Economia

L’Italia perde il primo posto di fornitore di vino della Russia: al suo posto, gli Stati baltici

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L’Italia non è più il primo fornitore di vino della Federazione Russa. Dopo un anno e mezzo di guerra, sanzioni inventate a Bruxelles e quantità di armi e dichiarazioni pro-Kiev, non poteva che andare così: l’ennesima zappa sui piedi di un Paese che, per obbedienza cieca al padronato atlantico, ha devastato i rapporti con uno dei suoi primi partner commerciali.

 

La situazione ha un lato ironico, o tragicomico: Paesi che hanno espresso una politica di russofobia più forsennata di quella del governo di Roma – i Baltici, che sono ex repubbliche socialiste sovietiche – ora scalzano l’Italia nella fornitura enologica verso Mosca. Forse vi è dietro, però un qualche trucchetto, perché sul Baltico le coltivazioni vinicole non abbondano, mentre le importazioni dall’Italia sì.

 

La Lituania è emersa come il più grande fornitore di vino della Russia nei primi otto mesi del 2023, ha riferito domenica l’agenzia di stampa RIA Novosti, citando il database delle statistiche del commercio internazionale Comtrade delle Nazioni Unite.

 

Secondo il rapporto, nel periodo gennaio-agosto di quest’anno la Lituania ha esportato vino in Russia per un valore di 126 milioni di dollari, con un aumento del 20,6% rispetto alle cifre dell’anno scorso. La Georgia è arrivata seconda, con 112,1 milioni di dollari (+19,4%), e un altro stato baltico, la Lettonia, ha chiuso i primi tre con 79 milioni di dollari (+18,5%).

 

Tra i primi dieci fornitori di vino di quest’anno figurava comunque anche l’Italia (72,7 milioni di dollari), ma pure la Spagna (20,8 milioni di dollari), la Polonia (18,3 milioni di dollari), la Germania (11,3 milioni di dollari), il Cile (10,4 milioni di dollari), il Portogallo (7,7 milioni di dollari) e l’Armenia (6,3 milioni di dollari).

 

Né la Lituania né la Lettonia sono note per la produzione di vino e la loro viticoltura è piccola. Secondo quanto riferito, la produzione annua di vino in Lituania è di circa 60.000 ettolitri, mentre quella della Lettonia è circa la metà. In confronto, l’Italia, il più grande produttore di vino d’Europa, ha prodotto 50,3 milioni di ettolitri dell’antica bevanda alcolica nel 2022.

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L’origine delle esportazioni di vino lettone e lituano verso la Russia non è elencata nei dati. Tuttavia, va notato che durante il periodo di riferimento, i due Paesi hanno importato congiuntamente vino per un valore di 59,3 milioni di dollari dall’Italia, 21 milioni di dollari dalla Spagna e 14,1 milioni di dollari dalla Germania.

 

Secondo i dati del Servizio doganale federale russo, nel 2022, la Russia ha importato circa quattro milioni di ettolitri di vino, di cui quasi 2,7 milioni di ettolitri da Italia, Spagna e Georgia, i primi tre fornitori di quell’anno. Sembra probabile che Lettonia e Lituania stiano rivendendo alla Russia il vino acquistato dai loro omologhi dell’UE, poiché la loro produzione congiunta difficilmente potrebbe coprire questo volume di esportazioni, scrive RT.

 

Nel contesto delle sanzioni legate all’Ucraina, lo scorso anno, l’UE ha vietato le esportazioni di vino verso la Russia che superano i 300 euro a bottiglia. I membri del sindacato dei coltivatori francesi di Champagne hanno smesso di fornire i loro prodotti alla Russia.

 

In risposta alle sanzioni, nel luglio di quest’anno la Russia ha aumentato i dazi sull’importazione di vino da paesi «ostili» dal 12,5 al 20%.

 

Il trucco delle esportazioni indirette si era già visto con le sanzioni dopo l’annessione della Crimea nel 2014, quando imprese anche italiane, per esempio, rivendevano i prodotti alla Bielorussia in modo da poter soddisfare il mercato russo.

 

Tuttavia il danno creato dalle sanzioni alle imprese italiane di ogni settore del tessuto produttivo nazionale – alimentari, mobili, tecnologia di precisione, etc. – è calcolabile in miliardi di euro. Nel 2016 l’associazione Conoscere Eurasia calcolò che a causa delle sanzioni scattate contro Mosca erano andate in stand-by commesse italiane per 32 miliardi di euro. Nel 2017 è stato dichiarato che i primi tre anni di sanzioni erano costati al Made in Italy 5 miliardi. Secondo coldiretti, si sarebbero persi 3 miliardi di euro l’anno. Considerazioni del 2022, precedenti alla guerra, parlano di un danno di una decina di miliardi.

 

La stupidità delle sanzioni antirusse dovrebbe essere ora visibile ictu oculi.

 

In un editoriale a inizio anno, l’Economist aveva ammesso il fallimento delle sanzioni contro Mosca. «Attualmente, il sistema economico russo è in una forma migliore del previsto» scriveva la testata britannica, che si rendeva conto, di colpo, del danno invece procurato ai sanzionatori: «nel frattempo l’Europa, appesantita dai prezzi dell’energia alle stelle, sta cadendo in recessione».

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Come riportato da Renovatio 21, i profitti di aziende russe come il colosso petrolifero Rosneft sono saliti nonostante le sanzioni. Le sanzioni, in realtà, sono state devastanti più per le economie dei Paesi che le hanno imposte – e la follia delle bollette sta a dimostrarlo.

 

L’economia russa, a differenza di quella occidentale, è tutt’altro che devastata. Di fatto, le sanzioni non hanno ferito la struttura economica di Mosca, e ciò era vero mesi fa come lo è ora. Come aveva dichiarato lo stesso Putin, le sanzioni non separano la Russia dal resto del mondo, anzi: la Russia ora lavora con altri Paesi per la creazione di valute alternative per il commercio globale.

 

Come riportato da Renovatio 21, i dati di questa primavera, riportati dall’agenzia Reuters, segnalano che l’economia in Russia continua a crescere. Mentre in Europa e nei singoli Paesi si parla di «economia di guerra». Orban, unico leader europeo a mantenere la ragione, ha dichiarato varie volte che le sanzioni uccideranno l’economia europea.

 

Nonostante i continui round di sanzioni indetti da Bruxelles contro la Russia, in Austria l’FPO, il partito anti-immigrati e anti-sanzioni, è primo nei sondaggi. In Germania invece oltre la metà della popolazione ha ammesso di essere più povera rispetto a quando nel 2021 le sanzioni non erano in atto.

 

Nessuna vera voce contro le sanzioni suicide si è levata invece dalla politica italiana, ora guidata da partiti «sovranisti», che tuttavia della devastazione economica del popolo sovrano non sembrano interessarsi troppo.

 

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