Cina

Pechino rimuove Zhao Lijian, il portavoce «wolf warrior»

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È il volto più conosciuto e agguerrito della diplomazia cinese. Spostato ad altro incarico. Aveva accusato gli USA di aver creato e diffuso il COVID in Cina. Probabile Xi Jinping voglia una diplomazia aggressiva nella sostanza e meno nella forma. I timidi tentativi di ricucire con Washington e i suoi alleati.

 

 

 

Il ministero degli Esteri non avrà più come volto Zhao Lijian, l’indiscusso leader dei «wolf warrior», la frangia più agguerrita della diplomazia cinese. Il 50enne ex portavoce è diventato uno dei tre vice direttori del dipartimento che si occupa della gestione dei confini.

 

Secondo molti osservatori, si tratta di una rimozione mascherata da promozione. I diplomatici occidentali hanno sempre visto Zhao come una spina nel fianco. Nella sue conferenze stampa ha spesso attaccato gli Usa e i suoi alleati, arrivando a descrivere il COVID-19 come un virus creato da Washington e diffuso dai suoi atleti ai Giochi militari di Wuhan del 2019.

 

Il suo «allontanamento», unito alla nomina di Qin Gang (ambasciatore negli Stati Uniti) come nuovo ministro degli Esteri, sembra voler mettere un freno ai bellicosi «lupi» della diplomazia cinese. La retorica aggressiva e l’attivismo geopolitico di Pechino non hanno intimidito l’Occidente, che come dimostra l’invasione russa dell’Ucraina è capace di ricompattarsi di fronte a minacce strategiche.

 

Analisti osservano che Xi Jinping non voglia tanto cambiare la sostanza della politica estera nazionale, quanto la sua forma. Scene come quella del dimostrante di Hong Kong malmenato dal personale del consolato cinese di Manchester, incluso il console generale Zheng Xiyuan, non hanno giovato all’immagine della diplomazia di Pechino.

 

Qin Gang è chiamato con ogni probabilità a ricucire i rapporti con gli USA, pur in una ottica di competizione strategica: l’obiettivo numero uno è mettere fine alla guerra commerciale con Washington, proseguita anche con l’uscita di scena di Trump. Lo stesso discorso vale per i rapporti deteriorati con Australia, Giappone e la Ue, come per le dispute di confine con l’India.

 

In tutto questo, i diplomatici più nazionalisti non spariranno dalla scena, spiegano diversi esperti: saranno tenuti in disparte, pronti a tornare utili.

 

A ottobre, a margine del 20° Congresso del Partito comunista cinese, il vice ministro degli Esteri Ma Xhaoxu ha rimarcato che la «diplomazia cinese continuerà a mostrare uno spirito combattivo, a migliorare la propria capacità di lotta, sempre pronta in prima linea a difendere l’interesse e la dignità nazionale».

 

Accantonato Zhao, rimane per il momento sulla scena l’altra stella dei wolf warrior: l’ambasciatore cinese in Francia, Lu Shaye. Ad agosto egli ha dichiarato che gli abitanti di Taiwan dovranno essere «rieducati» quando la provincia «ribelle» sarà riunificata con la Cina continentale.

 

Nel febbraio 2021 aveva mandato invece una lettera con cui intimava al senatore francese Alain Richard di non recarsi l’estate seguente in visita a Taipei. La mossa aveva portato a una dura risposta del ministero degli Esteri di Parigi.

 

 

 

 

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Immagine screenshot da YouTube

 

 

 

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