Alimentazione

La produzione di carne suina in USA non è sostenibile per la filiera

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Smithfield Foods, il più grande produttore di carne suina negli Stati Uniti, ha annunciato due giorni fa che chiuderà un grande impianto di lavorazione di carne di maiale a Vernon, in California.

 

La fabbrica ha 1.800 dipendenti.

 

La chiusura arriverà entro l’inizio del 2023. I motivi espressi sono i medesimi portati in Gran Bretagna da CF Industries, un gruppo che ha deciso uno dei suoi due impianti di fertilizzanti nel Regno Unito: ora è troppo costoso trarre profitto dalle attività agricole.

 

Non si tratta dell’unico taglio a cui il gigante alimentare americano va incontro. Smithfield ha annunciato che «diminuirà la sua mandria di scrofe nello Utah e sta esplorando opzioni strategiche per uscire dai suoi allevamenti in Arizona e California».

 

A questo si aggiunga anche la questione dell’economia locale.  Beaver County, Utah, dove l’attività di suini di Smithfield è stata chiusa, ha dichiarato una «emergenza economica» una volta appresa notizia del ridimensionamento, poiché l’azienda è stata il più grande datore di lavoro della zona e la sua chiusura riguarderà più di 250 posti di lavoro.

 

In sostanza, produrre cibo – carne e raccolti – non è in questo momento un’attività sostenibile.

 

Queste decisioni danno nuovi colpi all’approvvigionamento alimentare nazionale e internazionale già minacciato.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’ONU già stima 20 hotspot in cui la fame sta colpendo il mondo.

 

Secondo un economista cinese, le sanzioni alla Russia porteranno alla fame 1 miliardo di persone. Il presidente russo Putin si chiede «chi risponderà dei milioni di morti di fame nei Paesi poveri?».

 

Con evidenza, il problema non riguarderà solo i Paesi poveri.

 

La filiera alimentare, lo abbiamo capito durante il biennio pandemico, è estremamente fragile.

 

Come riportato da Renovatio 21, avvisaglie di un ritorno della fame negli USA si erano registrati anche nel 2020.

 

 

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