milioni, ovvero 1 su 10, bambini di età compresa tra 3 e 17 anni è stato diagnosticato l’ADHD. Circa 8,7 milioni di adulti negli Stati Uniti soffrirebbero di ADHD, una malattia che secondo la vulgata medica principale porterebbe ad avere difficoltà a prestare attenzione, a stare fermi o ad agire senza pensare.
I farmaci sono stati il trattamento standard per decenni, hanno scritto i ricercatori, aggiungendo che «l’uso dei farmaci per l’ADHD è aumentato notevolmente sia nei bambini che negli adulti negli ultimi decenni». Le terapie psicofarmacologiche comprendono terapie stimolanti e non stimolanti, con modalità determinate in base alle esigenze del paziente.
Nello studio, i ricercatori hanno esaminato 13 anni di registrazioni nel registro nazionale dei pazienti ricoverati di oltre 278.000 individui di età compresa tra 6 e 64 anni con ADHD. Hanno scoperto che più a lungo un individuo utilizzava farmaci per l’ADHD, maggiore era il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari rispetto a coloro che non assumevano farmaci per l’ADHD.
Inoltre, ogni anno in più un individuo che utilizzava farmaci per l’ADHD aumentava il rischio di malattie cardiache in media del 4%. Nel complesso, i risultati suggeriscono che il rischio di malattie cardiache era del 23% più alto per le persone che avevano usato farmaci per l’ADHD per più di cinque anni rispetto a quelli che non li avevano mai usati. Il rischio era stabile tra i bambini e gli adulti, sia maschi che femmine.
Le malattie cardiovascolari legate ai farmaci per l’ADHD comprendono l’ipertensione e le malattie delle arterie. Non è stato riscontrato alcun aumento del rischio per altre condizioni associate, come insufficienza cardiaca, aritmie, malattie tromboemboliche, malattie arteriose e altre forme di malattie cardiache.
Lo studio conferma la ricerca precedente che indicava che i pazienti che assumevano farmaci stimolanti per l’ADHD, come Ritalin o Adderall, erano a rischio più elevato di sviluppare malattie cardiovascolari rispetto a quelli che assumevano farmaci per l’ADHD non stimolanti.
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La ragione dello sviluppo è probabilmente dovuta al fatto che gli stimolanti contenuti nei farmaci sono noti per aumentare la pressione sanguigna, risvegliare il sistema nervoso e far lavorare di più il cuore.
Gli autori dello studio hanno osservato che i medici dovrebbero «essere vigili nel monitorare i pazienti… e valutare costantemente segni e sintomi di CVD (malattie cardiovascolari)», soprattutto nei pazienti che ricevono alte dosi di farmaci stimolanti.
Gli autori hanno indicato che sono necessarie ulteriori ricerche per esaminare i soggetti con malattie cardiovascolari preesistenti. «La valutazione del rischio tra di essi richiede un disegno di studio diverso che consideri attentamente il potenziale impatto della conoscenza precedente e del monitoraggio periodico», hanno scritto.
L’ADHD, la malattia dei «bambini ipercinetici», è contestata da alcuni gruppi di medici e genitori, che la ritengono una malattia inventata per vendere psicofarmaci ai bambini anche piccoli, un nuovo disturbo sorto dal nulla (una volta si diceva per questi casi: «bimbo discolo», «distratto», etc.) grazie all’influenza di Big Pharma sulla classe medica.
L’Adderall è stimolante manfetaminico per stare svegli e mantenere l’attenzione. Esiste negli USA una immensa realtà sottaciuta di studenti e atleti (ma non solo) che, convinti che possa migliorarne le prestazioni (in pratica, steroidi per la mente), divengono schiavi dell’Adderall. Se lo procurano dalle ricette dei bambini, e gli effetti sono devastanti: nel lungo termine, divengono praticamente dipendenti, e completamente sconvolti nel cervello, al punto da non essere più funzionali in alcun modo.
Elon Musk l’anno passato si scagliò contro l’Adderall e il Wellbutrin, considerando quest’ultimo perfino peggiore dicendo di aver sentito storie agghiaccianti: «dovrebbe essere tolto dal mercato».
L’ADHD spuntò anche nel caso della ginnasta statunitense Simone Biles, misteriosamente ritiratasi alle Olimpiadi di Tokyo, in un turbinio di accuse che conversero presto sugli abusi sessuali di Larry Nassar, il medico delle atlete USA dal 1996 al 2017 che avrebbe abusato di 150 ginnaste, lasciando la Biles, secondo quanto dissero i giornalisti, traumatizzata.
La stampa mainstream, che seguì il caso versando lacrime sulla povera campionessa afroamericana che si toglie enigmaticamente dalle competizioni, mancò di segnalare quanto già si sapeva della Biles.
«Ho l’ADHD e ho preso farmaci da quanto ero una bambina» si era giustificata la Biles quando degli hacker penetrarono gli archivi dell’antidoping mondiale (WADA), rivelando che la Biles – vincitrice dell’oro a Rio de Janeiro, davanti ad un’atleta italiana – avrebbe una TUE, cioè un’esenzione terapeutica, per l’uso di anfetamine e psicofarmaci. «Simone Biles potrebbe passare alla storia dello sport come la prima atleta narcolettica a vincere quattro medaglie d’oro in una sola olimpiade», scherzavano alcuni dei massimi esperti di antidoping italiani.
Il Giappone, dove si stavano tenendo le Olimpiadi, ha una legislazione molto severa sugli psicofarmaci, con alcuni totalmente proibiti. «Se portate Adderall in Giappone per qualsiasi motivo, rischiate l’arresto e la reclusione» scrive nelle FAQ un sito di scambi studenteschi di Kyoto.
«Sto combattendo con i demoni nella mente» disse la Biles. Quello, e magari pure qualcos’altro – come tanti bambini, anti adulti, finiti nella trappola degli psicofarmaci.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia