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Pandemia come crescita economica: la Necrocultura non ha pudore

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Il fine della Cultura della Morte e delle sue branche (l’ecologismo ne è una, il M5S la proiezione parlamentare più riuscita in Occidente) è quello di svilire l’uomo, di renderlo una risorsa spendibile, di negare l’unicità meravigliosa della persona al fine ridurre la quantità umana a piacimento, senza che alcuna religione o filosofia possa opporvisi: un mondo dove i cadaveri si accumulano per strada, come nella Calcutta dei bei tempi, come in Europa all’epoca della Peste Nera. Un periodo, questo, che nel delirio di una cultura senza più guida morale, qualcuno arriva a ricordare quasi con nostalgia.

 

Nella nuova mentalità economica imposta dalla Cultura della Morte, la carestia, la pestilenza, l’aborto la morte massiva sarebbero fertili strumenti, oltre che di spopolamento, anche di crescita economica

Gli economisti Nico Voigtländer and Hans-Joachim Voth hanno sostenuto, in un saggio intitolato The Three Horsemen of Riches: Plague, War and Urbanization in Early Modern Europe, che la peste del XIV secolo potrebbe essere stato il maggior fattore della prosperità europea.

 

Secondo la logica dei due studiosi di storia economica, i salari si abbassano se la popolazione aumenta, escludendo un incremento delle risorse disponibili. Al contrario, quando la popolazione diminuisce durante una guerra o una piaga, i salari si alzano parallelamente alla maggior quantità di terra disponibile e alla scarsità della forza-lavoro.

 

L’aumento salariale dal 1550 al 1700 calcolato dagli studiosi è del 30%. Essi notano come la Cina, in termini agricoli, urbanizzazione, ed output economico, era davvero allo stesso livello dell’Europa quando la Morte Nera colpì.

Gli studiosi notano come la Cina, in termini agricoli, urbanizzazione, ed output economico, era davvero allo stesso livello dell’Europa quando la Morte Nera colpì

 

Se per ipotesi la popolazione europea avesse continuato a crescere durante questo periodo, dice il duo, sarebbe arrivata al livello di sviluppo della Cina nel 1700, quando invece a quell’altezza gli europei erano ben più avanti dei cinesi, preparandosi all’accelerazione definitiva impressa dalla Rivoluzione Industriale.

 

La peste, così come prima del XX secolo la guerra, aveva «un limitato effetto negativo diretto sulla produzione economica, agendo più come l’equivalente della moderna “bomba al neutrone”» ossia l’ordigno atomico che produce il massimo danno biologico lasciando però totalmente intatto l’ambiente (palazzi, case, fabbriche etc.).

Nel 2005 l’economista Alwyn Young propose la teoria per la quale l’infuriare dell’AIDS in Sud Africa avrebbe prodotto nel Paese un grande aumento salariale

 

Vi sono ovvie conseguenze di questo nuovo modo di pensare le catastrofi con milioni di morti: nel 2005 l’economista del MIT e della London School of Economics Alwyn Young propose la teoria per la quale l’infuriare dell’AIDS in Sud Africa avrebbe prodotto nel Paese un grande aumento salariale.

 

Parimenti, una simile logica spiega il recente boom economico cinese come un effetto della  jìhuà shēngyù zhèngcè, (计划生育政策, «politica di pianificazione delle nascite»), cioè la celeberrima «politica del figlio unico», e con essa i milioni di aborti prodotti in Cina da quando Pechino, negli anni Settanta, origliò le teorie antinataliste del Club di Roma. Dieci milioni di feti uccisi ogni anno, con un body-count che arriva dunque alle centinaia di milioni di morti di trenta anni.

Il boom economico cinese come effetto della «politica del figlio unico»: 10 milioni di feti uccisi ogni anno, cioè centinaia di milioni di morti in 40 anni

 

La follia di simili teorie, per cui lo sterminio implica crescita economica, si commenta da sé.

 

Nella nuova mentalità economica imposta dalla Cultura della Morte, la carestia, la pestilenza, l’aborto la morte massiva sarebbero fertili strumenti, oltre che di spopolamento, anche di crescita economica.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

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