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Pechino punta al sorpasso sul Giappone nell’industria degli anime

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

La Cina investe in modo aggressivo su giovani disegnatori per i film d’animazione. Per Masao Maruyama oggi i prodotti nipponici sono «troppo commerciali» e rischiano di essere superati. Nel Paese del dragone a pesare sono le «restrizioni» in tema di libertà di espressione. Liu Jian: la produzione cinese inizia a trovare «uno stile proprio».

 

 

Tokyo rischia di perdere a breve il dominio nell’industria del disegno animato, cedendo il passo a una «competizione» cinese che si fa sempre più consistente, ricca e capace di attirare una nutrita schiera di pubblico nel mercato asiatico dell’animazione.

 

A lanciare l’allarme è uno dei più importanti esperti del settore nel Sol Levante, Masao Maruyama, secondo cui il Paese sta perdendo il consistente vantaggio del passato a causa di una crescente e miope inclinazione verso il «commerciale» a discapito della qualità e dell’originalità.

 

«Il successo – avverte – ha distratto il Giappone dal promuovere talenti di nuova generazione» mentre Pechino va nella direzione opposta «investendo aggressivamente in giovani animatori».

 

Per Maruyama il sorpasso potrebbe avvenire «in pochissimo tempo». L’unica ragione, prosegue nell’intervista, per cui la Cina «non ha ancora raggiunto il Giappone è a causa delle restrizioni» imposta dalle autorità comuniste «alla libertà di espressione». Ma se venisse concessa maggiore creatività e libertà di espressione, la produzione nipponica verrebbe superata con facilità perché gli autori «non sono più preparati» come avveniva in passato «all’animazione».

 

L’esperto è fra i massimi esponenti del settore nel Paese del Sol Levante e ha avuto come maestro e mentore Osamu Tezuka, che per molti è considerato il «padre dei manga» e fondatore del settore per prolificità e generi spesso pionieristici. Fondamentale il suo ruolo nell’animazione nel dopoguerra, anche grazie allo storico studio da lui fondato, la Mushi Production, alla quale è legata la prima vera serie di anime della storia: il celebre Astro Boy, nel 1963

 

Maruyama è stato un protetto di Tezuka ed è ancora oggi, a 81 anni, uno degli autori più ascoltati grazie anche ai molti ruoli ricoperti da dietro le quinte, sebbene da tempo non disegni o diriga in prima persona.

 

Egli attacca la produzione giapponese che mira solo a sfornare generi in grado di attirare soldi, con personaggi femminili ammiccanti o con produzioni che ottengono successi occasionali, senza uno studio solido alle spalle. Il Paese ha perso di vista la capacità, e la voglia, di promuovere giovani talenti mentre la Cina sta compiendo enormi progressi, investendo soprattutto sulle nuove leve.

 

Da erede di Tezuka per etica del lavoro e ricerca senza compromessi, egli sottolinea che creare un’opera significa «sfidare» se stessi «a fare qualcosa di nuovo, indipendentemente da quanto è stato fatto in passato».

 

Maruyama non è il solo fra i grandi maestri a lanciare l’allarme per una prossima leadership cinese nel settore, a discapito della produzione giapponese. Come lui la pensa anche il direttore di anime Makoto Shinkai, che nelle giornate del Festival di Berlino aveva ipotizzato un possibile «sorpasso» di Pechino nell’animazione globale mentre alla rassegna andava in scena la prima del dramma di animazione cinese «Art College 1994».

 

Una produzione del 53enne regista Liu Jian incentrata su un gruppo di studenti negli anni ‘90 che ha incontrato l’apprezzamento della critica, perché «evoca un momento e un luogo specifico in modo così vivido, da poter quasi assaporare il fumo di sigaretta stantio e la birra a buon mercato».

 

«La qualità dei film (cinesi) – ha detto Shinkai – sta migliorando rapidamente e sono in grado di costruire quei personaggi unici che abbiamo in Giappone. Prima o poi ci supereranno». Fino a 10 anni fa, prosegue nella riflessione, i creatori di anime giapponesi erano «molto fiduciosi di realizzare i migliori film d’animazione al mondo». Tuttavia, la situazione è cambiata negli ultimi anni «e la maggior parte dei miei coetanei la pensa in questo modo».

 

Il mercato globale degli anime giapponesi è cresciuto del 13% fino a un massimo storico di 2,74 trilioni di yen (20 miliardi di dollari) nel 2021, secondo i dati dell’Association of Japanese Animations. Ma nell’ultimo periodo i film cinesi stanno recuperando terreno.

 

«Negli ultimi anni – riflette il regista Liu Jian – sono usciti sempre più film d’animazione cinesi e sempre più vari fra loro, non solo commerciali ma anche d’essai».

 

«Molte animazioni commerciali cinesi – conclude – sono influenzate dall’animazione giapponese, ma stanno iniziando a trovare uno stile proprio».

 

Resta il nodo della censura, che per il momento limita la creatività degli autori e i soggetti da esplorare: prova ne è il lungo elenco di anime giapponesi ad oggi bandite da Pechino, che comprende prodotti molto apprezzati in particolare fra i giovani come Black Butler, Tokyo Ghoul, Deadman Wonderland, Death Note, Attack On Titan e High School Of The Dead.

 

 

 

 

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