Droga

Metà dei boliviani d’accordo con il contrabbando

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Quasi la metà dei boliviani mostra una tolleranza nei confronti del contrabbando e lo considera un elemento significativo per l’economia nazionale. Lo riporta il quotidiano di La Paz El Mundo.

 

Il dato emerge da uno studio recente condotto dalla Camera Nazionale delle Industrie (CNI), secondo il quale il 48% dei partecipanti ritiene che il contrabbando rappresenti una fonte importante di reddito capace di influenzare positivamente il bilancio familiare.

 

La ricerca evidenzia che «la convivenza ancestrale con la pratica del contrabbando, la convinzione che esso costituisca una fondamentale fonte di reddito nell’ambito dell’informalità e l’impatto sul risparmio nelle spese familiari, fa sì che le persone percepiscano il contrabbando come un’attività legittima, socialmente consentita e massiccia, che ha a che fare con la vita quotidiana della maggior parte della popolazione».

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«In Bolivia le dinamiche del contrabbando sono cambiate. È passata dall’essere un’attività commerciale informale all’essere parte di organizzazioni criminali sempre più violente. Noi boliviani abbiamo naturalizzato il contrabbando e ora dobbiamo lottare per evitare che venga naturalizzata anche la criminalità organizzata», ha affermato il presidente del CNI, Pablo Camacho.

 

I dati presentati nel corso del dibattito della conferenza «Rivelazioni sulla criminalità organizzata e il commercio illecito» al quale hanno partecipato esperti provenienti da Bolivia, Cile e Perù, principale causa dell’aumento della violenza legata al contrabbando, che ha causato solo nel primo mese del 2024 almeno cinque militari morti.

 

Per il peruviano Rubén Vargas, ex ministro degli Interni del suo Paese, sostiene che il commercio illecito condivide territori, logistica e rotte con il traffico di altri beni, tra cui la droga, l’oro illegale o le armi.

 

Pur non essendo solamente la droga il tema del sondaggio ma il contrabbando, è inevitabile in questo contesto pensare al tema della foglia di coca e della cocaina.

 

Va ricordato come Evo Morales, indio aymara, diventato 65° presidente della Bolivia nel 2006, ha rappresentato i produttori di coca, pianta locale indispensabile alla vita ad alta quota, ma anche una potente droga proibita nel mondo.

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L’approccio di Morales alla questione della cocaina è stato incentrato sul fronte del consumo, piuttosto che sull’eradicazione delle piantagioni di coca., sostenendo che il problema debba essere affrontato attraverso politiche orientate al consumo, senza eliminare le coltivazioni di coca. Questa posizione si basa sul fatto che masticare foglie di coca è una pratica tradizionale che risale a più di mille anni fra le popolazioni indigene dell’America Latina, come gli Aymara e i Quechua, per le quali le foglie di coca sono considerate sacre.

 

Il Morales ha sostenuto, in maniera controversa e discutibile, argomentazioni folclorico-pauperiste per mantenere l’uso della pianta: vi sarebbe, secondo quanto dice, un basso potere narcotico delle foglie di coca, e che tale potere produrrebbe benefizio all’interno della società boliviana, consentendo a molte persone svantaggiate del paese di lavorare per lunghe giornate, che possono estendersi fino a quindici o diciotto ore, senza incorrere nei problemi associati alla dipendenza da sostanze stupefacenti.

 

Tali affermazioni del Morales sono state contestate.

 

L’uso delle foglie di coca (Erythroxylon coca) è effettivamente antico e risale a diversi millenni fa, anche se non è possibile determinare una datazione precisa. Questa pianta tropicale non era e non è oggi limitata esclusivamente alle popolazioni andine Quechua e Aymara. È probabile che queste popolazioni, evidentemente, abbiano commerciato con le popolazioni delle aree tropicali per procurarsi le foglie di coca, poiché – secondo alcuni – non erano un bene di largo consumo e quindi nemmeno durante l’epoca incaica, che precede di circa un paio di secoli la conquista spagnola, le foglie di coca erano di uso generalizzato.

 

Anche in un periodo in cui l’impero Inca stava consolidando il suo controllo sul territorio e sulla popolazione del settore occidentale del Sud America, le foglie di coca rimanevano di uso quasi esclusivo della casta teocratica incaica.

 

Sotto l’amministrazione Morales, la Bolivia ha adottato una politica conosciuta come «Coca Sì, Cocaina No», che ha garantito la legalità della coltivazione della coca, ma ha anche introdotto misure per regolarne la produzione e il commercio. Nel 2007, è stato annunciato che sarebbe stata permessa la crescita di 50.000 acri di coca nel paese, principalmente per il consumo interno, con ogni famiglia limitata alla coltivazione di un cato (equivalente a circa 0,16 ettari) di coca.

 

È stato quindi implementato in Bolivia un programma di controllo sociale, in base al quale i sindacati locali hanno assunto la responsabilità di garantire che questa quota non venisse superata. Si sperava che questo avrebbe eliminato la necessità di interventi militari e di polizia, contribuendo così a ridurre la violenza che aveva caratterizzato i decenni precedenti. Sono state anche messe in atto misure per promuovere l’industrializzazione della produzione di coca.

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Morales ha inaugurato il primo impianto di industrializzazione della coca a Chulumani, che ha prodotto e confezionato tè di coca. Il progetto è stato finanziato principalmente attraverso una donazione di 125.000 dollari dal Venezuela nell’ambito del regime PTA.

 

Tuttavia, queste misure di industrializzazione hanno incontrato grandi difficoltà poiché la coca è rimasta illegale nella maggior parte delle nazioni al di fuori della Bolivia, privando così i coltivatori di un mercato internazionale. Nel 2012, la Bolivia si è ritirata dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 1961, che aveva richiesto la criminalizzazione globale della coca, e nel 2013 ha persuaso con successo la Convenzione unica delle Nazioni Unite sui narcotici a declassificare la coca come narcotico.

 

Il dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha più volte criticato la Bolivia, affermando che stava regredendo nei suoi sforzi anti-narcotici, e ha drasticamente ridotto gli aiuti alla Bolivia a 34 milioni di dollari per combattere il commercio di stupefacenti nel 2007. Tuttavia, sotto il governo di Morales, il numero di sequestri di cocaina in Bolivia è aumentato mentre cercavano di incoraggiare i coltivatori di coca a denunciare e contrastare i produttori e i trafficanti di cocaina.

 

Secondo quanto riportato l’alto livello di corruzione della polizia nel commercio illecito di cocaina è rimasto un problema costante per la Bolivia.

 

Come riportato da Renovatio 21, la coca, ad ogni modo, non è la sostanza più destabilizzante presente in Bolivia: per il litio, minerale indispensabile per l’elettronica attuale e perfino per l’automotive (le macchine elettriche) sarebbe già avvenuto un golpe, una situazione da qualcuno definita «la prima guerra del litio».

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Immagine di kristin miranda via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NoDerivs 2.0 Generic

 

 

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