Geopolitica

Pena capitale per impiccagione di un serial killer eseguita in Giappone

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Il 27 giugno scorso è stata eseguita la condanna a morte per impiccagione di Takahiro Shiraishi, assassino seriale che conservava i resti delle sue nove vittime nella sua abitazione nella prefettura di Kanagawa. Shiraishi lavorava nell’area grigia della prostituzione semilegale, approcciando ragazze nel quartiere di Shinjuku per avviarle al lavoro nella locale industria a luci rosse. 

 

L’abilità di persuasione sviluppata in quest’area gli è servita in seguito per adescare aspiranti suicide su Twitter. Lo Shiraishi le invitava a casa sua proponendosi di aiutarle a realizzare il loro progetto suicida, dopodichè le stuprava e uccideva.

 

Va detto che l’opinione pubblica giapponese non ha versato troppe lacrime per il defunto assassino: il consenso verso la pena capitale in Giappone supera l’80% e non c’è alcun attivismo significativo che si batta per la sua abolizione.

 

Poco più di tre anni prima, il 26 giugno 2022, era passato per le mani del boia Tomohiro Kato, l’autore del cosidetto «massacro di Akihabara». Il Kato, per sfogare la rabbia e la frustrazione accumulate a causa della durissima disciplina impostagli dai genitori durante l’infanzia, aveva scelto di scagliarsi con un furgone sullla folla dell’isola pedonale del noto quartiere di Tokyo, per poi proseguire il lavoro a colpi di coltello e togliere la vita a 7 persone incolpevoli.

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Anche in questo caso ben pochi hanno avuto da ridire sull’esecuzione della sentenza, piuttosto ha iniziato a diffondersi preoccupazione per il fenomeno del kireru, ovverosia l’improvvisa esplosione di furia omicida da parte di cittadini insospettabili, equivalente nipponico dell’espressione statunitense «going postal» (impazzire improvvisamente ed uccidere persone nei luoghi pubblici).

 

Il fenomeno sociale più preoccupante che riguarda il tema della pena capitale in Giappone è però un altro, quello del cosidetto kansetsu jisatsu (間接自殺), cioè «suicidio indiretto». Si tratta di episodi in cui una persona uccide o tenta di uccidere un completo sconosciuto per poi dichiarare in sede di processo il seguente movente: «desideravo la pena di morte».

 

Dal 1986 ad oggi sono stati registrati almeno 33 casi di questo tipo.

 

Il primo che viene alla mente è quello del sesquipedale idiota Kyota Hattori, 24enne all’epoca, che travestito come il Joker hollywoodiano la sera di Halloween del 2021 ha accoltellato un 72enne su un treno della linea Keio Inokashira a Tokyo. Il giovane ha poi pensato bene di appiccare fuoco alla carrozza del treno, ferendo complessivamente 17 persone. Grazie a Dio non ci sono state vittime.

 

La condanna per lui é stata di 23 anni di reclusione, ma purtroppo non è l’unico episodio registrato di accoltellamento di un perfetto sconosciuto in cui il colpevole, una volta arrestato, dichiari «volevo morire ma non avevo il coraggio di suicidarmi. Ho pensato che la pena di morte potesse essere la soluzione». Situazioni che possono ingenerare nostalgia del seppuku dei samurai, il che è tutto dire.

 

Benchè il fenomeno esista anche in altri Paesi (sotto altre forme, ad esempio anche negli Stati Uniti si parla di «suicide by cop»), la specificità giapponese sembra essere quella di interessare principalmente adolescenti e individui dai 20 ai 30 anni di età. Il corrispondente di Renovatio 21dal Giappone si riserva di approfondire e tornare sul tema in futuro.

 

La pena capitale in Giappone ultimamente è anche salita agli onori delle cronache ultimamente per un caso a lieto fine: dopo 46 anni nel braccio della morte l’ottantottene Iwao Hakamada è stato riconosciuto innocente e rimesso in libertà. La tragedia di una vita passata in attesa dell’esecuzione può avere, incredibilmente, anche risvolti edificanti: da una parte c’è il meraviglioso esempio della sorella di Hakamada, Hideko, che non ha mai smesso di credere nella sua innocenza e di combattere al suo fianco: a 91 anni, adesso è lei che si prende cura di Iwao, la cui salute é stata minata dalla lunga detenzione.

 

Dall’altra, l’innocente Hakamada ha trovato la fede in carcere, convertendosi al cattolicesimo e ricevendo il battesimo nel 1984.

 

Taro Negishi

Corrispondente di Renovatio 21 dal Giappone

 

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Immagine screenshot da YouTube; rielaborata

 

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