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Pandemia di influenza spagnola 1918, New York rifiutò di chiudere i teatri

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Con una pandemia di influenza e una guerra in corso, il commissario per la salute di New York prese una posizione non ortodossa, rifiutando di bloccare l’intrattenimento pubblico.

 

Mentre l’influenza spagnola si diffondeva nel 1918 e l’anno successivo, uccidendo alla fine circa 675.000 persone negli Stati Uniti, le città americane correvano per contenere la minaccia chiudendo i teatri e altri luoghi di divertimento pubblico. Hollywood promise di non lanciare più film fino a quando l’influenza non si sarebbe placata.

 

Pandemia di influenza spagnola 1918: New York, ribelle, mantenne i suoi teatri – e cinema – spalancati.

New York, ribelle, mantenne i suoi teatri – e cinema – spalancati.

 

«Gotham rifiuta di avere paura», titolò ad inizio dell’ottobre 1918 il Baltimore Sun, che raccontava come nonostante 2.070 nuovi casi di influenza e 283 di polmonite nelle precedenti 24 ore a New York City, il suo dipartimento sanitario avesse annunciato «che l’epidemia non ha raggiunto uno stadio allarmante». Il suo breve e ripido picco stava per iniziare. Ma reprimere lo sgomento faceva parte della strategia della città, uno sforzo per mantenere alto il morale del pubblico, ricorda oggi il New York Times.

 

«Gotham rifiuta di avere paura»

«Gotham» è un nomignolo affibiato alla Grande Mela già nel primissimo Ottocento, volgarizzato poi dai fumetti di Batman. Gotham, quella vera, rifiutò di piegarsi al male, e superò la catastrofe senza supereroi – se non uno, il Commissario per la Salute cittadina, un omeopata.

 

Tra la nostra pandemia, che da marzo ha sconvolto la vita americana e in gran parte paralizzato la performance dal vivo, sembra quasi irreale che il teatro di New York nel 1918 abbia semplicemente continuato.

La città superò la catastrofe senza supereroi – se non uno, il Commissario per la Salute cittadina, un omeopata

 

Royal S. Copeland, il potente Commissario per la Salute di New York City, quando l’influenza spagnola si insinuò.

 

Mentre il Chirurgo Generale degli USA, Rupert Blue, incoraggiava le località a chiudere i teatri come misura preventiva, Copeland era filosoficamente non incline a intromettersi molto nella vita ordinaria.

 

Copeland era filosoficamente non incline a intromettersi molto nella vita ordinaria

Invece di chiudere i teatri, Copeland scaglionò i tempi degli spettacoli, creando dei gruppi. L’Ippodromo, per esempio, iniziò alle 20:00, il Giardino d’Inverno alle 20:15, il Lirico alle 20:30, lo Stand alle 20:45 e il Belasco alle 9. L’idea era di ridurre il sovraffollamento. Il programma faceva parte di un piano per tutta la città annunciato da Copeland all’inizio di ottobre, che regolava gli orari di apertura e chiusura di vari settori in modo che le ore di punta nelle metropolitane fossero meno prese d’assalto.

 

Nei teatri e nei cinema, i biglietti per le sale non erano più consentiti; neanche fumare lo era più. Le mascherinee non erano obbligate, ma Copeland era spietato sulla necessità di «eliminare gli starnuti, i colpi di tosse e gli sputi» del pubblico.

 

Usando spettacoli come opportunità per l’educazione alla salute, ordinò ai dirigenti di teatro di fare annunci di pre-spettacolo spiegando il pericolo di infezione e descrivendo in dettaglio i nuovi divieti. Disse loro «di istruire i loro uscieri e gli assistenti a scortare dai loro teatri coloro che violano le regole del dipartimento e ad usare la forza se necessario».

 

L’approccio non ortodosso di Copeland ha portato New York ad avere un tasso di mortalità per influenza inferiore rispetto a qualsiasi altra grande città della East Coast

«Una delle cose più strane di quella stagione segnata in modo indelebile – scrive il NYT – è che iniziò in piena attività e, a parte un periodo di settimane, rimase così. Con star come Harry Houdini, Will Rogers e W.C. Fields sul palco, un’abbondanza di produzioni: ciascuna chiusura lasciava spazio a un’apertura».

 

Più di 20.000 newyorkesi morirono nella pandemia di influenza del 1918 — circa lo stesso numero di morti in città così lontano dal coronavirus. Tuttavia l’approccio non ortodosso di Copeland ha portato New York ad avere un tasso di mortalità per influenza inferiore rispetto a qualsiasi altra grande città della East Coast. Senza lockdown, meno morti: mistero fitto.

 

Copeland, un omeopata politicamente esperto che in seguito divenne senatore democratico per Nuova York, aveva il suo senso di ciò che era essenziale per la salute pubblica. Per lui, era di primaria importanza che le persone potessero «fare i propri affari senza paura costante e senso isterico di calamità». E nel 1918, tenere aperti i teatri era un modo per mantenere la calma.

Ora guardiamo alla situazione di oggi: stesso numero di morti per la città, a cui si aggiunge la devastazione economica, morale e – considerando l’importanza dei teatri di Broadway – artistica.

 

Ora guardiamo alla situazione di oggi: stesso numero di morti per la città, a cui si aggiunge la devastazione economica, morale e – considerando l’importanza dei teatri di Broadway – artistica.

 

Mentre il governatore Cuomo – noto per aver autorizzato l’eliminazione dei bambini nel grembo materno anche a 9 mesi – mostra pubblicamente improbabili grafiche simil-esoteriche di sua produzione, il lettore chiuda gli occhi e viaggi con lo spirito nei teatri – in era pre-televisiva, quasi l’unica forma di intrattenimento – New York di quei mesi tremendi, dove però la joie de vivre non fu strangolata.

 

Quando torneremo a teatro? Quando torneremo al cinema? Quando torneremo allo stadio? Quando ci lasceranno tornare ad essere noi stessi?

Traiamo le nostre conclusioni, mentre ci chiediamo: quando torneremo a teatro? Quando torneremo al cinema? Quando torneremo allo stadio? Quando ci lasceranno tornare ad essere noi stessi?

 

Ma soprattutto: riuscite a capire la differenza tra ieri ed oggi?

 

Nel 1918 gli Stati volevano la prosperità dei propri popoli. Volevano che essi gioissero e si moltiplicassero – per quanto possa sembrare paradossale, perfino la guerra rientrava nei piani di questo disegno espansivo.

 

Il paradigma è mutato per sempre: dall’espansione alla contrazione. Meno vita, meno figli, e ora pure meno libertà

Ora, un secolo più tardi, tutto è cambiato. Gli Stati vogliono la contrazione del loro popolo. Vogliono controllarlo, soggiogarlo, sottometterlo. Il paradigma è mutato per sempre: dall’espansione alla contrazione. Meno vita, meno figli, e ora pure meno libertà. Prima lo Stato esigeva orgoglio e dedizione, ora pare volere da noi un’emozione sola: la paura

 

Lo Stato ha trasferito la guerra da fuori di sé a dentro di sé: dalla guerra con il popolo alla guerra contro il proprio popolo, che va ridotto, sanzionato, umiliato, controllato. Non ci chiediamo dunque dov’è finita la gioia di vivere, se lo stesso ordinamento sopra di noi ci scaglia addosso armi biologiche e, soprattutto paura.

 

 

 

 

 

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