Geopolitica

Nuova via della seta, la «trappola del debito» per l’Indonesia

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Gli indonesiani rischiano di perdere il controllo di una ferrovia sull’isola di Giava finanziata dai cinesi. I ritardi nella costruzione hanno portato a costi extra. Gli investitori dalla Cina chiedono garanzie pubbliche. Si ripete il caso Sri Lanka. Il governo Widodo vuole il dimezzamento dei tassi d’interesse. Critici: il progetto doveva andare al Giappone.

 

 

L’Indonesia rischia di finire in quella che molti osservatori chiamano la «trappola del debito» della Cina. La costruzione con capitali cinesi della ferrovia Jakarta-Bandung ha subito notevoli ritardi, portando a un costo extra di 468 milioni di dollari, coperto con soldi pubblici.

 

Il progetto è parte della Belt and Road Initiative, lanciata da Xi Jinping nel 2013 per rafforzare la posizione commerciale e l’influenza geopolitica di Pechino nel mondo. Per i partner Belt and Road si parla da tempo del pericolo di dover cedere propri asset alla Cina, soprattutto infrastrutture come porti, aeroporti e ferrovie, in caso di mancata restituzione di prestiti e relativi interessi.

 

Il caso più conosciuto è quello dello Sri Lanka. Nel 2017 Colombo ha affittato a una compagnia cinese per 99 anni lo scalo portuale di Hambantota, nel sud del Paese in cambio del mancato pagamento dei debiti contratti con Pechino.

 

Come riporta Nikkei Asia, la compagnia responsabile della costruzione della tratta ferroviaria sull’isola di Giava ha chiesto un’estensione della concessione di sfruttamento da 50 a 80 anni. Il problema è che Kereta Cepat Indonesia China è partecipata al 40% da azionisti cinesi.

 

All’interno del governo indonesiano cresce l’insoddisfazione per la situazione. Nel 2015 il presidente Joko Widodo aveva assegnato il progetto alla Cina, e non al Giappone, dopo la promessa cinese di concludere i lavori nel 2018, per far partire il trasporto un anno dopo. Pechino offriva anche costi più bassi rispetto a Tokyo: 5,5 miliardi di dollari contro i 6,2 dei giapponesi.

 

Oltre ai ritardi e all’aumento dei costi, i critici dell’opzione cinese sottolineano anche che i finanziatori di Pechino impongono tassi d’interesse molto più alti di quelli nipponici. L’amministrazione Widodo ha chiesto ai creditori cinesi un taglio dal 4% al 2%, ma la controparte si è detta disponibile ad arrivare al massimo al 3,4% – la China Development Bank vuole però una garanzia pubblica sui prestiti concessi.

 

Molti Paesi destinatari degli investimenti cinesi nel quadro della Belt and Road hanno le finanze in dissesto. Calcoli recenti dicono che il 60% dei prestiti cinesi all’estero sono andati a Stati che hanno problemi di debito. Diversi economisti osservano che questo, insieme ai timori di una crescente influenza di Pechino, porta i partner della Cina a essere più cauti verso la Belt and Road.

 

Non è un caso che dal periodo pre-pandemia a oggi il flusso dei fondi cinesi per la Belt and Road è calato in modo drastico, passando dai 46,2 miliardi di dollari del 2019 a 28,7 miliardi lo scorso anno, secondo calcoli del China Global Investment Tracker.

 

 

 

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