Ambiente

La verità ultima sulla questione ambientale: l’uomo si adatta ai cambiamenti climatici

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Qualcosa si muove nel dogma globale del cambiamento climatico.

 

In un articolo intitolato «L’ovvia strategia per il clima di cui nessuno parla», apparso sulla rivista americana di politica estera Foreign Policy, i tre autori, membri del Breakthrough Institute, sottolineano che il più grande fattore determinante di un cambiamento climatico sulla vita umana non è il clima stesso, ma piuttosto il livello di sviluppo messo in atto per rendere le società indipendenti dalle variazioni meteorologiche.

 

«Il mondo, negli ultimi decenni, non ha fatto molti progressi nella riduzione delle emissioni complessive», scrivono gli autori. «Ma è diventato molto più resistente a tutti i tipi di estremi climatici».

 

«L’abitante medio della Terra oggi ha più del 90% di probabilità in meno di morire a causa di inondazioni, siccità, tempeste o altri eventi climatici estremi oggi rispetto agli anni ’20, e questo è quasi interamente il risultato di un fenomenale calo del numero di persone che vivono in povertà senza accesso a cose come alloggi sicuri, infrastrutture funzionanti e buone istituzioni».

 

«L’adattamento climatico, le azioni che le società intraprendono per proteggere le loro popolazioni da condizioni meteorologiche estreme, come tempeste, inondazioni, siccità, ondate di calore e ondate di freddo, funzionano. Comprende tutte le cose che le persone nei Paesi ricchi danno per scontate: edifici ben costruiti che resistono ai disastri, dighe e dighe che proteggono dalle inondazioni, aria condizionata e celle frigorifere per cibo e medicinali, sistemi di allerta precoce, pronto intervento ben attrezzato e percorsi di evacuazione lungo strade ben asfaltate».

 

Come ricalcola EIRN, se si tiene conto della crescita della popolazione mondiale dal 1920, la riduzione è più simile al 95%. Si pensi alla Cina, per esempio. Le inondazioni nel 1887 hanno causato fino a 2 milioni di vittime e le inondazioni del 1931 hanno ucciso fino a 4 milioni di persone. Le carestie hanno ucciso milioni di persone in Cina. Ma oggi i morti per inondazione in Cina sono meno di 500 e non c’è stata carestia da decenni.

 

Come mai? Semplice: con lo sviluppo. Con il vero progresso materiale di una società che ha cura dell’essere umano e della sua dignità innegabile.

 

«La resilienza di una società agli estremi climatici è strettamente legata, ovviamente, allo sviluppo economico» scrivono i tre autori. «Ciò include l’accesso a un’abbondante energia, una migliore tecnologia, una migliore agricoltura e la possibilità di pagare per case e infrastrutture migliori. Anche uno sguardo superficiale ai dati rende ampiamente chiaro che lo sviluppo ha salvato milioni di vite nell’ultimo secolo».

 

Anche in presenza di catastrofi, «i costi umani ed economici di un disastro naturale non sono quasi mai determinati principalmente dall’intensità del clima estremo. Piuttosto, quei costi sono in gran parte determinati da quante persone sono in pericolo e da quanto si adattano bene al pericolo quelle popolazioni.

 

Al Gore, vicepresidente di Bill Clinton poi divenuto zelota globale del global warming (riuscendo a vincerci, caso unico, Nobel per la Pace e Oscar per un documentario) ha liquidato l’adattamento climatico nel suo libro del 1992, Earth in the Balance(«la terra in equilibrio»), come una «sorta di pigrizia, una fede arrogante nella nostra capacità di reagire in tempo per salvare la nostra pelle».

 

«In gran parte dei due decenni che seguirono, molti attivisti per il clima consideravano “adattamento” una parolaccia: una forma di negazione del clima che distraeva dagli sforzi per tagliare le emissioni e vietare i combustibili fossili. Gli echi di quelle affermazioni rimangono oggi. Per molti ambientalisti, parlare troppo di adattamento ai cambiamenti climatici solleva lo spettro dell’azzardo morale: la preoccupazione che concentrarsi sull’adattamento distoglierà risorse e attenzione dagli sforzi per tagliare le emissioni».

 

In pratica, pur di perseguire la sua agenda (che ha, ovviamente, ampie motivazioni di potere e di profitto economico per certuni), l’ambientalismo nega la natura umana, il suo essere in grado di adeguarsi a qualsiasi cosa.

 

La cosa non ci stupisce: l’ambientalismo è semplicemente un neopaganesimo che affligge il mondo moderno, che vuole gli uomini in sottomissione cruenta agli dèi (Gaia, etc.), o meglio, che vede l’uomo non come il fine da innalzare, ma come il problema da risolvere.

 

 

 

 

 

Immagine di Chesapeake Bay Program via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)

 

 

 

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