Gender

Museo delle donne espone statua di uomo che allatta

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Il Museo delle donne danese ha cambiato nome per divenire «inclusivo» ed espone una statua di un uomo nudo che «allatta» un bambino.

 

Proprio così, il Kvindemuseet, il Museo delle donne è ora divenuto ufficialmente il «Gender Museum». Nella sala principale del museo è stata piazzata una scultura alta più di tre metri che ritrae un uomo nudo che dispone di tratti e genitali maschili ma anche di seni femminili. L’uomo tiene in braccio un bambino piccolo e lo «allatta».

 

 

Sebbene originariamente scolpito nel 2021 e abbia incontrato polemiche in tutta la Danimarca, la notizia della mostra sta solo ora facendo il giro dei social media di tutto il mondo.

 

 

Due anni fa, all’artista Aske Jonatan Kreilgaard è stato chiesto di creare una scultura in onore della Giornata internazionale dell’uomo, che viene riconosciuta ogni anno il 19 novembre. Un post su Facebook del museo durante la costruzione della statua descrive il progetto, intitolato «Agape», come «un ibrido di maschile e femminile», raffigurato come un uomo che «allatta».

 

Secondo un’intervista del 2021 con l’artista, le caratteristiche maschili della scultura sono «basate su scansioni 3D» del corpo di Kreilgaard e i seni femminili «sono scansionati e modellati sulla sua ragazza».

 

«Penso che ci siano molti padri che vanno e sono un po’ invidiosi di non poter fornire nutrimento al loro bambino allo stesso modo della madre», ha detto l’artista a proposito della motivazione alla base del suo lavoro. «Ma per me la scultura è più un simbolo che un commento diretto».

 

 

L’artista ha aggiunto la sua speranza che «la scultura [sarebbe] utilizzata in un contesto in cui si discuteva della maternità degli uomini». Alla domanda su come il suo progetto è stato accolto dal pubblico, Kreilgaard ha ammesso «che c’è un elemento provocatorio in esso, e questo mi piace», affermando che «è fantastico se può solleticare un po’ le persone».

 

Il museo che presenta la scultura è stato fondato come Museo delle donne nel 1982, secondo il suo sito web. Tuttavia, nel 2021, il nome è stato cambiato in Gender Museum Denmark e ora cerca di «coinvolgere l’ospite direttamente nelle mostre creando curiosità, dialogo, riflessione e conoscenza sull’importanza del genere: passato, presente e futuro».

 

Una mostra al museo, intitolata «Gender Blender», «crea uno spazio per – e un miglioramento della – percezione del genere da parte dei visitatori». Un’altra mostra si chiama «L’educazione sessuale nel tempo» ed è progettata per «entrare in dialogo con bambini e giovani su norme, limiti e diritti per il genere, il corpo e la sessualità».

Si tratta dell’ennesimo caso in cui l’ideologia gender, e la conseguente transessualizzazione della società e del suo immaginario, avanza indisturbata a discapito delle donne – e pure delle femministe. Come noto, le femministe che si oppongono al transgenderismo oramai imperante sono definite TERF, cioè trans-exclusionary radical feminist, «femministe radicali che escludono i trans».

 

Come riportato da Renovatio 21, Christina Ellingsen, una femminista norvegese è stata accusata di reati che possono portare a fino a tre anni di prigione per aver affermato che gli uomini biologici non possono essere lesbiche.

 

Ma vi sono anche altri casi. «È semplicemente impossibile per gli uomini diventare lesbiche quanto lo è per gli uomini rimanere incinti. Gli uomini sono uomini indipendentemente dai loro feticci sessuali» aveva scritto l’attrice Tonje Gjevjon in un post su Facebook. Su di lei, di conseguenza, è stata aperta dai pubblici ministeri un’indagine penale formale per presunta violazione delle leggi nazionali relative alla protezione «dell’identità di genere e dell’espressione di genere».

 

Il fenomeno di esproprio di spazi e titoli femminili è più che mai visibile nello sport.

 

Il mese scorso fa era emersa la vicenda di un atleta transessuale canadese che ha vinto quattro corse di fila, essenzialmente stracciando la concorrenza fatta di atlete femmine nate femmine.

 

Talvolta, la reazione delle atlete è stata quella di lasciare del tutto lo sport dopo aver patito ingiustizie in gara con gli atleti trans che finiscono,  per surclassare le colleghe con doppio cromosoma X.

 

Pochi giorni fa una squadra di basket femminile si è ritirata dal torneo statale della divisione IV del Vermont per protestare contro un giocatore transgender che domina abitualmente le partite.

 

Come riportato da Renovatio 21, di recente si è avuto il caso del ciclista trans che arriva primo alla corsa di categoria femminile. L’anno passato avevamo inoltre veduto due ciclisti trans finiti al 1° e 2° posto baciarsi sul podio, mentre terza era arrivata una donna che teneva in braccio il suo bambino. Altre storie di impatti pericolosi le abbiamo viste nel caso dell’hockeista donna identificantesi maschilmente che ad un partita di trans-hockey ha riportato un trauma cranico dopo essersi scontrata con un uomo identificantesi femminilmente.

 

Un post d’onore in questa follia se lo merita anche la Casa Bianca, che due mesi fa ha assegnato il premio del Giorno della donna ad un uomo transessuale.

 

 

 

 

 

Immagine screenshot da TV2

 

 

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