Economia

L’Economist ammette il fallimento delle sanzioni

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Il settimanale del capitalismo anglosassone ha finalmente ammesso l’inefficacia delle sanzioni come strumento per contrastare la Russia.

 

In un articolo del 29 dicembre 2022 intitolato «In 2022 Russia Kept the Economic Show on the Road» («Nel 2022 la Russia ha tenuto in piedi lo spettacolo economico»), The Economist esamina tutte le ragioni per cui le previsioni occidentali di un collasso dell’economia russa sono fallite.

 

«Attualmente, il sistema economico russo è in una forma migliore del previsto» scrive la testata britannica, che si rende conto, bizzarramente solo ora, del danno invece procurato ai sanzionatori: «nel frattempo l’Europa, appesantita dai prezzi dell’energia alle stelle, sta cadendo in recessione».

 

L’articolo non dice nulla di nuovo a chiunque sia rimasto sano, ma costituisce nondimeno uno schiaffo per i governi NATO e per Ursula Von der Leyen, che ancora questa settimana a Davos ha affermato che le sanzioni dell’Ue «lasciano l’economia russa di fronte un decennio di regressione».

 

Di nostro possiamo ricordare le parole di Di Maio, allora ministro, dette alla TV nazionale. «Con le sanzioni stiamo facendo collassare l’economia russa» disse il ragazzo di Pomigliano degli Esteri, all’epoca capo della diplomazia italiana, a pochi giorni dall’innesco del conflitto. «Dobbiamo continuare a colpire la sua economia con le sanzioni».

 

«Il rublo ha perso il 30%, la borsa di Mosca è chiusa da due giorni» esultava in diretta televisiva il «Giggino» vertice del MAE, prima di proseguire con il famoso insulto («più atroce di un animale») rivolto al presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.

 

Si è visto poi cosa è successo: l’economia russa, a differenza di quella occidentale, è tutt’altro che devastata. Di fatto, le sanzioni non hanno ferito la struttura economica di Mosca, e ciò era vero mesi fa come lo è ora.

 

Come riportato da Renovatio 21, i dati, riportati dall’agenzia Reuters, segnalano che l’economia in Russia continua a crescere. Mentre in Europa e nei singoli Paesi si parla di «economia di guerra».

 

 

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