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La Russia multa Google per 366 milioni di dollari

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La settimana scorsa un tribunale russo ha multato il colosso americano della ricerca Google per oltre 21 miliardi di rubli (366 milioni di dollari), per non aver cancellato le informazioni proibite sul conflitto in Ucraina, ha riferito l’agenzia di Stato di Mosca RIA Novosti.

 

Il tribunale distrettuale Tagansky di Mosca ha inflitto una multa basata sul fatturato alla società informatica per il suo ripetuto rifiuto di cancellare le informazioni vietate dalla legge russa.

 

Il Roskomnadzor, l’organo di controllo nazionale per Internet e i media, aveva precedentemente richiesto alla società di rimuovere da YouTube tutte le «informazioni fuorvianti» riguardanti l’offensiva militare russa in Ucraina.

 

Prima della sentenza della corte, il Roskomnadzor aveva inviato a Google 17 notifiche richiedendo di rispettare la legge russa, ma il gigante della tecnologia ha ritenuto di non conformarsi a quanto chiestogli dall’autorità sovrana della Federazione Russa.

 

La sanzione totale è pari a un decimo del fatturato annuo della società e delle sue strutture affiliate in Russia.

 

La Russia è stata a lungo critica nei confronti del modo in cui le piattaforme straniere distribuiscono contenuti online che violano le leggi nazionali. Lo scorso dicembre, l’azienda della Silicon Valley era stata colpita con una multa di 7,2 miliardi di rubli (circa 98,1 milioni di dollari) per non aver rimosso i contenuti vietati, che è stata la prima volta che un’azienda internet è stata multata in Russia con una sanzione legata ai suoi guadagni.

 

Alla fine di giugno, Roskomnadzor ha completato un rapporto su ciò che affermava fosse la ripetuta mancata rimozione di articoli proibiti da parte di Google, affermando che la società non aveva cancellato almeno 7.000 «materiali illegali» da Youtube.

 

All’epoca, l’ente di controllo aveva accusato il colosso informatico di promuovere false informazioni sul conflitto in Ucraina e di ospitare materiale che sostiene l’estremismo e incoraggia i bambini a partecipare a proteste di massa non autorizzate.

 

A marzo, a conflitto ucraino appena partito, Reuters aveva riportato che Facebook – in barba alle sue stesse, sempre cangianti, «standard della comunità»  con cui mette al bando masse intere di cittadini – aveva dichiarato che avrebbe consentito agli utenti di  in alcuni Paesi di incitare alla violenza contro russi e soldati russi nel contesto dell’invasione dell’Ucraina, compreso l’incitazione all’assassinio dei vertici politici russi. Inoltre, è stato riportato, era specificata la possibilità assegnata agli utenti di lodare il battaglione Azov, un gruppo estremista, considerato neonazista e accusato di crimini orrendi dall’dall’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.

 

L’ambasciata russa a Washington chiese al governo USA di fermare le «attività estremiste» di Meta-Facebook. «Gli utenti di Facebook e Instagram non hanno concesso ai proprietari di queste piattaforme il diritto di determinare i criteri di verità e mettere le nazioni l’una contro l’altra», aveva scritto l’ambasciata su Twitter.

 

Pochi giorni dopo, Facebook e Instagram, i due prodotti del gruppo di Mark Zuckerberg ora noto come Meta, furono bandite in Russia come «organizzazioni estremiste» per ordine di un tribunale moscovita.

 

Instagram era stato discontinuato in Russia dal 14 marzo, mentre la nave-madre Facebook era stata già bandita dal 4 marzo.

 

 

 

 

Immagine di Gregory Varnum via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)

 

 

 

 

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